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 2002  febbraio 19 Martedì calendario

CHIARUGI Luciano. Nato a Ponsacco (Pisa) il 13 gennaio 1947. Calciatore. Campione d’Italia con la Fiorentina nel 1968/69, ha vinto anche due coppe Italia (Fiorentina 1965/66, Milan 1972/73) e una coppa delle Coppe (Milan 1972/73)

CHIARUGI Luciano. Nato a Ponsacco (Pisa) il 13 gennaio 1947. Calciatore. Campione d’Italia con la Fiorentina nel 1968/69, ha vinto anche due coppe Italia (Fiorentina 1965/66, Milan 1972/73) e una coppa delle Coppe (Milan 1972/73). Tre presenze in nazionale. Era noto soprattutto per i tuffi in aerea: «Detto Cavallo pazzo, il suo nome sta al gesto del corpo morto come quello di Corso alla foglia morta. Rocky Roberts cantava Stasera mi butto quando l’ala di Fiorentina, Milan e Napoli affinava la specialità. In suo onore venne coniato anche un neologismo, il Chiarugismo, il cui autore fu l’arbitro internazionale Alberto Michelotti: ”Dissi che quelli come lui non bisognava nemmeno farli giocare e mi diedero un mese di squalifica”. Chiarugi, invece, sostiene che quell’uscita di Michelotti gli rovinò la carriera: ”Gli ultimi anni in campo non vivevo più: gli arbitri se l’erano legata al dito e alla fine non mi fischiavano più a favore. I simulatori sono sempre esistiti e ne ho visti tanti fare peggio di me: io ero agile e veloce, non facevo giochini ma spesso e volentieri accentuavo il contatto, senza cattiveria”» (Emilio Marrese, ”la Repubblica” 10/10/2001). «Il padre di tutti i cascatori continua ancora a pagare il prezzo della sua paternità. E così, ogni volta che le moviole inquadrano da mille posizioni un tuffo in area di rigore, lui sa che il giorno dopo il suo telefonino squillerà. Luciano Chiarugi, ex attaccante di Fiorentina e Milan, accetta volentieri di parlare di tuffi e simulazioni. D´altra parte il fatto che a suoi tempi, tra gli anni Sessanta e Settanta, la ricerca del rigore che non c´era andava sotto la voce "chiarugismo", la dice lunga su questa arte e su colui che in qualche modo può esserne considerato il maestro. [...] ”Beh, il termine ’chiarugismo’ non mi aiutò negli ultimi anni della carriera, quando non mi davano un rigore nemmeno quando il fallo era netto. Non mi credeva più nessuno. Che rabbia. [...] Uno veloce e amante del dribbling come ero io era facilitato nel compito. Non in quello di simulare, sia chiaro, ma in quello di trovare il calcio di rigore. Io entravo in area sempre in velocità e palla al piede, se trovavo subito la porta bene, ma capitava spesso di incontrare una piede, un ginocchio, un braccio. [...] Incontrare, incontrare. E qualche volta cercare. Comunque allora eravamo meno esposti alle brutte figure. Mica c´erano tutte queste telecamere”» (Benedetto Ferrara, ”la Repubblica” 7/10/2003).