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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

Colangelo Jerry

• Chicago (Stati Uniti) 20 novembre 1939 • «Un giorno vede una distesa di ciottoli, polvere e cactus e dice: ”Qui nascerà lo stadio del baseball, qui si vinceranno le World Series”. Ci vuole molta fantasia, oppure una bottiglia di pessimo vino, per vedere una roba del genere in pieno deserto dell’Arizona. ”Faremo lo stadio con la piscina”, aggiunge. Cinque anni dopo quel ”miraggio”, Jerry Colangelo, pugliese di Phoenix, festeggia il suo primo titolo mondiale nella Major League Baseball. Che poi è anche il primo successo sportivo per uno Stato celebre finora per gli avvistamenti di dischi volanti. Sei anni fa, dunque, la sua squadra, gli Arizona Diamondbacks, era solo una specie di Ufo nella testa di Jerry. Ci hanno impiegato 890 giorni per fare lo stadio. Hanno usato i soldi di una banca, la Bank One, che ha versato 250 miliardi per il nome iscritto a vita all’ingresso. The Bank One Stadium. Poi Colangelo si è messo a comprare giocatori sconosciuti oppure in saldo. L’altra notte, contro i leggendari New York Yankees, la banca e Jerry hanno riscosso la loro cambiale: 3-2 in gara 7 di una delle World Series più appassionanti di sempre. Nessuno ha mai realizzato un’impresa del genere: in quattro anni dal nulla al titolo mondiale (così lo chiamano in America lo scudetto del baseball, non avendo grande considerazione del resto del globo) [...] pugliese, di quelli che scappano in America per fame. Approda a Chicago e pur di mangiare accetta di tutto. Lavori di facchinaggio, lavori da calli anche sullo stomaco. Fa qualche soldo, tenta la fortuna in Arizona, i calli se ne vanno. Oggi è padrone anche dei Phoenix Suns di basket e di una squadra di hockey. Quando intravede il baseball nel suo destino, s’inventa un nome che strappa più di un sorriso: Diamondbacks. Crotalo. Serpente a sonagli. Fa parte, per così dire, delle attrattive locali. Quando una piroetta del destino ha messo gli invincibili Yankees (26 titoli, gli ultimi tre a fila) sulla strada dei serpenti , si è cominciato a parlare di maledizione. Già due volte Jerry è arrivato a un passo da un titolo, però nel basket. Due volte ha perso: contro Boston di Larry Bird, e contro Chicago di Michael Jordan. Adesso sembrava lo stesso, contro New York sostenuta da tutto il mondo per quanto successo l’11 settembre. Tre sconfitte a fila dentro allo Yankee Stadium avevano confermato il presagio. Gli Yankees non si battono. Invece Jerry ha trasmesso ai suoi l’ossessione per il successo. Ha puntato su due pitcher esperti e, per qualcuno, consumati. Curt Schilling e Randy Johnson. Sembrano personaggi sbucati da un viale polveroso di Tucson. Il grosso e lo smilzo. Tirano palle a 160 km orari con le quali hanno demolito miti viventi tipo Derek Jeter e Paul O’Neill. Johnson, proprio come certi pistoleri, ha la pelle butterata e l’occhio gelido di disprezzo. Ha affrontato e sconfitto una forma di cancro. Ma con gli Yankees aveva sempre perso. Poi l’altra notte ha pareggiato i conti. Lui e Schilling hanno vinto il titolo di Mvp, ex aequo . E per capire meglio la portata dell’evento, è proprio come se il Chievo battesse la Juventus in un’ipotetica sfida scudetto. Jerry Colangelo festeggerà come al solito: volando nella sua Chicago, rimpinzandosi di salsicce e vino rosso a The Club, un posto di soli italiani dove si parla la lingua dei ricordi e ci si saluta con lunghi abbracci. Sognava di lasciare un segno, ci è riuscito» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 6/11/2001).