varie, 19 febbraio 2002
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Chechi Yuri
• Prato 11 ottobre 1969. Ex ginnasta. Medaglia d’oro degli anelli alle Olimpiadi di Atlanta (1996) bronzo a quelle di Atene (2004). Debuttò con la Nazionale juniores il 5 aprile 1985 a Colorado Springs. L’anno successivo vinse il primo titolo italiano assoluto. Nell’87, l’esordio agli Europei di Mosca e ai Mondiali di Rotterdam. Due anni dopo arrivò la prima medaglia: il bronzo agli anelli ai Mondiali di Stoccarda. Nel ”90, a Losanna, conquistò il primo di 4 titoli europei agli anelli, la sua specialità per eccellenza: i successivi a Budapest ”92, Praga ”94 e Copenaghen ”96. A pochi giorni dall’Olimpiade di Barcellona ”92 si ruppe il tendine d’achille della gamba destra. Un anno più tardi, tornando alle gare, vinse a Birmingham il primo di 5 titoli mondiali: i successivi a Brisbane ”94, Sabae ”95, San Juan di Portorico ”96 e Losanna ”97. Nel ”97 si ritirò dall’attività per la prima volta. Tre anni più tardi riprese con l’obiettivo di gareggiare ai Giochi di Sydney, ma pochi mesi prima subì il distacco del tendine brachiale del braccio sinistro • «[…] Mio padre mi aveva costruito una bicicletta alta poco più di mezzo metro, Franco Bitossi che mi vide correre disse: ”Non ho mai visto uno così piccolo stare così bene in sella”. Ma io mi innamorai della ginnastica, anche se il mio eroe è rimasto Coppi per la forza e la fragilità, per tutto quello che ha dovuto sopportare nella vita privata. Io a 14 anni ho dovuto lasciare casa e andare in collegio a Varese, perché per la ginnastica in Italia c’erano solo due palestre. stato triste, duro, penoso. Ho sofferto tanto. […] Io a dieci anni mi facevo da mangiare da solo, stavo cinque ore in palestra, uscivo da casa a Prato alle sette di mattina per tornarci alle dieci di sera. Con lo sport vivi cose molte belle, ma ne perdi altre. Impari il prezzo di ogni scelta: e lo paghi […] i miei sono atei, però mi accompagnavano in chiesa e mi aspettavano fuori. Nell’86 Federico Chiarugi, detto Chico, mio amico e compagno, nel riscaldamento mi passa avanti e corre a fare un esercizio, lo stesso mio, cade male, resta paralizzato dal collo in giù. In quel momento ho pensato di smettere, ho chiesto aiuto alla fede ma non l’ho trovato. Avevo 16 anni. Non riuscivo a capire perché se Dio amava ognuno di noi, aveva permesso che un giovane ragazzo non camminasse più. Alla fine chi mi ha aiutato è stato proprio Federico che all’ospedale mi ha detto: ”Juri non abbandonare, tu sei nato per vincere” […] quando ad Atene, sono rientrato al villaggio olimpico, scortato e con la medaglia collo. Sono entrato in camera, ho fatto la pipì, e mi sono detto: e adesso? Che faccio, dove vado? Ho sentito dentro un vuoto pazzesco, non è che il mondo finiva, ma una parte della mia vita si chiudeva. difficile scendere dallo sport senza scossoni, chiunque dice di no è bugiardo. Dove lo trovi un altro attimo d’immortalità così immenso? Leopardi aveva ragione: la vita sta nel sabato del villaggio. La domenica è bella, ma è un’altra cosa […] il mio problema da sportivo era un altro: la stitichezza. Ogni viaggio, ogni cambiamento di abitudini ha avuto effetti drammatici su di me. E poi come ginnasta a tormentarmi sono state le piaghe sulle mani, i calli grossi come bistecche che si aprivano e contro i quali non c’era niente da fare se non stringere i denti e gareggiare lo stesso. […] Da mio padre ho preso molte lezioni di vita, ma ho fatto bene a non mollare la ginnastica deluso da giudici e punteggi. Nello sport deve vincere il più bravo, non il più baro. E per questo bisogna impegnarsi. Capisco che dove decide l’uomo ci può essere sempre lo sbaglio, ma spesso è pura malafede. Non puoi mettere quattro anni della tua vita in mano a chi non vuol vedere con occhi puri. O vogliamo dimenticarci che i giudici di Atene sono stati qualificati? Io cerco anche di scordare che c’era chi nel mio ambiente ha detto che ero patetico e che in Grecia non ci dovevo proprio andare […] Non mi riesce tifare per squadre di calcio. Ci ho provato con Fiorentina, Roma, Inter. Proprio non ce la faccio. Preferisco Mohammad Alì e Coppi che hanno saputo dare un segnale al mondo. E l’hanno pagato. Mentre i calciatori non pagano mai niente. E sul doping hanno sempre una corsia privilegiata, Longo nell’atletica ha dovuto star fermo due anni, chi gioca a pallone invece viene solo sgridato e quasi mai punito […]» (Emanuela Audisio, ”la Repubblica” 26/3/2005) • «Negli occhi quel maledetto infortunio che gli tolse l’Olimpiade di Barcellona, nella mente un solo pensiero: eseguire un esercizio perfetto per pareggiare i conti col destino. Jury Chechi si è avvicinato ai Giochi di Atlanta con la grinta di un leone e la consapevolezza di non poter sbagliare una virgola. E così è stato. Medaglia d’oro agli anelli con un’esecuzione perfetta suggellata da un arrivo impeccabile, quasi divino. [...] ”La notte prima della gara ero abbastanza tranquillo, sapevo di avere buone possibilità di vincere l’oro. L’unico problema era un dolore fortissimo alla spalla destra, per fortuna il mio massaggiatore Salvatore verso le 2 me l’ha messa a posto. Al risveglio stavo bene, anche se un po’ di preoccupazione c’era. [...] Per me era già importante esserci. E molte volte ho pensato che dovevo per forza tornare con un risultato appagante. Ero in credito verso il fato e questa sensazione mi ha aiutato molto: pensavo che fosse la mia ultima chance, ma sapevo anche che era inaccettabile che mi andasse male. Sono una persona fatalista, questo mi ha aiutato a vivere nella difficoltà da una parte, ma con la giusta serenità dall’altra. [...] La gara è partita con punteggi molto alti dei miei avversari diretti, l’ungherese e il rumeno, erano andati benissimo con più di 9.80. Io sono salito per ultimo agli anelli con la consapevolezza che per vincere avrei dovuto superare 9.80. Sapevo che il minimo errore non mi avrebbe permesso di vincere la medaglia. [...] Ho vinto cinque Mondiali, quattro Europei, ma se un ginnasta non vince l’Olimpiade gli manca qualcosa di fondamentale. [...] Posizione preferita agli anelli? La croce. una di quelle più antiche. Mi viene con naturalezza, con facilità. Questo mi ha anche differenziato dagli altri ginnasti che quando fanno la croce mostrano una grande fatica sul loro volto. Io l’ho eseguita in maniera molto serena, senza mostrare troppa fatica, che c’era naturalmente, dando così una buona impressione alla giuria. Questo mi ha aiutato molto per il punteggio. [...] La parte finale, prima dell’atterraggio. fondamentale, devi essere preciso. Come si dice in gergo, devi stoppare l’arrivo, non puoi spostare un piede, le mani, eccetera. Non è facile. Io sono uscito con un doppio salto teso, un’uscita molto difficile: arrivare fermi non era scontato, anche se avevo provato un migliaio di volte. Un attimo prima dell’arrivo ho immaginato che se non l’avessi stoppato non avrei vinto una medaglia. Invece è stato tutto perfetto» (Gabriella Mancini, ”La Gazzetta dello Sport” 29/2/2004).