Varie, 19 febbraio 2002
CAVALLI
CAVALLI Roberto Firenze 15 novembre 1940. Stilista • «Era il 1972 quando [...] con in tasca un rivoluzionario brevetto di stampa su pelle da lui ideato, presentò il suo primo défilé nella famosa Sala Bianca di palazzo Pitti. Da allora non si è mai fermato, ma il mondo l’ha scoperto solo poche stagioni fa. [...] La donna firmata Cavalli è una bomba di sex appeal, è appariscente, vistosa. Secondo alcuni esagerata. [...] ”In Italia vendo moltissimo tra i giovani, ragazzi tra i 16 e i 20 anni. In America, invece, la mia moda un po’ folle impazza tra i signori di una certa età [...] Il mio attore preferito è Giancarlo Giannini, ma non credo che starebbe bene firmato Cavalli. Tra i giovani non è male Raoul Bova, è belloccio e non se la cava male neanche a recitare [...] I miei non sono modelli che possono certamente andare in Parlamento. Però mi piacerebbe molto vestire Veronica Lario Berlusconi”» (Jacaranda Falck, ”L’Espresso” 17/1/2002) • «La mia donna è un’appariscente, eccentrica, qualcuno dice un po’ sgualdrina. Ma per me la chiave è il sogno. Una sfilata deve rappresentare un sogno, per la donna che si sente un po’ Pretty Woman, e per l’uomo che vede queste bellezze e brama di averle tutte. [...] Non nego che, alla mia prima collezione, più che gloria e soldi mi intrigava entrare in questo mondo per conoscere le donne. Sono stato un playboy nella Saint Tropez godereccia. [...] Come si fa a fare questo mestiere senza amare il corpo femminile? Trovo stupido spogliarle in passerella. Se una è già nuda, svanisce la voglia di spogliarla. Per me non c’è nulla di più sexy di una gonna sopra il ginocchio. Sono un romantico» (Davide Burchiellaro, ”Panorama” 8/3/2001) • «[...] ama le belle donne e gli eccessi e la sua famiglia. [...] era un po’ volgare, ma ora non più. Roberto Cavalli è un uomo che bisogna conoscere. Oh, sì! Si presenta in giacca di pelle nera, occhiali con i brillantini e sigaro in bocca. Da duro. Poi però piange quando racconta del padre ammazzato dai tedeschi. questo e quello lo stilista toscanaccio che ebbe successo negli anni ”70, visse di rendita fra gli ”80 e i ”90, e riagguantò il successo [...] nel marzo del ”95, ma nel ”94 si diceva finito. ”Fu un caso: azzeccai un tessuto jeans stretch bianco e lo stampai animalier. Poi accettai di seguire il mondo della moda e i suoi meccanismi, parlo di fotografi e altro, lasciando perdere le mie fantasie. Ma il mio pathos resta lo stesso. Il vestito che io amo di più è sempre quello che vendo meno. Ah, come invidio Margela, i giapponesi, Azadine Alaia che sono freedom... liberi. Però devo stare zitto”. Un successo per caso? ” il tamtam [...]. Quando le modelle videro quei jeans impazzirono. E poi la signora lo disse all’amica e il cliente a un altro cliente. Fu tutto così veloce. La mia mania di regalare fece il resto. Modelle e belle donne me li chiedevano, e io non resistevo. Negli Ottanta invece no, c’era il minimalismo. Ma il minimal alle donne non piaceva e non aspettavano altro che un po’ di colore da un giovane-vecchio designer”. Però l’accusano di aver virato la moda sul volgare. ”Lo dicevano prima. Ora no. Ma forse se vuoi arrivare, a volte devi esagerare. Insomma, l’eccesso aiuta il successo! E io sono eccessivo, in tutto. Ma la vita è così breve, c’è tanta monotonia se non ci si diverte è la fine. Per questo non presi [...] il treno con Armani e gli altri. Avevo già tutto: una bella casa, una Ferrari, non mi divertiva l’idea di impegnarmi. Nel ”94 quando il treno è ripassato ho pensato anche ad Eva, mia moglie, lei era giovane, così attenta alla moda. Però ho perso la mia libertà e non ho amici, veri: conosco migliaia di persone, ma, a parte la mia famiglia, non mi sono mai sentito così solo”. Un’infanzia difficile la sua. ”Mio padre ucciso dai nazisti, mia madre sola a Firenze con un negozio di carbone, un secondo marito sbagliato, io con la mia balbuzie che mi portò a perdere due anni alle medie. Facevo il cinico, ero sempre a zonzo, poker e cavalli”. Poker, cavalli e donne ma prima di Eva, sua moglie. [...] una volta portai mia madre a New York a una festa, non la trovavo più: era seduta su una poltrona, con il suo metro e cinquanta e i suoi 77 anni e i capelli bianchi, che con una voce stridula mi disse: ”Robertino, hai visto mi hanno offerto una sigarettina...’. E io ”Mamma è uno spinello!’” [...]» (Paola Pollo, ”Corriere della Sera” 23/12/2005) • Volare «[...] il mio chiodo fisso, la mia passione neanche tanto segreta, che mi ossessiona da quando ero bambino. La notte, sognavo di avere le ali, di librarmi nell’aria, negli spazi infiniti, per guardare il mondo dall’alto. Vai a capire il motivo! Forse perché soffro di claustrofobia, mah! Crescendo comunque sono riuscito a realizzare il mio desiderio. Nel ”79 mi sono comprato un elicottero [...] un Ecureille dell’Aerospatiale, da cinque posti, lungo tredici metri. Quasi un mini appartamento fra le nuvole, di cui m’innamorai [...] Lo vidi esposto all’aeroporto di Peretola. Mi spiegarono che era in robustissima fibra di vetro, un vero gioiellino. ”Lo voglio”, m’incaponii. E lo ordinai. Dovetti attenderlo due anni, giusto il tempo di prendere il brevetto. Quando arrivò lo battezzai Io e te (sono le iniziali della sigla India-Oscar-Eco-Tango-Eco). I primi tempi viaggiavo moltissimo in compagnia di Eva, la mia seconda moglie, e dei miei figli. Andavamo a Parigi, Londra, sul Monte Bianco... Tanto che Eva, a furia di accompagnarmi, aveva imparato a pilotarlo [...] Adoro gli animali [...] mi faceva compagnia uno scimpanzé. Preso a Parigi e portato via dal negozio su due piedi. I suoi sguardi umidi mi avevano conquistato subito. Quando si ammalò lo vegliai per notti intere, non voleva più lasciarmi la mano. Il giorno che morì fu uno strazio. Ho cominciato a dipingere da ragazzino. Prima a scuola e poi all’Accademia. Mi piaceva molto. Mio nonno, Giuseppe Rossi, era un macchiaiolo. Due suoi quadri sono esposti a Palazzo Pitti. ”Sono fiero di te”, mi disse una volta con le lacrime agli occhi, quando una sera al ristorante - negli anni Cinquanta - vide che stavo scarabocchiando un discreto ritratto sul tovagliolo [...]» (Antonella Amapane, ”Specchio” 30/5/1998).