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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

COFFERATI

COFFERATI Sergio Sesto ed Uniti (Cremona) 30 gennaio 1948. Politico. Nel 2009 eletto al Parlamento europeo (Pd). Dal 2004 al 2009 sindaco di Bologna. Ex segretario della Cgil (1994-2002) • Nel 1969 entrò alla Pirelli Cavi, nella fabbrica della Bicocca, con il ruolo di tecnico addetto ai tempi di produzione. Dopo cinque anni, nel 1974 fu eletto delegato di fabbrica e nel ”75 entrò a far parte della segreteria generale del sindacato dei chimici Filcea-Cigl. Tre anni dopo, nel ”78, fu eletto alla segreteria nazionale della Confederazione. Nel 1988 divenne segretario dei chimici (Filcea) e due anni dopo entrò a far parte della segreteria confederale. L’elezione a segretario generale della Cgil arrivò nel 1994: divenne il più giovane segretario generale del sindacato • « stato un grande leader sindacale. Che ha perso però un’occasione storica e ha impresso anche una battuta d’arresto alla linea politica della sinistra. Un’occasione che nessuno prima di lui, da Giuseppe Di Vittorio a Luciano Lama e Bruno Trentin, ha avuto: è stato a capo del sindacato della sinistra quando la sinistra era al governo, ma non ha usato il potere del sindacato per sostenere un processo di riforme, bensì per bloccarlo» (Franco Debenedetti, ”Corriere della Sera” 10/6/2002) • «Sta sulla porta. Tra il sindacato e la politica. Da tempo. […] Il suo ruolo, la sua attenzione, rispetto all’arena politica, è sicuramente cresciuto. Si candida a leader del centrosinistra, evitando di passare per i meccanismi di selezione della classe dirigente. Opachi. Governati dai partiti. Dai loro circoli interni. Egli, peraltro, mira a tradurre politicamente il consenso personale e il sostegno ampio garantito al centrosinistra, nel periodo grigio durante il quale pareva non ci fosse opposizione. Poi la manifestazione di marzo, lo sciopero generale di aprile; Roma, l’Italia, traversate da cortei di protesta: hanno reso evidente l’esistenza di una insoddisfazione e di un’opposizione diffuse. Così, la sua popolarità è cresciuta. Ed è cresciuto il suo ruolo nel centrosinistra. La vicenda Biagi ne ha segnato l’immagine, ma non l’ha delegittimato; per alcuni versi, anzi, ne è emerso come il bersaglio di manovre oscure ai danni di un leader temuto. Perché al di là delle specifiche valutazioni, oggi, nel centrosinistra, suscita un consenso ampio. Secondo, forse, solo a Prodi. Ed è l’unico, soprattutto, in grado di mobilitare l’opposizione a livello sociale. Dietro al suo successo si scorgono alcuni motivi, che è possibile tratteggiare. Il primo, è che raffigura il ”grande oppositore”, in tempi nei quali l’opposizione ha perso visibilità e identità. l’opposizione al governo e alla CdL. l’opposizione nell’opposizione di centrosinistra. […] Poi, parallela, c’è una seconda ragione. Interpreta la critica contro la classe politica del centrosinistra. Statica. Senza ricambio. Dà sfogo all’insofferenza verso le logiche oligarchiche e il linguaggio di una leadership incapace di ”dire qualcosa di sinistra”. Come ha denunciato Nanni Moretti. […] La terza ragione del successo è che dà una risposta, magari discutibile, ma esplicita e chiara, alla crisi della concertazione, in tempi di bipolarismo. […] C’è tuttavia da dubitare che egli superi definitivamente questa soglia. Che rinunci al suo profilo doppio. Come Giano bifronte: un volto che guarda il mondo del lavoro e l’altro la politica. probabile, invece, che continui, per molto tempo ancora, a fare politica senza accettarne le sedi e le logiche. […] probabile, inoltre, che promuova la sua Fondazione, facendone un attore politico, più che culturale. […] Restando sulla soglia. In attesa che gli eventi maturino. A suo favore. Una scommessa calcolata. Ma sicuramente rischiosa» (Ilvo Diamanti, ”la Repubblica” 8/7/2002) • «il primo nemico interno che a D’Alema fa davvero paura, anche perché combatte con armi non convenzionali: le micidiali armi dei poveri. Cofferati per esempio disprezza ”il giornale in arancione di D’Alema”, lo considera ”una vela da diporto” e gli contrappone ”la gibellina”, una raffica di sms, messaggini, che sono come i barchini esplosivi, ”i maiali” della marina italiana, messaggini- siluri che, la sera, quando meno te l’aspetti, bip bip, il portavoce Gibelli attacca alla carena dei telefonini di ogni giornalista politico italiano. Cofferati non pubblica, come D’Alema, con la Mondadori di Berlusconi ma si è scelto come biografo, e come giornalista preferito, un cronista politico del ”Giornale” di Belpietro, Luca Telese (la sua biografia di Cofferati La lunga marcia sta per uscire da Sperling & Kupfer) con il quale esordì: ”Sono nato in un mulino nei giorni della merla”. Poi gli ha confidato i rimpianti di ex artigliere, le emozioni del matrimonio in Comune, i brividi di famiglia, e così, giorno dopo giorno, ha costruito il proprio mito sul giornale di quel nemico di classe col quale dice che non bisogna neppure trattare. infatti contro D’Alema, e non certo contro Berlusconi, che predica ”un ritorno all’austerità di Enrico Berlinguer”, veste ancora alla ”come capita”, si fa fotografare dal quotidiano spagnolo ”El País” con i polsini logori, ”perché non butta mai niente” spiega la moglie Daniela. Sempre contro D’Alema, non cerca alleanze internazionali alla City di Londra, non corteggia Tony Blair ma i leader non allineati: ”Il sindacalista Walesa – ripete – buttò giù uno dei regimi più forti dell’Est”. E Ciryl Ramaphosa, ”che per primo ha governato il Sudafrica dopo l’apartheid, viene dal sindacato”. Infine Lula, che è il carismatico presidente del nuovo Brasile, ”è stato il fondatore della Cut, la Cgil brasiliana”. Al contrario ”quel che resta dei partiti è finito nei salotti”. Con in testa questi modelli, percorre l’Italia in lungo e in largo, alimentando ogni fremito rivoluzionario e ogni girotondo. Eppure di Moretti, all’indomani di piazza Navona, aveva detto: ”Mai sarebbe accaduto in una manifestazione della Cgil che un Moretti parlasse dopo l’intervento conclusivo”. Adesso invece si offre a qualunque movimento si illuda d’essere il nuovo slancio vitale, la risata che potrebbe fare ripartire il gioco fermo. Così ad Assisi durante la marcia della pace salì sul palco e cantò con Jovanotti: ”Io non le lancio più le vostre sante bombe”. Al Piccolo di Milano ha recitato al fianco di Moni Ovadia la storia eroica di quattro fratelli operai sindacalisti. Ha giocato al calcio nelle partite di beneficenza. Il cantante Piero Pelù gli ha dedicato un disco dove Cofferati è ”l’uomo massa”, ”il preservativo della classe operaia”. Dovunque vada firma più autografi di Gianni Morandi, e a Napoli gli fecero persino firmare una biografia di Churchill: ”Sei l’unico che può battere l’Asse”. Nonno Cossutta, che se ne intende, ha spiegato al ”Corriere”: ”Gira l’Italia, stabilisce rapporti con no global, girotondi, studenti cattolici, ambientalisti. lui il vero leader della sinistra. Solo un cieco può non vederlo”. Ma nessun cieco, per la verità, aveva creduto che sarebbe davvero rimasto chiuso nel convento della Bicocca. Solo Borges pensava che la propria testa, le proprie fantasie e la propria cultura fossero più ricche dell’universo. Qualche tempo fa Giuliano Amato, incontrandolo, gli ha detto: ”Allora farai l’attore. I politici che ti temono si tranquillizzeranno”. Ma lui, mentendo ancora: ”Stiano pure tranquilli, io non farò mai politica”. Cofferati ha infatti capito che solo mostrandosi straniero alla politica si può scalare la politica. Anche questo è un ossimoro italiano: l’impolitico di carriera che, chiuso alla Bicocca, gira e conquista l’Italia. L’uso sapiente della ”politica del non c’entro con la politica” è infatti tipico del politico che coltiva i più ambiziosi progetti di rifondazione, vuole edificare la nuova Gerusalemme, ed è perfettamente uguale a coloro da cui prende le distanze» (Francesco Merlo, ”Corriere della Sera” 10/1/2003) • Tifa per l’Inter e per la Cremonese: «[...] ”Mio padre, che non voleva fare il contadino, venne a Milano a lavorare all’ospedale dell’Azienda tramviaria, in viale Campania, dove operava il dottor Clerle, medico sociale dell’Inter. Era l’Inter del presidente Masseroni, quella degli scudetti degli Anni 50. Quando andavo da mio padre trovavo Ghezzi, Lorenzi, Skoglund che erano lì per le visite mediche. Avevo 5-6 anni e vederli in borghese mi faceva un effetto strano: stentavo a riconoscerli perché nelle foto sui giornali i giocatori comparivano sempre in maglietta e calzoncini. La faccia era quella, il resto mi sorprendeva”. Adolescenza con l’Inter di Herrera, non male. ”Le partite, anche quelle di Coppa, le ho viste tutte: ricordo il gol di Peirò nel 3-0 al Liverpool, quello di Jair col Benfica... Poi ho smesso perché allo stadio non mi divertivo più come prima. Ho ripreso alla fine degli Anni 70 a Cremona dove invece mi divertivo tantissimo: la Cremonese – che ho nel cuore – ballava tra la B e la C, ma il clima era rilassato e a fine partita c’erano altri appuntamenti che cominciavano col salame e finivano in cantina. Allo stadio ci vado, ma il tifo militante finisce con l’Inter di Herrera [...] Quando ero segretario dei chimici conoscevo i Moratti, ma niente è paragonabile al legame tra Agnelli e Lama”. [...] Gioca [...] ”Da ragazzo centromediano. Quando ho ripreso in età adulta all’ala sinistra perché l’allenatore diceva: ”Lì se non la prendi non fai danni’, argomento di una forza straordinaria”. Gol memorabile? ”Contro gli ex del Bari. Su rigore: fu strepitoso perché il portiere mi aveva fatto capire da che parte si sarebbe buttato e ciò nonostante ho dovuto impegnarmi per non colpirlo. A una certa età è difficile giocare perché ti ricordi come si fa, però non ci arrivi: alzi la gamba anche con eleganza, ma ti fermi a una spanna dal pallone. Quando va bene fai una figuraccia perché sei goffo, quando va male ti fai male”. Meglio frequentare gli ippodromi. ”Soprattutto trotto. Da sempre, quando posso: San Siro a Milano e Tordivalle a Roma. Qui non ho avuto interruzioni di passione. Mi piace molto il cavallo, il trottatore. Sono nato in campagna, in un mulino. Il cavallo come animale da lavoro è nella mia memoria fin dall’infanzia” [...]. Da quando alle corse? ”Dagli Anni 50, con mio padre. Alla domenica era abbastanza normale per noi andare a San Siro: ippodromo, poi di corsa allo stadio per l’ultimo quarto d’ora di partita, quando aprivano i cancelli. Che fosse Milan o Inter era indifferente. Ricordo Gigi Meroni che mette steso Schnellinger e poi la butta fuori con San Siro che muore dalla paura. A partita finita tornavamo al trotto. Ma lei sa di chi era figlio Tornese? Glielo dico io: di Tabac Blond e Balboa. E Varenne? Di Waikiki Beach e Ialmaz... La genealogia dei cavalli mi serve come esercizio mnemonico, posso tornare indietro di generazioni...”. Alle Feste dell’Unità la gente fa la fila per chiedergli l’autografo. Donne soprattutto. ”Le prime volte ero un po’ sorpreso. L’autografo era affare per sportivi, attori e cantanti. Poi si è diffuso anche ai politici. Non vorrei fare come mio nonno che quando non riusciva a spiegarsi dei fenomeni naturali dava la colpa alla tv o ai satelliti, ma la tv ha avuto il suo peso in questa abitudine. l’immagine che diventa realtà”. Lei ne ha mai chiesti? ”Tanti, l’ultimo giorni fa a Jacques Delors (politico ed economista francese). Ma agli sportivi mai. Anzi no. Ero segretario della Cgil, nel reparto oncologico dell’ospedale romano del Bambin Gesù un bambino asiatico che parlava bene italiano mi disse: Ma tu, di che squadra fai il tifo?. La Cremonese. Non esiste. Non è vero, la Cremonese c’è. Se è vero che c’è portami una maglia. La chiesi al presidente Luzzara, mi diede quella di Maspero e la settimana dopo la portai al bambino. La prese, ma non era tanto convinto”. Lirica. vero che canta? ” un tormento che infliggo a pochissime persone, anche la mia compagna dopo un po’ reagisce. Perché non sono stonato, ma dell’opera cerco di cantare tutte le parti. E se da basso è fatica, da soprano è strazio” [...] La bici quando posso, ma posso poco e soffro un po’. La montagna d’estate. Se no i gradini del Comune. A Milano ho abitato in due case: 4° e 5° piano, sempre senza ascensore: esercizio fisico garantito pluriquotidiano. Be’, l’abitudine di fare le scale mi è rimasta”» (Enrica Speroni, ”La Gazzetta dello Sport” 16/5/2007).