Varie, 19 febbraio 2002
CECCHI GORI Vittorio
CECCHI GORI Vittorio Firenze 27 aprile 1942. Imprenditore cinematografico e televisivo. Ex proprietario della Fiorentina (fino al fallimento del 2002). Tre arresti per bancarotta fraudolenta: 28 ottobre 2002 (crac della Fiorentina, condannato a tre anni nel 2006, se la cavò grazie all’indulto), 3 giugno 2008 (un paio di mesi dietro le sbarre di regina Coeli per il crac della Safin), 25 luglio 2011 (stavolta ai domiciliari per il crac della Finmavi). Nel 1996 e nel 1998 fu eletto al Senato (Ppi), È stato sposato con Rita Rusic • «Non è la fine della storia a spiegare tutto. Meglio l’inizio, meglio i primi cinque decenni in cui è stato costretto a diventare Vittorione come suo padre Mario, il mitico produttore cinematografico della commedia all’italiana (vedi alla voce “vita”), era Marione: ma per fare un accrescitivo non bastano le parole. Marione, quel ragazzo lo chiamava “il mi’ bischero”. Quando Vittorino presentò a Marione un’ex modella di “Postalmarket”, figlia di un muratore, sassofonista a tempo perso, dalle sedicenti origini dalmate ma stanziale a Busto Arsizio, una che si chiamava Rita Rusic e credeva di essere un’attrice, Marione commentò: “Quella, il mi’ figliolo se lo ficca in saccoccia” . Difatti: sedici anni insieme, due figli (Vittoria e Marietto), il ruolo di Rita sempre più operativo quando muore Marione, d’infarto, nel ’93. Adesso è lei che fa la produttora, la Ritona: scopre Pieraccioni e Panariello. Insomma, se prima c´era il padre a fare ombra al su’ figliolo, ora quell’ombra appartiene alla moglie. E Vittorino ci sta dentro, finché non esplode e sono risse epocali, chiamate al 113, tentativi di strangolamento reciproco. Lei dice: “Mi picchiava e andava con le prostitute”. Lui risponde: “Una croata, ecco cos’è: una croata”. Lei gli fa causa per duemila miliardi di lire, la metà esatta del patrimonio quando ancora un patrimonio esisteva, lui le deve versare per gli “alimenti” un assegno da settanta vecchi milioni al mese. E chissà se prima di morire di crepacuore, Marione avrà portato Vittorio sulle colline di Firenze, o di Roma, o di Beverly Hills, per dirgli con un ampio gesto ad abbracciare l’orizzonte: “Guarda, figliolo: un giorno tutto questo non sarà più tuo”. Per restare ragazzini a sessant’anni, avvinghiati a una biondona che si chiama come la tua povera mamma (Valerie entrambe, e la signora Cecchi Gori era proprio un’istituzione, una mamma con quattro emme), bisogna essersi impegnati a fondo. Per non crescere mai. Vittorio c’è riuscito, partendo bene: play boy nella dolce vita romana, un salto sul set per scherzare con Gassman (“Io, a sette anni stavo sulle ginocchia di Eduardo!”), una collezione di donne da cinemascope (Marisa Del Frate, Maria Grazia Buccella), a parte un bonsai biondo, Maria Giovanna Elmi. Babbo Marione lo tiene lontano da tutto, affidandosi a segretari e autisti purché il figliolo non faccia danni. E Vittorio gioca, ride, sogna. Ma a cinquant’anni la vita passa una prima volta all’incasso, e si porta via papà Mario. Il figliolo non abbottona la camicia spalancata sul pelo, dove sfavilla un crocifisso incastonato di diamanti, non smette di levigare il ciuffo cotonato color mogano alla Tony Dallara, non interrompe la raccolta di gigantesse (lui, senza tacchi, è uno e sessantasette: “Come Berlusconi, però Silvio ha il rialzo”), eppure prova a fare da solo, soffia via l’ombra di Rita, governa la Fiorentina, compra Batistuta, caccia l’allenatore Radice gridando “io sono laureatooo!”, produce tutto Celentano e film da Oscar (Salvatores, Troisi, Benigni), opere di grandi autori (Olmi, Antonioni, Fellini, Scola), pensa di depurare l’Arno perché lo vede lurido quando si affaccia dal suo attico, si mette in testa di poter essere più alto di Berlusconi in tutto: nel pallone, in politica (diventa senatore con i Popolari), con le tivù (si prende Tele Montecarlo e poi crea Tmc 2), nel cinema. È l’errore colossale, infatti il suo ex socio di produzione (Penta America) lo polverizzerà. In una manciata di mesi Vittorione perde Batistuta, Rui Costa, le tivù, il seggio in Parlamento, la mamma, la Fiorentina (“ È una casa di cristallo” dice, prima di frantumarla) e una montagna di miliardi. I tifosi della curva Fiesole lo chiamano Cecchi Grullo, e appendono allo stadio uno striscione con questa terribile domanda postuma a Marione: “Quella volta ’un ti potevi fare una sega?”. Oppure, un messaggio più lieve: “Valeria sculaccialo”. Ma c’è un sottofondo lievemente infame in quest’abbandono assoluto dell’uomo che incarnò trionfante la scommessa della rovina, come quando Batistuta commenta: “L’hanno arrestato? Che scocciatura, adesso romperanno le scatole anche a noi”. E allora addio, figlio di un padre troppo grande e di una vita troppo comoda, troppo ricca, troppo più smisurata di te. Però è bello ricordarlo ancora in piedi sulla balaustra dello stadio “Artemio Franchi”, tra Naomi Campbell e la Cucinotta, mentre rotea la giacca come un lazo dopo un gol dell’ingrato Batistuta, oppure la sbatte in terra per saltarci sopra a piedi uniti, tipo cartone animato, dopo una sconfitta. Paonazzo, dolente, smodato. Eppure, eppure, meno fasullo di tanti altri» (Maurizio Crosetti, “la Repubblica” 30/10/2002). «“La mia vita è un film” dice lui. Sì, ma che film. Il Borgorosso di Albertone arricchito da biondone leopardate, da inchieste della magistratura, da improbabili candidature politiche e dai ricordi delle sue terrazze romane, quelle dove Mario e Memmo Carotenuto giocavano con le loro gags. Una bella commedia all’italiana, la vita di Vittorio, figlio di quelle pellicole che il padre Mario inventò nell’Italia del boom, dando vita a un filone che poi la crisi dei settanta avrebbe trascinato sotto la gonna di Laura Antonelli e oltre il reggiseno della Fenech. Che vita, Vcg. Con la sua spider che scorrazza tra i Parioli e i set. “Sono cresciuto sulle ginocchia di Eduardo” ricorda lui. E tra le braccia di Maria Grazia Buccella, il suo primo amore da rotocalco. Il tycoon più naif che c’è, da allora, non è cambiato molto. A Firenze lo chiamano il cotonato per via di quel taglio che sembra uscito da un’antica reclame dei mitici fratelli Bundi. E poi quella camicia aperta sul petto che offre la visione mistica di un crocefissone incastonato di diamanti. Tutti si chiedono: ma ci è o ci fa? Domanda inutile. Il suo esordio in tv avrebbe dovuto chiarire le idee a molti. Vittorio caccia Gigi Radice al grido: “Io sono laureato”. Firenze inizia a vergognarsi un po’, ma Vittorio tira fuori i soldi e allora va bene così. Batistuta segna e lui sale in balaustra. La Fiorentina cresce e lui inizia a gonfiarsi con lei. Dal ’93, dalla morte del padre, è diventato il padrone di un impero, dopo un po’ di gavetta negli Usa con la Penta, in società con Berlusconi, quello che il “babbo” gli indicava come un esempio. “Guarda Silvio, impara da lui”. Roba da psicanalista. Ma lui adesso è un uomo maturo, padre di due figli, sposato con Rita Rusic, protagonista di un paio di grugniti nel film Attila Flagello di Dio e novella manager. E poi gli Oscar: Mediterraneo, La vita è bella. Nella sua villa di Beverly Hills si fa festa. Vittorio vuole scalare il mondo seguendo la scia di Silvio. Ecco la candidatura nel partito popolare. “Me lo ha chiesto Martinazzoli” dice lui, che sempre su consiglio di un centrosinistra impaurito dallo strapotere mediatico berlusconiano, si accolla un terzo polo destinato a restare incollato a terra. Il cinema tira ancora, ma la grande crisi inizia dalla tv e diventa sempre più grave, finchè Cecchi Gori non arriva al limite e cede Tmc a Seat: un affare in parte legato ad azioni che fanno precipitare il prezzo, un’operazione ancora incagliata in un arbitrato che blocca i conti del gruppo. “Morirò con dei crediti, non con dei debiti” urla il senatore, Don Chisciotte in lotta contro un sistema che decide di voltargli le spalle. Come Rita Rusic, che dopo qualche scazzottata taglia la corda. Vittorio tiene duro, ma il tramonto è iniziato. Le banche gli chiudono gli sportelli in faccia, dai conti della Fiorentina iniziano a partire bonifici a favore della Fin.Ma.Vi., la finanziaria del gruppo. La procura di Firenze apre un’inchiesta per riciclaggio, l’Ulivo lo spedisce in un improbabile duello elettorale ad Acireale, dove lui trascina al minimo storico il centrosinistra. Chiuso dentro Palazzo Borghese, reggia con tanto di ipoteche, con Valeria Marini al fianco (“Le altre donne mi hanno amato perché mi chiamo Cecchi Gori, lei perché mi chiamo Vittorio”), l’ex senatore inizia a cedere film alla Medusa di Berlusconi, tornando in prima pagina per via di quegli otto grammi di cocaina trovati nella sua cassaforte. Il caso è archiviato. Ma adesso a Firenze Vcg è il re dello zafferano (“ È l’unica droga che conosco” dice in tv). “Sì, perché la mia vita è un film” continua a ripetere. E le battute di questa sceneggiatura sono quasi geniali. “Non venderò mai Rui Costa”, “Voglio comprare un depuratore per l’Arno, perché quando mi affaccio dal mio attico non posso vedere un fiume ridotto così”, “Fiorentina-Inter l’hanno vista quattro miliardi di persone”. E avanti, fino alle ultime notti senza sonno, con Franco Tatò che gli tiene la mano mentre lui piange e ride, e poi urla “Mi state strozzando”» (Benedetto Ferrara, “la Repubblica” 2/8/2002). «Figlio di produttore, marito di produttrice. Non ha la praticità della moglie, non ha neppure il geniale istinto del padre di cui si ricorda una stupenda battuta: “ È scandaloso che un produttore cinematografico chieda alla sua attrice di accomodarsi sul divano. Ma è più scandaloso ancora che sia l’attrice a non accomodarsi sul divano”» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998). « È successo tutto a me. Il destino mi ha dato tanto ma qualcosa si è pure ripreso, ma rifarei tutto quello che ho fatto […] Non ho mai sbagliato un’iniziativa imprenditoriale. Nel cinema ho vinto tre Oscar, nelle Tv sono record d’ascolto […] Prima che arrivasse Rita ho fatto tutti i film di Celentano e di Bud Spencer. Quando non erano ancora famosi, Panariello, Pieraccioni e Ceccarini vennero da me con dei soggetti e io li ho fatti leggere a mia moglie. Lo faceva anche mio padre con mia madre... È normale […] Sembra che io sia un Casanova. Le donne si vogliono affermare ed è giusto, però il problema delle donne è che quando gli fa comodo fanno le donne e quando non gli fa comodo fanno gli uomini, mentre noi siamo sempre uomini. […] Ho avuto l’impressione che le donne si innamorassero di Cecchi Gori. Valeria Marini è l’unica donna che ama non Cecchi Gori ma Vittorio, e pensare che da me non ha avuto niente. Anzi, sono stato quasi un problema per lei, e invece mi ha difeso in pubblico […] Ho picchiato Chiambretti e lo rifarei, ma non sono manesco, sono adrenalinico di natura» (“la Repubblica”, 27/11/2001). Ex senatore, tentò la corsa anche nel 2001, collegio d’Acireale, e per la campagna elettorale non fu avaro di promesse: «Io non vi posso promettere di cose che non tratto. Però vi dico che questo posto è una meraviglia per farci film. Quando si è girato in Garfagnana ho perso un sacco di soldi perché pioveva sempre e si doveva stare fermi, soldi buttati. Qui non piove mai. L’ho detto anche alla mi mamma, che ha fatto ora 80 anni e va a Capri a riposarsi: mamma, Capri è umida, le isole piccole sono umide, quelle grandi come la Sicilia sì che son belle clade, è lì che si deve andare […] Io son venuto qui nel ’93, mi sto ancora chiedendo come mai: la Fiorentina era andata in serie B ed era appena morto mio padre. Per queste due ragioni ero molto amareggiato. Non andai a seguire nessuna trasferta, tranne quella con l’Acireale. Un segno del destino, proprio. Si pareggiò, mi ricordo che lo stadio non aveva l’illuminazione. Ieri ho rivisto il custode: l’illuminazione non c’è ancora mi ha detto. Era proprio destino che ve la facesse un fiorentino» (“la Repubblica” 1/5/2001).