Varie, 20 febbraio 2002
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Clooney George
• Lexington (Stati Uniti) 6 maggio 1961. Attore. Oscar 2005 come miglior non protagonista (Syriana) • «Lo scapolo definito il più sexy del mondo, il rapinatore pasticcione e sfortunato di Ocean’s eleven, l´avvocato vanesio che specchia la nuova dentatura nella lama del coltello di Prima ti sposo. Poi ti rovino, l’attore dalla voce carnale e dal sorriso luccicante, la perfetta star del cinema hollywoodiano [...]» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 2/9/2005) • Diventato famosissimo con la serie tv E.R.-Medici in prima linea, ha vinto un golden globe come miglior attore per Brother where art you? (dei fratelli Cohen), ha interpretato Out of Sight, Ocean’s Eleven, Solaris (tutti diretti Steven Soderbergh), Un giorno per caso (Michael Hoffman), Dal tramonto all’alba (Rodriguez), Batman & Robin (Burton). Il padre, Nick, era un giornalista tv di discreto successo (The Nick Clooney Show), la madre, Nina Warren, ex miss Marysville, ha una boutique di tessuti pregiati, la zia Rosemary Clooney (morta nel 2002) era una cantante, abbastanza famosa negli anni Sessanta anche per aver sposato José Ferrer, interprete di film leggendari come Cyrano di Bergerac e Moulin Rouge. Studi di giornalismo alla Northern Kentucky University, George si trasferì nel 1982 a Los Angeles, deluso perché non aveva ottenuto un posto nei Reds, famosa squadra di baseball (sua prima passione) di Cincinnati. Da ragazzino, racconta orogoglioso nelle interviste, spese qualche giornata a raccogliere tabacco («la cosa più avventurosa che si possa fare in Kentucky»), poi, a detta delle biografie ufficiali, è stato venditore d’assicurazioni porta a porta e commesso in un negozio di scarpe da donna: «Le donne che portano il 40 sono sempre convinte di portare il 38. E c’è poco da discutere con una donna quando si tratta di piedi». Ha fatto anche il dj in un bar: «Lì vedevo ragazzi che ci provavano con qualcuna e quelle gli prendevano l’ego e ne facevano polpette. E ho capito che non avrei mai fornito un’arma del genere a una ragazza. Non mi sarei mai presentato dicendo: ”Eccoti il mio ego, sbattilo in terra e saltaci sopra”». In realtà, dicono i biografi meno accondiscendenti, la sua era una agiata famiglia borghese, abituata a una moderata notorietà. E lui non sarebbe altro che «un caso classico di figlio d’arte» (People Almanac 2003; David Thomson, The New Biographical Dictionary of Film; Brad Ritzer, Planet Syndication, ”Il Venerdì” 13/4/2001; ”Max” marzo 2000; ”Max” ottobre 2000; Nicky Archer, ”Maxim, n.2/2001; ”Maxim” febbraio 1999). L’infanzia: «Sono cresciuto nel Kentucky, dove l’inglese era considerato una lingua straniera» (Silvia Bizio, ”Il Venerdì” 10/11/2000). «Da piccolo ero un gran rompiballe. Una volta si presenta in Kentucky Raymond Burr, l’attore di Perry Mason. Capirai: un evento senza precedenti per la gente del posto. Be’, l’ho inseguito tutto il giorno e ogni cinque minuti gli tiravo la giacca e gli dicevo: ”Tu sei Perry Mason, tu sei Perry Mason”» (Riccardo Romani, ”GQ” luglio 2001). «A 7 anni andai per la prima volta in tv nel programma di mio papà, ma fu intorno ai 15 che decisi di voler fare lo stesso lavoro di Gary Cooper nell’Idolo delle folle» (film di Sam Wood che racconta la storia di Lou Gehrig, leggendario campione di baseball dei New York Yankees famoso da noi per aver dato il nome alla malattia che attualmente fa strage di calciatori. Mario Cardoso, ”Max” ottobre 2000). La gavetta: «Mi sono trasferito a Los Angeles da una cittadina di 1500 persone, alla guida di una Chevrolet Monte Carlo del 1976 completamente arrugginita che chiamavo ”Miss Danger” ed è stato un viaggio lunghissimo, ma da quel momento la mia vita è cambiata completamente. Non sapevo se ce l’avrei fatta ad Hollywood, la mia è stata la tipica fortuna dello scemo. Ve lo immaginate? Cresci in Kentucky e dici ”penso che andrò ad Hollywood a fare l’attore”… ma quando mai!» (Silvia Bizio, ”Il Venerdì” 10/11/2000). «Non ero sicuro di farcela, perché non sapevo ancora che quelli che consideravo difetti, come il mio mento, o gli occhi cerchiati, sono in realtà fotogenici e sono diventati il mio punto di forza. Certo le ho provate tutte, ho girato film di cassetta e ho fatto carte false per lavorare in tv, perché solo così si diventa famosi in fretta. Quando mi hanno scritturato, per pochi dollari, per il ruolo del dottor Doug Ross di E.R. ho capito che avrei sfondato» (Nicky Archer, ”Maxim, n.2/2001). «Posso garantire che ho passato 12 anni di umiliazioni continue tra provini e programmi tv, tanto che mia zia Rosemary diceva che ero l’attore meno pagato e meno conosciuto di Hollywood» (Mario Cardoso, ”Max” ottobre 2000). «Sono stati momenti molto istruttivi. Per un certo periodo continui a incontrare persone che ti dicono quanto sei fantastico, e alla fine ci credi anche tu. Poi, però, dopo un po’ incontri di nuovo le stesse persone che imbarazzate fissano ostinatamente le punte delle loro scarpe» (Tillmann Pruefer, ”GQ” febbraio 2000). «Tanto per rendere l’idea della situazione di quel periodo, basta ricordare che ha passato un anno intero prima di ottenere un contratto (intanto dormiva ospite presso amici) e che dopo aver finalmente girato la sua prima pellicola da professionista, dove era al fianco di Charlie Sheen, il film non è mai stato distribuito. Per sua fortuna, la fiction televisiva gli permetteva intanto di sbarcare il lunario e di accumulare esperienze importanti: per anni è stato un operaio nella serie The facts of life (1979), dolce direttore della protagonista nella sit-com Roseanne (1988), detective in due serie di telefilm, Sisters (1991) e Bodies of Evidence (1992) e costruttore edile negli episodi di Baby Talk (1991). E infine l’incontro fatale! Il regista-scrittore Michael Crichton (quello di Jurassic Park, tanto per intenderci) nel 1994 gli affida il ruolo del pediatra Doug Ross nell’innovativa serie televisiva E.R., un programma destinato al trionfo in tutto il mondo» (Sandro Avanzo, ”Maxim” febbraio 1999). «Quando ho capito d’essere diventato famoso? Dopo alcuni episodi di E.R., un giorno incontrai James Woods, uno dei miei attori preferiti, che mi disse: ”Ciao George, come va?”. Rimasi di stucco» (Mario Cardoso, ”Max” ottobre 2000). «Credo di essere stato molto fortunato, perché non sono diventato davvero famoso che a 33 anni e sono stato quasi famoso parecchie volte. Penso che aver fatto carriera lentamente sia stato un bene. La mia carriera cinematografica è stata molto simile a quella che ho fatto in televisione. All’inizio prendevo quello che capitava. Se è andato tutto come mi aspettavo? Oh, certo che no. Non si pensa di avere successo. Si spera sempre di riuscire a lavorare. E questo è il massimo che si può realmente sperare di ottenere. Tutto il resto è come la glassa sulla torta […] Si arriva a un punto in cui si dice: ”Ecco, questa è l’occasione giusta e questo è il progetto, e se vuoi farlo sai che sarà dura e che dovrai rimboccarti le maniche” […] Ho avuto giornate letteralmente incredibili. Una volta ho finito alle 4.30 di mattino dopo una giornata di diciassette ore sul set di E.R., sono salito su un jet per Casa Grande, in Arizona, dove giravamo Three Kings, e sono anche arrivato tardi al mio appuntamento delle 6.30, poi ho lavorato altre dodici ore. Per cui certe volte mi sono trovato un po’, ecco (ansima affannato) e allora bisogna stringere i denti» (Sue Forbes, International Press Syndicate, ”Il Venerdì” 15/10/1999). «Il mio ruolo in Three Kings in origine era stato scritto per Clint Eastwood, credo: vede, Clint e io siamo spesso in ballo per lo stesso ruolo. Ma alla fine hanno cominciato a scriverlo per un personaggio un po’ più giovane, e parlavano di Mel Gibson e Nic Cage e dei soliti candidati che rientrano in quella categoria, dalla quale sono in un certo senso escluso. Mi tocca sempre aspettare per vedere chi non è disponibile e chi non vuol far quel genere di ruoli» (Sue Forbes, International Press Syndicate, ”Il Venerdì” 15/10/1999). Stesso discorso per La tempesta perfetta: «Leggendo il libro di Sebastian Junger ho capito che sarebbe stato un grande film. Ma Barry Levinson ne aveva i diritti e voleva Mel Gibson per il ruolo del capitano Tyne. Ho detto che avrei interpretato un altro personaggio, Bobby. Avrei fatto pure il ruolo di Diane Lane, qualunque cosa». Per sua fortuna Gibson preferì fare Il Patriota (Claudio Masenza, ”Ciak” ottobre 2000). «Il suo idolo è Paul Newman, un attore che ha lentamente dimostrato il proprio talento e che, se all’inizio doveva tutto al proprio aspetto, è riuscito a crescere in ruoli di carattere e ad assicurarsi una lunghissima carriera. proprio quello che lui vorrebbe ottenere. Perché ama totalmente il suo lavoro e la prospettiva, ricorrente nei suoi discorsi, di venire messo da parte evidentemente lo deprime» (Claudio Masenza, ”Ciak” ottobre 2000). Altri attori cui si ispira: Cary Grant, Spencer Tracy, Montgomery Clift…: «Non avevano bisogno di esibire la propria recitazione perché erano al servizio del personaggio. Il problema è che devi scegliere buone sceneggiature, cosa che io non ho sempre fatto. Ma ora è la cosa che per me conta di più, potermi affidare a una buona sceneggiatura. Se dovessi dire delle brutte battute probabilmente finirei come tanti per strafare, cercando di rimediare alle lacune del testo. Oggi siamo molto più visibili di quanto non fossero gli attori degli anni 30, 40, 50. Ci si brucia più velocemente. La gente si stanca di te. A volte anch’io sono stufo di me» (Claudio Masenza, ”Ciak” marzo 2000). Dicono di lui. Michelle Pfeiffer, partner in Un giorno per caso: «Non è né narcisista né assolutamente egocentrico come vari degli attori con cui ho lavorato. Non si prende mai sul serio. strano, ma dietro la sua aria sicura e un po’ spaccona c’è qualcosa di profondamente vulnerabile. Mia sorella DeDee è uscita per un po’ di tempo con lui, qualche anno fa, e ancora oggi ne parla in modo molto, molto, positivo»; Nicole Kidman, partner in The Peacemaker: «Sarà per via di quegli occhi, ma è uno che può dire tantissime cose senza pronunciare nemmeno una parola. E non si può smettere di guardarlo»; Michael Hoffman, il regista che lo ha diretto in Un giorno per caso: «Ha uno charme piuttosto rozzo, accompagnato da una vera capacità comica. Guardandolo recitare non si può fare a meno di pensare a Cary Grant. Piace agli uomini perché è un loro ottimo avvocato, nel senso che li rappresenta bene. E naturalmente le donne lo adorano»; Joel Schumacher, che lo ha diretto in Batman e Robin « uno che ha vissuto, che ha fallito, che a un certo punto della vita ha dovuto fare i conti con il fatto che i suoi sogni, di qualunque genere fossero, non si stavano per nulla realizzando. La sua forza e anche una certa tristezza provengono da queste esperienze personali e riemergono quando, davanti alla cinepresa, si trova a interpretare scene complesse e particolarmente intense» (’Specchio” 1/4/2000). Ha raccontato la scrittrice Rossana Campo: «Io l’ho incontrato. Com’è? Bonissimo, quasi più bello che al cine con i suoi occhi nocciola e il capello all Giulio Cesare un po’ spruzzato di grigio, con quel sorriso che ti stende secca e le spalle e le cosce e tutto quello che s’intravede sotto i panni, sì, tutto top quality, non c’è dubbio. E il ragazzo lo sa perfettamente e ci gioca e si diverte a fare il seduttivo spinto, altro che nuovo Cary Grant! E in più poi c’è questa sensazione del guardare e non toccare che lo rende sicuro, e che lascia intravedere onde d’insicurezza e d’imbarazzo forse, certo che al povero George gli tocca sorbirsi tutte queste femmine che se lo mangiano con gli occhi… E lui lo ammette che ”in realtà non sono per niente sicuro di me”. E poi, oddio, un tantino noioso lo è quando attacca a parlare delle sue moto e si mette lì con le ginocchia strette e le mani infilate in mezzo alle cosce, e allora tu ci provi: hey, George, senti, a me piacerebbe sapere qualcosa di più intimo, mi piacerebbe che ti tirassi un po’ più fuori… E a questo punto lui comincia a friggere nella sua poltrona, si allunga e fa finta di essere sul lettino dell’analista, vuol prendere in giro ma si capisce che non è a suo agio. Okay, George, niente paura: volevo solo sapere: c’è qualcosa che ti dà pensiero o ti fa paura? E lui, concentrandosi come un ragazzino davanti alla maestra, ”Oh… be’, mi fa paura l’idea di arrivare a 70 anni e pensare che non ci ho provato…”. ”Provato a fare che?”. ”Be’, a mettercela tutta, a dare del mio meglio in ogni cosa che faccio…”. Oh, yeah…» (Rosanna Campo, ”Sette” n. 45/1998). Sposato dal 1989 al 1992 con Talia Balsam (figlia dell’attore Martin Balsam), in mezzo a mille flirt ha avuto una lunga relazione con la maestra d’asilo francese Céline Balitran (che lo ha infine lasciato per un altro). Ultima fidanzata la modella Lisa Snowdon, dice che non si sposerà mai più, anzi: con i suoi otto amici più cari ha comperato un grande drago cinese, lo ha messo sul caminetto della sua villa ed ha stabilito che sulle sue dita vengano infilate le fedi di quelli che hanno divorziato. Primo anello il suo, ad inizio 2001 erano già arrivati a 7. Vive con Max, un maialino (75 kg) comprato per Kelly Preston (ora moglie di John Travolta) quando stavano insieme: «Ci sono molto affezionato, anche perché mi fa le feste, le coccole, ma non rompe le scatole come farebbe una convivente» (Nicky Archer, ”Maxim, n.2/2001). La sua donna ideale, ha spiegato, «deve avere la risata di Nicole Kidman, la personalità di Julia Roberts, l’aspetto di Michelle Pfeiffer, che è un po’ la quintessenza della bellezza, secondo me. E infine l’ambizione, la voglia di arrivare, di Jennifer Lopez» (Riccardo Romani, ”GQ” luglio 2001) Dovendo riassumere: ama «le bionde con un bel sedere», ma preferisce le donne more, «perché sono più focose, hanno più senso dell’umorismo e adorano i loro uomini», detesta «le ragazze perbene che hanno paura di tutto» (Nicky Archer, ”Maxim, n.2/2001; ”Il Giorno”, 9/6/2002). Popolarità. Ha detto: «Non diventare uno stronzo, quando si è famosi, può essere una bella impresa» (Tillmann Pruefer, ”GQ” febbraio 2000). «Non puoi rimpiangere l’anonimato dopo che per tanti anni hai inseguito la fama, ma mi mancano le piccole cose, come l’andare in pace allo stadio per una partita di baseball: ora sembra che sia io la partita. Oppure i giochi di seduzione: entrare in una stanza affollata e incrociare lo sguardo di una donna, cercare di capire se potrei piacerle. Tutto è snaturato dall’attenzione che l’intera sala rivolge a me. Ma finirà. E quando sarò ritornato nell’ombra mi mancherà la popolarità» (Claudio Masenza, ”Ciak” ottobre 2000). «Negli anni 60 mia zia era una cantante famosa. Ora è stata dimenticata. Grazie a lei ho imparato che il pubblico è capriccioso e l’ammirazione scompare dalla sera alla mattina» (Mario Cardoso, ”Max” ottobre 2000). Paparazzi. «Se cammino per strada con la mia ragazza o la mia segretaria e uno mi dice ”Ehi, è brava a letto?”, che è quello che succede quasi ogni giorno, allora io mi volto e… Capisce, se se la prendono con me mi va anche bene, ma quando lo fanno con quelli che mi sono vicini, quando fanno i furbi o vanno a casa dei miei genitori e fanno di queste stronzate, allora bisogna mettere dei limiti» (Sue Forbes, International Press Syndicate, ”Il Venerdì” 15/10/1999). «So che il mio lavoro non servirà a curare il cancro, ma è una bella professione. Anche se a causa dell’eccessiva attenzione dei media c’è il pericolo di prendersi troppo sul serio. Mi piace pensare che i film ci sopravviveranno. Oggi puoi vedere Grace Kelly e innamorarti di lei. Non importa se non c’è più da tanti anni. C’è qualcosa di unico in questo, un senso di immortalità. Esisterà al massimo per altri cento anni, poi verrà rimpiazzato da qualcos’altro. In realtà noi attori rubiamo solo qualche anno in più alla vita. Ma per il tempo che dura è meraviglioso» (Claudio Masenza, ”Ciak” ottobre 2000).