Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CAVANI

CAVANI Liliana Carpi (Modena) 12 gennaio 1933. Regista. Ex consigliere d’amministrazione della Rai (dal 1996 al 1998) • «Autrice di film come Portiere di notte, Al di là del bene e del male, La pelle, Liliana Cavani è tra le più note registe italiane. Nata [...] da famiglia operaia, dopo la laurea il Lettere antiche si diploma al Centro sperimentale di cinematografia. Il suo primo film, Francesco d’Assisi, del ”66, è considerato, a dispetto del dichiarato laicismo dell’autrice, un manifesto del dissenso cattolico. Nel ”68 Galileo, sul rapporto tra intellettuali e regime, è boicottato dalla Rai [...]» (Concita De Gregorio, ”la Repubblica” 9/7/1996). «[…] Ho sempre avuto una gran fiducia nel progresso perché da quando sono nata le cose sono andate sempre migliorando. Io sono cresciuta ne dopoguerra e ho fiducia nella capacità della gente di capire che lo sviluppo democratico è un bene reale e straordinario [...]» (Alain Elkann, ”La Stampa” 15/4/2001). «’Sono una persona libera, non inquadrata. Mi hanno affibbiato tutte le etichette possibili, forse sono soltanto una non agguantabile, non classificabile. Mi hanno censurato e condannato, negli anni, tanto le destre legate a strane associazioni di famiglie cattoliche, quanto le sinistre ortodosse, i benpensanti del Pci che mi stroncavano sull’’Unità” o su ”Paese Sera”. [...]. scrissi, in un pomeriggio, la storia de Il portiere di notte , un film che scandalizzò e insieme affascinò il pubblico italiano e internazionale perché svelava che il nazismo, il male assoluto è dentro di noi, è il nostro inconfessabile doppio”. I personaggi scelti da una regista irregolare sono, anche loro, scomodi e irregolari. Si va dal San Francesco del 1966, ”girato per la Rai su suggerimento di Angelo Guglielmi, venne fuori un tipo hippy e pre-sessantottino, fu soltanto grazie a un prelato dell’Opus Dei, monsignor Angelicchio, se la Rai di allora lo mandò in onda. Ricordo che, dopo la proiezione, fu lui a dire: mi assumo la responsabilità della trasmissione” al Nietzsche di Al di là del bene e del male , in un’epoca in cui i libri del filosofo tedesco iniziavano ad essere stampati dalla Adelphi, ”finalmente, dopo decenni di oscurantismo di sinistra”, dai nazisti del Terzo Reich alle donne contadine che liberarono l’Italia dal fascismo ”dimostrando un impegno per la parità sessuale che allora sembrava imminente e che ancora non c’è... che dispersione di energie la mancata utilizzazione dei cervelli femminili”. Dal Galileo censurato dalla Rai, ”E poi oggi dicono che Ettore Bernabei fu un dirigente Rai coraggioso. Ma quale coraggio? Ebbe paura di mandare in onda il mio film su Galileo, nel 1968, fu definito troppo anticlericale e venduto ad Angelo Rizzoli senior, il quale a sua volta sembra che lo ritirò dalle sale per fare un piacere a Giulio Andreotti, non ho mai avuto il coraggio di chiedergli se quel piacere era stato chiesto davvero o fu offerto, chissà perché Galileo terrorizzava tanto, fu poi trasmesso in tutte le scuole cattoliche”, fino a Milarepa e agli ultimi sceneggiati. [...] Viene da Carpi, figlia unica di Ugo, architetto di origine mantovana - realizzò per conto degli inglesi, nel 1956, l’assetto urbanistico di Bagdad - e vanta un nonno materno sindacalista antifascista, ”senza lavoro per vent’anni, doveva nascondersi ogni volta che un gerarca veniva in visita in città. Si chiamava Enrico Scacchetti, discuteva in casa di Bakunin e di rivoluzione, mise nome a due figli Libero e Libera, non si volle mai sposare in chiesa”. Laica, studiosa e appassionata di archeologia e di cinema, la ragazza Cavani va tutti i giorni in biblioteca per dare uno sguardo ai quotidiani che in casa non arrivavano. Un giorno scopre che la rivista Il Mulino ha indetto un concorso dal titolo ”Saper leggere la stampa”. In palio, 100 mila lire: una cifra enorme, per l’anno 1955. Lei partecipa con un tema che sorprende il professore d’italiano, ”Il convegno sul neorealismo cinematografico promosso da Cesare Zavattini a Parma nel 1953” (molti anni, dopo, Zavattini le regalò, per ricordo, una scatola di fiammiferi d’argento che fu incisa in quell’occasione. [...]). Vince, regala metà del premio allo zio Libero che deve sposarsi, e fonda un cineforum, il ”Manfredo Fanti”, ”Un modo per poter vedere i film colti, quelli che nessuna sala proiettava, ma anche per rivedere i capolavori italiani, come Germania anno Zero di Rossellini, Umberto D di Vittorio De Sica, il mio regista preferito”. Dal concorso del Mulino a quello per il centro sperimentale di cinematografia. Ammessa, insieme a Marco Bellocchio e a Silvano Agosti, la Cavani arriva a Roma negli anni in cui la Rai assume - sempre per concorso, e lei doveva essere di certo una prima della classe - Umberto Eco, Furio Colombo, Angelo Guglielmi. ”Erano in palio 30 posti, ci presentammo in undicimila. Come preselezione, un tema: mi ritrovai, sperduta al Palazzo dei Congressi, con zero raccomandazioni. Vinsi, ma rifiutai l’assunzione come funzionario. Non avrei mai potuto passare la vita alla scrivania. In cambio, ottenni di poter girare dei documentari. Proposi subito La storia del Terzo Reich e il mio capo, Pier Emilio Gennarini, dopo un test con un filmato sulla pubblicità, mi dette il via libera. Era un cattolico di sinistra geniale e appassionato: gli eravamo stati affidati noi, i giovani che dovevano mettere su quello che allora si chiamava il secondo canale culturale. Naturalmente, in quell’occasione, avevo accanto la critica di sinistra. E contro l’ambasciata tedesca: sconsigliò la trasmissione di quelle immagini sul primo canale, sollevando il problema dei nostri immigrati in Germania, un modo per dire che il nazismo era una ferita ancora aperta. Prima censura. Subito dopo, proposi L’età di Stalin , realizzammo quattro ore di filmati, con immagini provenienti dalla biblioteca del congresso Usa, da Londra e da Parigi. E lì, si scatenarono ”Unità’ e ”Paese Sera’. Ma era solo l’inizio”. Con il primo governo di centro-sinistra, siamo nei primi anni Sessanta, il socialdemocratico Italo De Feo diventa presidente della Rai. Liliana Cavani gira La casa in Italia: ”andai da Torino a Palermo a vedere dove finivano i soldi spesi dallo Stato e come vivevano i meridionali al Nord, nelle baracche di cartone come accade oggi ai nostri extracomunitari. Dopo le prime due puntate, De Feo volle vedere personalmente le altre due. Risultato: la terza fu tagliata di 20 minuti, la quarta fu ridotta da un’ora a 35 minuti. Mi etichettarono come ”criptocomunista’, visto che non ero e non sono stata mai iscritta al partito. Mi salvò Fabiano Fabiani, che allora dirigeva il TgUno, mi prese a collaborare agli speciali del telegiornale”. Quando arriva il Sessantotto, i carri armati sovietici entrano a Praga e Liliana Cavani entra in crisi: ”Ero stata due anni prima là, avevo conosciuto i protagonisti della cosiddetta ”primavera’, avevamo vissuto insieme la scoperta della libertà, chiesi a Mino Argentieri, il critico di ”Rinascita’, di scrivere insieme qualcosa contro l’Urss, ma scoprii che c’era in giro una gran paura di scontentare il Pci”. Sempre in quell’estate, la Cavani ha il suo Galileo in concorso alla Mostra di Venezia: è l’anno della contestazione e il direttore Luigi Chiarini viene messo sotto accusa. ”Era un socialista molto in gamba - ricorda oggi -. Pierpaolo Pasolini e Bernardo Bertolucci ritirarono i loro film, io no. Non volevo cedere a quella manfrina festivaliera. Il Sessantotto non mi ha mai convinto: gli studenti di architettura passavano sotto queste finestre per andare a manifestare, li vedevo tutti con giubbotti di lusso, i Rolex al polso, somigliavano a un mio fidanzato di allora, che poi infatti sposò una pariolina, ho sempre condiviso le denunce di Pierpaolo contro i borghesi viziati che tiravano pietre contro i poliziotti. Ricordo che un giorno, tornando dal festival di Pesaro con lui e Ninetto Davoli sulla sua Ferrari, parlammo per ore e ore delle ragioni della polizia che doveva fronteggiare i contestatori”. Nonostante le battaglie contro le censure, la regista è ancora innamorata della Rai: ”Ha salvato, con la fiction, migliaia di lavoratori del cinema destinati alla disoccupazione. Fu proprio il consiglio d’amministrazione delle donne, quello guidato da Enzo Siciliano all’epoca del governo Prodi-Veltroni in cui entrai con Fiorenza Mursia e Federica Olivares, ad invertire la tendenza degli acquisti dei film e telefilm dall’estero. Se oggi la Rai è un grande produttore e un grande distributore di prodotti italiani, lo si deve al nostro lavoro di allora”. [...]» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 21/5/2005).