19 febbraio 2002
Tags : Regine Cavagnoud
Cavagnoud Regine
• . Nata a La Clusaz (Francia) il 27 giugno 1970, morta ad Innsbruck (Austria) il 31 ottobre 2001. Sciatrice. Campionessa del mondo di superG. Le fu fatale un incidente in allenamento sul ghiacciaio di Pitztal, Alpi austriache, in cui era rimasta gravemente ferita: si era scontrata in velocità con l’allenatore dei tedeschi, Markus Anwander. «Quella ragazza era l’immagine dell’esuberanza, della forza, della determinazione. Aveva sfiorato più volte la morte [...] la vita sciistica della trentunenne campionessa mondiale di supergigante è stata martirizzata da un’impressionante serie d’incidenti, uno più grave dell’altro, e sempre questa timida e coraggiosa ragazza [...] era ritornata alle gare con infinita fiducia nei propri mezzi. ”La fortuna nella vita vuol dire far coincidere desiderio e dovere” [...] disse ai mondiali di Sankt Anton [...] alla vigilia della gara in cui avrebbe trionfato, e lei avrebbe battuto tra le altre anche la nostra Isolde Kostner. [...] ”Volevo correre la discesa, però avevo paura. Era difficile da accettare per una discesista, ma bisognava che ne parlassi. Invece, je gardais tout pour moi, tenevo tutto dentro di me, non sono una che si confida o che si lamenta dei suoi problemi, cerco di arrangiarmi da sola, perché voglio essere davvero una donna indipendente”, spiegava, sgranando occhi azzurri come il cielo che davano ancora più luce al suo bel viso. Era afflitta da un baricentro poderoso, e da altrettante poderose cosce, segno di allenamenti intensi e feroci [...] Ma quel volto luminoso la rendeva attraente. Addosso, sotto la tuta, portava i segni delle sue vicissitudini. Una geografia di cicatrici le ricordava ginocchia sfasciate, cadute a gogo, distorsioni, rotture di legamenti, fratture. Un campionario d’infortuni. L’ultimo, durante la preparazione estiva a Parva in Cile: il 17 agosto aveva sbattuto la faccia violentemente sul ghiaccio, per fortuna rimediò solo un leggero trauma cranico, il che non impedì uno stop precauzionale di cinque settimane. Perché la botta fu più forte piscologicamente. Régine era ripiombata nel tunnel della paranoia. Valeva la pena continuare, se ogni volta ti fai male e se ti ritorna l’angoscia della paura? Valeva la pena rischiare la pelle per una medaglia in più, per un contratto di sponsorizzazione più ricco? A settembre, in allenamento, non riusciva più a gettarsi giù, aveva come davanti a sé la visione di una caduta, di un’inforcata. Premonizione? Chissà. Venne la crisi dell’11 settembre, il crollo delle Torri Gemelle, l’idea che le prossime Olimpiade di Salt Lake City potessero saltare, e allora che senso aveva correre ancora? Pure questa inquietudine (collettiva) aggiunse sale alla ferita dell’anima. Come se la fantasia e la morte le avessero anticipato l’agguato del destino sul ghiacciaio del Pitztal, come se la disgrazia non fosse colpa di un banale malinteso tra due squadre che si allenavano assieme, ma non usavano le stesse frequenze radiomobili per comunicarsi il ”via libera”, come se tutto fosse davvero ”ineluttabile”, l’alibi eterno dello sci quando muore un campione» (Leonardo Coen, ”la Repubblica” 1/11/2001).