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 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CELESTINI Ascanio Roma 1 giugno 1972. Autore e attore. «Uno dei rari cantastorie che sfugge alla scuola di Fo, non solo per il suo inclinare al romanesco quanto per una dizione non personalizzata e senza implicazioni figurative» (Franco Quadri sulla ”Repubblica” del 2/12/2001)

CELESTINI Ascanio Roma 1 giugno 1972. Autore e attore. «Uno dei rari cantastorie che sfugge alla scuola di Fo, non solo per il suo inclinare al romanesco quanto per una dizione non personalizzata e senza implicazioni figurative» (Franco Quadri sulla ”Repubblica” del 2/12/2001). «I racconti dei partigiani per lui sono così epici da evocare le gesta di Ettore e Achille. Sostiene che la cultura popolare italiana ha subito un freno e un guasto alla fine dell’ultima guerra con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa. un patito della tradizione orale, legata molto ai gesti, improntata a tutto meno che alle immagini. ”Le cose non si devono vedere. La gente, il pubblico ha bisogno di lavorare di fantasia. La tv, riproducendo in dettaglio ogni tipo di scenario, non fa più pensare. Io m’attengo a un criterio etnografico: registro, ascolto qualunque vicenda, prestando attenzione anche a quello che s’è mangiato il giorno prima. Le persone hanno bisogno di dire, di riferire, e sono inclini a sentire i resoconti a braccio, decifrando le storie che altri riportano: è quanto accade da sempre coi messaggeri nelle tragedie greche. un fenomeno naturale’. [...] Ha cominciato a lavorare in pubblico dal ”98 per una trilogia sulla narrazione orale iniziata con Baccalà, il racconto dell’acqua e conclusa nel 2000 con La fine del mondo, spettacolo coprodotto dal Teatro di Roma, poi ha intrattenuto il suo pubblico con Radio clandestina che rievoca i fatti della capitale dalla fine dell’800 ai drammatici giorni del ”44 con l’azione a Via Rasella e la rappresaglia alle Fosse Ardeatine [...] su RadioTre Milleuno: racconti minonti buffonti, [...] col gruppo musicale Klezroym e col partner Olek Mincer un nuovo percorso, Saccarina, cinque al soldo!, un raffronto di vite economiche parallele nel ghetto-enclave di Lodz e nel ghetto di Roma sottoposto ai rastrellamenti del ”43. La sua vocazione di artista sociale e contastorie è nata ”dalla suggestione che mi incuteva mia nonna col suo repertorio di storie di streghe e di fatture ambientate nella zona di Anguillara. Quando scoprii che certi elementi del suo universo visionario ricorrevano pure nella tradizione europea finii per incantarmi e cominciai ad avere un interesse serio per tutta la materia. Già avevo una propensione per la Commedia dell’Arte, e mi misi ad approfondire le tecniche orali con una comunità chiamata gruppo Teatro del Montevaso, vicino Livorno. Quando venni via da quel casale di montagna, presi parte a una giullarata dantesca girando per festival e sagre, per paesi e paesini. Seguì uno spettacolo su Pasolini, Cicoria, presentato sia a Roma che a Volterra. Poi mi sono addentrato nella trilogia, portando l’ultimo capitolo sul palcoscenico dell’Argentina. Mentre Radio clandestina è stata pensata per Via Tasso, e per luoghi associativi, e Saccarina ha invece oggi dimensioni da raccontoconcerto per voci e musica’» (Rodolfo Di Gianmarco, ”la Repubblica” 2/9/2001). «Un raccontatore popolare e contagioso che ha l´aspetto (e un pizzetto) da anarchico gentile, fa il costruttore di parole e assume il ruolo d´un portavoce quieto (spesso sorridente) della coscienza, della memoria. assurto in breve a fenomeno conteso da spazi della ricerca, da luoghi civili e da palcoscenici istituzioni. [...] Che lingua usa? ”Inizialmente parlavo come mangiavo. Ho un nonno carrettiere e uno spaccalegna, una nonna contadina e una narratrice di storie di streghe (il marchio l´ho preso da lei). Mio padre era restauratore di mobili del Quadraro e mia madre da giovane era parrucchiera di Torpignattara (due quartieri popolari di Roma, ndr). Però da un certo momento in poi ho fatto mia anche la parlata di quelli da cui mi facevo dire storie di varia umanità o avventure di guerra, persone capaci di costruire vicende già di per sé teatrali, perché immaginano quello che dicono prima di riferirtelo, come un film vissuto. E ho preso a fare molto uso delle ripetizioni, che sono importanti per incidere le immagini. [...] Dopo il primo amore per la chitarra elettrica la svolta ci fu coi corsi universitari di etnologia e antropologia, con la registrazione delle esperienze degli anziani di casa, finché trascorsi tre anni dal ´95 al ´98 nel Livornese e in tutta l´Italia a fare teatro di strada, nei panni di uno Zanni romanesco, raccogliendo i soldi del pubblico col cappello. Canovacci miei. Cui seguirono gli spettacoli in proprio, per il pubblico sperimentale, finché il Teatro di Roma in seguito a un concorso sul nuovo teatro indetto da Mario Martone ospitò all´Argentina La fine del mondo e nei Luoghi della Memoria Radio Clandestina, un racconto delle premesse storiche e dei fatti dell´eccidio delle Fosse Ardeatine, il lavoro più vicino alla mia sensibilità attuale. [...] Credo che a teatro conti la responsabilità delle proprie azioni, che io riconduco alle forme orali della tradizione, sia di ieri che di oggi, più che alla scrittura. Per me le persone contano più dei personaggi. ciò che accade ai singoli che ha per risultato, poi, la complessità di drammi e tragedie di popoli. E sono convinto che il teatro è politica a prescindere dai temi. Perciò non butto nulla di ciò che vengo a sapere, e lavoro per accumulo [...] Io sono non credente. Ma quando [...] mi sono sposato ho voluto anche una festa in campagna dove i testimoni erano una quindicina di anziani che durante la cerimonia hanno rievocato le loro storie d´amore e di nozze. Abbiamo tutti bisogno di ritualità”» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 14/4/2004). «Quello che rende unico il suo lavoro di questo trentenne romano è che non si tratta di satira o contro informazione ma piuttosto qualcosa di più ambizioso e a un tempo umilissimo. una specie di anti storia d´Italia. Racconta quello che non racconta più nessuno, il mistero e lo scandalo della vita quotidiana, assai più nascosto dei misteri e degli scandali della storia, anzi vero oggetto della rimozione collettiva. L´immigrazione finisce in prima pagina soltanto quando un carico di clandestini affonda nel Mediterraneo? Il racconto di Celestini comincia dal clandestino che sbarca sulla costa della Sicilia, lo accompagna nell´avventura della scoperta di un nuovo mondo. Gli operai e i contadini finiscono nei telegiornali soltanto quando protestano per la chiusura della fabbrica, muoiono in un incidente sul lavoro, s´incatenano ai cancelli, bloccano con i trattori il traffico del sabato pomeriggio. [...] Il fascino del teatro di Celestini non è soltanto nell´oggetto dei racconti. E´ nel talento formidabile di affabulatore, ironico e commovente, ingenuo e astuto, che ricorda a tratti il Fo giullare o il primo Benigni, quello del poetico ed esilarante Cioni Mario. Quando a teatro si fa il buio e rimane la piccola luce sul palco, il silenzio si scioglie in una vocina che incespica e ripete, s´interrompe e riparte, s´è già iniziato un gioco ipnotico che trascina lo spettatore in un mondo dove il reale è più fiabesco della finzione e le parole sorde dell´attualità, ”guerra” e ”pace”, ”libertà" o "terrorismo”, si caricano di emozione, si gonfiano di pietà oppure luccicano di sarcasmo, nella più pura tradizione del racconto orale. Moni Ovadia ha detto: ”Marco Paolini e io giochiamo a essere quel che Ascanio realmente è”. Ed è singolare che il più sincero erede di una stirpe antichissima di affabulatori sia un giovane della generazione global o no global, che sembra non aver mai visto uno spot o un film americano, totalmente immune dal virus televisivo che più o meno colpisce tutti. Saranno stati la famiglia aneddotica, con le radici ben piantate nell´eterna riserva indiana del popolo romano, oppure gli studi di antropologia, la curiosità di raccontare un Paese così poco raccontato, va´ a sapere. Gli ho chiesto che cosa ha imparato sull´Italia, viaggiando per anni in ogni regione, città, villaggio, a raccogliere favole o storie vere o l´una e l´altra, memorie, canti, preghiere, riti, pensieri, sogni. Mi ha risposto: ”Ho imparato che gli italiani s´adattano in fretta a ogni cambiamento della storia, più in fretta forse degli altri, ma non cambiano. Siamo rimasti sempre contadini, quando andavamo in fabbrica o emigravamo in America o Argentina, Oceania, anche quando è arrivata la società dei consumi: contadini con la nostalgia di un mondo fermo, immutabile, dove le stagioni si ripetono”. Ascanio Celestini viaggia per l´Italia con una station wagon che contiene quasi tutte le sue scene. Porta in giro cinque spettacoli: Radio Clandestina, Fabbrica, Cecafumo, Vita Morte e Miracoli, La Fine del Mondo. Alcuni sono belli, altri comunque divertenti, qualcuno forse è un capolavoro, tutti meritano d´essere visti, rivisti, consigliati» (Curzio Maltese, ”la Repubblica” 14/4/2004).