Varie, 19 febbraio 2002
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Biografia di Fidel Castro
• Birán (Cuba) 13 agosto 1926. Politico. Il ”Lider maximo” cubano. Figlio di un coltivatore di zucchero, dal 1949 al 1953 praticò legge a l’Havana ma fu imprigionato per due anni dopo aver guidato la rivolta della Moncada (26 luglio 1953). Nel 1955, liberato grazie ad un’amnistia andò in Messico ad organizzare la resistenza. Il 2 dicembre 1956 tornò di nascosto a Cuba. Guidò i moti insurrezionali contro il presidente Batista costringendolo alla fuga il primo gennaio 1959. Mise subito in atto una serie di riforme (agraria, nazionalizzazione dell’industria saccarifera ecc.), provocando aspre reazioni degli Stati Uniti e ottenendo l’appoggio dell’Urss. Nel dicembre del 1961 sostenne in un discorso di essere stato un marxista-leninista fin dagli anni dell’università. Negli anni Sessanta appoggiò i movimenti rivoluzionari dell’America latina, negli anni Settanta i movimenti di liberazione africani (Alan Palmer, Who’s who in World Politics) • «Non è che fosse andato sulla Sierra Maestra in vacanza, a prendere l’aria buona dei monti. Però non è neppure vero che da lassù abbia dominato la rivoluzione cubana, col genio del suo comando militare e l’acume del giudizio politico. Quando poi vinse, gli Usa fecero tutto il possibile per diventare suoi amici, e se da quarant’anni l’embargo separa i due paesi, la colpa è solo sua. Se avete voglia di miti infranti, questo offre il libro di Julia Sweig Inside the Cuban Revolution, che insieme a The Cuban Revolution and the United States di Mark Falcoff, sta scuotendo le certezze di quattro generazioni di storici. La Sweig, vice direttrice del Latin America Program al Council on Foreign Relation, ha ricevuto dal governo cubano il permesso di guardare il carteggio finora inedito tra i capi della rivoluzione. Tutti sanno che nel Movimento del 26 luglio, M267, c’erano due correnti: quella dei ”sierra”, ossia Fidel, Raul Castro, Camilo Cienfuegos, Che Guevara, che costituivano il braccio armato sulle montagne, e quella degli ”llano”, cioè Frank Pais, Armando Hart, Faustino Perez, che rifornivano la guerriglia e organizzavano la resistenza nelle città. Secondo la vulgata del ”triunfo de la revolucion”, Fidel comandava dalla Sierra e i rivoluzionari di pianura erano semplici esecutori, neanche troppo efficaci. Secondo le carte trovate dalla Sweig, invece, i due gruppi erano almeno sullo stesso livello. Anzi, gli ”llano” ebbero la supremazia politica fino al fallimentare sciopero generale del 9 aprile 1958, e se quell’operazione fosse andata diversamente, forse la storia della rivoluzione sarebbe stata scritta a parti inverse. Già nel luglio del 1957, quando venne redatto il ”Manifesto della Sierra” che avrebbe guidato la lotta contro Batista, l’iniziativa era stata presa dagli ”llano”. Il ”Manifesto” è attribuito a ”Alejandro”, nome di battaglia di Castro. Ma in realtà lo scrisse con Felipe Pazos, ex presidente della Banca Nazionale di Cuba, e Raul Chibas, fratello del fondatore del Partido Ortodoxo in cui Fidel aveva militato, portati sulle montagne dai rivoluzionari di pianura che all’epoca avevano contatti coi due presunti agenti della Cia William Patterson e Oscar Guerra. Ancora gli ”llano”, nel febbraio del 1958, organizzarono il famoso rapimento del pilota Manuel Fangio, che invece di gareggiare sul Malecon di L’Avana finì a fare propaganda per ”i miei amici sequestratori”. La corrente urbana dell’M267 era convinta di poter rovesciare Batista con uno sciopero generale, accompagnato da azioni di sabotaggio e seguito dall’offensiva dei guerriglieri di Castro. Gli storici finora pensavano che Fidel avesse dato via libera a questo piano perché era convinto che sarebbe fallito, e così lui avrebbe conquistato l’egemonia definitiva sul movimento. Secondo la Sweig, invece, Castro fu costretto a seguire la leadership degli ”llano”, come dimostra la feroce lettera inviata il 16 aprile a Celia Sanchez per riprendere il comando del gruppo dopo il disastroso sciopero: ”Io sono il leader di questo movimento e devo assumere la responsabilità storica per le stupidità degli altri. Invece sono solo una merda, che non può prendere decisioni su nulla. Col pretesto di evitare il caudillismo, ognuno fa quello che gli pare. Non sono così stupido da non capirlo, né sono prono alle visioni di fantasmi. Io non rinuncerò più al mio spirito critico e al mio intuito, che mi hanno aiutato così tanto a capire le situazioni, specialmente adesso che ho più responsabilità di tutta la mia vita. Da ora in poi mi occuperò io dei nostri problemi”. Così fece, e da quel momento in poi la rivoluzione fu guidata davvero dalla guerriglia. A questo punto si salda il libro di Falcoff, studioso dell’American Enterprise Institute, che ha avuto accesso a documenti finora segreti del dipartimento di Stato. Washington aveva un’idea tanto approssimativa della situazione, che un telegramma inviato il 14 marzo 1958 dall’ambasciata dell’Avana recitava così: ”Noi consideriamo Castro importante, ma probabilmente non un fattore dominante sulla scena politica, se Batista verrà rimosso”. L’ossessione degli americani era capire se Fidel fosse comunista o no, ma per diversi mesi gli diedero il beneficio del dubbio, rimandando provvedimenti provocatori come la riduzione della quota di zucchero esportata da Cuba negli Usa. Nell’aprile del 1959 l’Associazione americana dei direttori di giornali invitò Castro negli Stati Uniti, per spiegare al paese la sua rivoluzione. Il presidente Eisenhower non lo incontrò, e secondo la vecchia storiografia questo fu uno degli sgarbi che spinsero Fidel nelle braccia dell’Urss. Il 19 aprile, però, il Lider Maximo fu ricevuto da Nixon. Falcoff ha pubblicato il resoconto di quel colloquio scritto dal vice presidente, che sottolineava ”l’ingenuità di Castro verso i comunisti”, ma descriveva l’incontro come un tentativo poco riuscito di catechesi, piuttosto che uno scontro. Subito dopo, però, Fidel cominciò a confiscare terre e proprietà straniere, e nel febbraio del 1960 diede un segnale ancora più chiaro, invitando a Cuba il primo vice premier sovietico Anastas Mikoyan. Circa un mese dopo, il 10 marzo, nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale si svolse la discussione numero 463, in cui Eisenhower diede via libera alle operazioni segrete che avrebbero portato al fallimentare tentativo di invasione della Baia dei Porci. Durante quell’incontro il capo della Cia, Allen Dulles, citò anche il sequestro di proprietà italiane per 40 milioni di dollari, per convincere il presidente ad agire. La pazienza era finita, e il 6 dicembre Eisenhower fissò un appuntamento col nuovo presidente eletto Kennedy, già informato da Dulles sui piani segreti, per convincerlo a non cambiare linea»(Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 10/8/2002). «[...] I media e persino il dibattito intellettuale, dal salotto all’accademia, lo dipingono (in misura preponderante nella comunità mondiale occidentale) come un tiranno antiquato che ancora aspira ad un ordine sociale maligno oppure, tra coloro che ammettono l’incapacità del capitalismo di colmare l’abisso tra ricchi e poveri, viene dipinto come una vittima delle ambizioni imperiali degli Usa. Alcuni lo temono, alcuni lo deridono e spengono la Tv o girano la pagina del giornale che riporta uno dei suoi interminabili discorsi. [...]» (Nadine Gordimer, ”la REpubblica” 20/4/2005).