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 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CASSANO Antonio

CASSANO Antonio Bari 12 luglio 1982. Calciatore. Dal gennaio 2011 al Milan, ha subito vinto lo scudetto. Lanciato dal Bari, ha giocato con Roma, Real Madrid, Sampdoria. Con la nazionale ha partecipato agli Europei del 2004 (2 gol) e 2008. Il 30 ottobre 2011 fu vittima di un malore (ischemia all´ipotalamo sinistro causata da un «forame ovale pervio cardiaco interatriale»), il 4 novembre fu sottoposto a un intervento chirurgico perfettamente riuscito • «[…] un giocatore straordinario […] Quando aveva dieci anni e giocava nella Pro Inter di Bari, faceva già impazzire i dirigenti. Una volta, in trasferta, si era messo in testa di voler giocare la partita non con le scarpe da calcio ma con le Timberland. Il presidente lo racconta ancora adesso: dovette fermare il pullman e saccheggiare un autogrill. Naturalmente non trovò le Timberland, ma ne scrisse il nome col pennarello su un paio di mocassini qualunque. Cassano è irridente e infantile. Il gioco dentro di lui ha la stessa parte del dolore. Sono due macigni che si porta dietro ormai con facilità. Dolore per essere quello che è stato, la sua infanzia, la sua storia, quella di chi gli sta più vicino. Cose che non vuol mai sentire, profondità che lo segnano anche con il silenzio. Dolore per non capire il suo dono ed i suoi limiti, come possano convivere così accanto il talento e la sostanza del male di vivere così presto incontrato. […] non parla con suo padre (che ha un’altra famiglia e altri quattro figli). […] ha una sola donna nella sua vita ed è sua madre Giovanna. Ha molte amiche, come le chiama lui, perché “è giovane e in salute”, ma non una fidanzata. Apprezza comunque molto Sabrina Ferilli. Il suo primo amore è stata Damaris, ricciola e bionda, nome arabo, la ragazza di Bari a cui regalò un collier d’oro a forma di cuore il Natale dopo il suo debutto in serie A. […] Cassano è ruvido e torvo come un Otello senza causa, geloso di quello che gli altri possono togliergli della vita. È convinto di averla strappata alla miseria, di averla combattuta e vinta, ma ne avverte sempre la fragilità. Dentro di sé, nei silenzi delle polemiche […] ha ancora paura possa fargli del male. Cassano vive così fra il dramma e tutto quello che lo cancella. Da ragazzo, in un ritiro, bucò tutti i bicchieri di plastica alla mensa della squadra. Nessuno riuscì a bere, ma lui rise come un matto. Non ha mai sopportato la mediocrità. Nella Pro Inter arrivava davanti al portiere e si fermava. Chiamava urlando il presidente Rana e gli diceva: io a questo portiere non segno, è troppo scarso. Cassano è furbo e accorto. Ha avuto compagnie pericolose ma ha saputo gestirle, tenerle a distanza. Non ha voglia né fretta di parlare, è come se dentro avesse un guardiano della sua magia, come sapesse che tutto quello che ha non basta, anche il genio è niente senza il controllo. Cassano non è ingestibile, ci sono riusciti benissimo prima Fascetti e poi Capello. Il problema ultimo è che Cassano si fa guidare da chi stima e farsi stimare da lui è molto difficile. Cassano ha un’idea grezza della sostanza. Sei bravo se hai vinto. Se non hai vinto che cosa vuoi da lui? Cosa vuoi insegnargli? Cassano pensa che solo Maradona è nato prima di lui. Lo crede sinceramente, non è uno sbruffone. Infatti non parla mai. […] Sa di non avere un buon rapporto con le parole. Non si fida né di loro né di chi deve riportarle. Infatti parla solo davanti a una telecamera e solo quando vuole lasciare un segno. Cassano non ama, ma rispetta Capello perché Capello ha i titoli per potergli insegnare. Cassano è semplice e impossibile, assolutamente crudele nella sua divisione della vita. Questo è il ragazzo, un giocatore fantastico, non un giocoliere, non un campione inutile, ma un fantasista concreto che vale venti gol abbondanti a stagione […] e taglia il campo come un laser. Non è discontinuo, non più di Adriano o Ibrahimovic. Sta zitto e vive la sua vita divisa. Ma in campo dà tutto se rispetta chi ce lo manda, se si sente amato e capito. Non c’è avversario in Italia che non preferisca vederlo in panchina piuttosto che in campo. […]» (Mario Sconcerti, “La Gazzetta dello Sport” 20/3/2005). «La sua simpatia, molto immediata, latina, lo avvicina a Maradona. Le sue origini, anche: da molto tempo l’Italia non aveva un campione nato povero, un ragazzo di strada cresciuto da una madre sola, bidella al mattino e ambulante per poche altre lire. Uno che dice: “Ho avuto una vita difficile, e lo so: più si è sofferto, più si è felici. Io so cos’è la povertà: non potersi comprare un vestito, vedere i compagni con le robe da centomila. La ricchezza è avere qualcosa di sicuro, come una casa, insomma la tranquillità, la serenità” […] Dev’essere stato un bambino a zig-zag. Imprevedibile, dispettoso, irresistibile, con una sana e lucida voglia di fare quello che vuole. Della scuola meglio non parlare: “Zero. Ci ho messo sette anni per fare tutta la media, e la licenza l’ho presa solo alla scuola serale […] Non ero nato per fare il ragioniere. Si vede anche da come sto in campo, no? Io decido sempre all’ultimo istante, come mi viene una cosa, la faccio, i calcoli non sono per me. La mia vita è sempre stata solo il calcio. Quello delle pietre dure del mio quartiere, e poi dei campi di terra. Il primo prato verde l’ho visto a tredici anni, quando fui convocato per un’amichevole nell’antistadio contro la prima squadra, e ricordo la sensazione del pallone che frusciava” […] Vincenzo Matarrese trovò casa a lui e alla madre in un quartiere residenziale: “Non ci tornavo mai, solo per mangiare, dormire e lavarmi la faccia, per me era come stare all’estero”» (Giuseppe Smorto, “la Repubblica” 29/7/2001). «Papà Gennaro, che i suoi doveri di padre si limitò ad assolverli quel 12 luglio, quando si presentò all’anagrafe per denunciare la nascita di un neonato che voleva chiamare a tutti i costi Paolorossi. Così, tutto attaccato, per quello che sarebbe diventato un altro segno del destino. Gennaro, un dipendente dell’Azienda per la nettezza urbana, tornò poi alla propria famiglia. Che non era la stessa di Tonino» (Gianni Messa, “la Repubblica” 2/2/2002). « È un ragazzo fragile, di natali umili e infanzia difficile, cresciuto nella Bari vecchia in ambienti duri. Fascetti che gli ha tenuto ben strette le redini nei due anni a Bari ammoniva salutandolo: "Si può perdere, va aiutato". È già cominciata la guerra fredda con Gentile, la rinuncia all’Under 21 per malanni che non convincono. Perché lui non accetta di far spazio a Maccarone, Gilardino, Bonazzoli. Per di più, improvvisamente, a diciannove anni, si scopre ricco quasi come Paperon de Paperoni. Dopo il celebre gol all’Inter, con colpo di tacco, la Roma paga trenta milioni di euro per il suo cartellino, il cassiere di Trigoria gliene versa quattro ogni anno. E nessuno lo tiene più. Gli errori baresi (guida senza patente, velocità eccessiva) diventano poca cosa. Per il presidente Sensi è "il ragazzo ribelle di una terra ribelle". Ma a forza di scusarlo per la giovane età, questo Cassano non cresce mai. Eppure l’avvio in casa giallorossa dà speranze. Il gioiello barese prende una villa all’Axa, vicino a quella di Totti e diventa l’anima gemella del capitano, copiandone persino i vestiti. Tutti contenti, ma incombe il programma C’è posta per te. Cassano, redarguito da un Totti vestito da vigile per la guida spericolata, chiude con la frase: "Seguirò il capitano fino a che Dio non mi chiamerà". Quando si rivede in tv, Antonio storce il naso, è stato troppo umile e allora tronca l’amicizia con il capitano. Qui comincia la fase Cassano-2. Capelli gialli, orecchino e catena d’oro al collo, il ragazzo si trasforma nel "Pierino la peste" di Trigoria. Batistuta diventa il "vecchietto" a cui si può mescolare il cappuccino con un dito, Aldair e Zago sono le sue vittime preferite in allenamento, bersagliati da tunnel in serie. Facile per uno come lui, tanto padrone del pallone da farlo volare come non riesce neanche a capitan Totti. Però i compagni gli trovano il soprannome: "Pikachù". Lo stupido personaggio dei Pokemon, i cartoni animati giapponesi. Con Capello il rapporto sale alle stelle o precipita. [...] Il tecnico giurava sulla sua esplosione, ma il primo caso scoppia con l’Aek Atene: Cassano in panchina malvolentieri non obbedisce quando Capello gli dice di scaldarsi. Cinquantamila euro di multa. A novembre 2002, alla vigilia della partita con il Perugia, Cassano esagera davvero. Non si presenta all’allenamento e scompare per 24 ore. Mamma Giovanna cerca di coprirlo, poi confessa, non sa dove sia il figlio. Quarantotto ore dopo ricompare e chiede scusa. Di nuovo multato e perdonato. Aldair spiega: " È giovane, dobbiamo fargli capire che le cose non funzionano come pensa. Lui vive in un mondo diverso, è entrato in crisi perché giocava poco". A gennaio 2003 ci ricasca: lite con Capello, accusa la solita botta in allenamento e non parte per Vicenza (Coppa Italia). Passano i mesi, la Champions League (4 gol) lo rimette sotto i riflettori, nessuno più contesta Cassano. Troppo bello per durare. Don Fabio non si sbilancia: " È un grande talento, ma si deve aiutare da solo"» ("La Stampa" 2/6/2003).