Varie, 20 febbraio 2002
Tags : Ornette Coleman
COLEMAN Ornette Forth Worth (Stati Uniti) 9 marzo 1930. Sassofonista • «Genio gentile dell’avanguardia, certo poco commestibile per le difficoltà poetiche e intellettuali della sua musica
COLEMAN Ornette Forth Worth (Stati Uniti) 9 marzo 1930. Sassofonista • «Genio gentile dell’avanguardia, certo poco commestibile per le difficoltà poetiche e intellettuali della sua musica. [...] Il suono acidulo e irridente del suo sassofono soprano. Musica per pochi, per intenditori, per gente che segue il musicista fin da quando alla fine degli anni ’50 colse tutti di sorpresa con composizioni che sembravano sovvertire ogni regola della musica. Musicista d’avanguardia lo si definì allora e quest’etichetta gli è rimasta addosso per mezzo secolo. In effetti Coleman riesce ogni volta a stupire anche se l’avanguardia è più nella sua mente che non nei suoi suoni, è più nel modo in cui concepisce la musica piuttosto che in come la esprime. A voler ben vedere Coleman non fa altro che riprendere con ironia, con garbo, le radici del jazz, il blues in modo particolare, per portarle oltre ogni classificazione rifuggendo dalle etichette e offrendo loro un misterioso sapore di nuovo» (Vittorio Franchini, ”Corriere della Sera” 15/7/2003). « l’ultimo dei grandi maestri del jazz, ma a lui non piace essere definito così. Dopo avere lottato per tutta la vita contro i limiti delle categorie e dei generi, [...] preferisce evitare lo scoglio di quella parolina impronunciabile e intraducibile, che negli anni passati ha voluto dire ghetto e che oggi, seppur sdoganata ai fini commerciali, sembra comprendere tutto e tutti. [...] commovente ritrovarselo davanti minuto e fragile, con la voce più simile al sussurro, ma con un’energia misteriosa che irradia da dentro. Sempre elegante con cappelluccio e abito disegnati da lui stesso, Ornette Coleman rassomiglia molto alla descrizione che hanno fatto di lui: un metafisico, filosofo ed eterno studente, continua a confondere ogni categoria. Il suo mondo armolodico (che si basa sull’unica, paritetica interazione dei musicisti che improvvisano incuranti delle convezioni tonali e armoniche) continua a espandersi insieme alle idee di un artista al di sopra dei confini. ”Molti mi pensano solo come un sassofonista o un artista di jazz - ha affermato una volta - ma io voglio essere considerato come un compositore che può attraversare tutte le frontiere. [...] Jazz è una parola che descrive una classe e certe condizioni ambientali di vita dei musicisti. La musica classica, invece, riflette l’invenzione del suono che c’è dentro. Ma, in entrambi i casi, l’intelligenza è qualcosa che non si può definire, che non può essere imposta o studiata perché si diventi intelligente [...] Il mio interesse per la musica è iniziato in chiesa. C’erano alcuni musicisti che ammiravo da ragazzino come il sax alto Ben Martin, ma non avevo interesse a imparare le regole di quei musicisti che mi piacevano. Avrei voluto suonare con loro ed esprimermi allo stesso loro livello. Ma ero refrattario alle regole. Perché la musica, di base, che sia jazz, blues, pop o classica, è suonata sempre con le stesse note e da esseri umani influenzati da diversi fattori, come le restrizioni sociali e razziali. stato allora che ho cominciato a capire che cercavo altro. E più tardi, a Los Angeles, ho trovato un laboratorio di idee con altri musicisti che la pensavano come me: Don Cherry, Charlie Haden, Billy Higgins, Eddie Blackwell [...] Il mio interesse è partito fin dall’inizio, con la massima apertura verso tutte le forme artistiche. Ho fondato la mia ’Artist’s house’, uno spazio, una performance-gallery che potesse riunire la vibrante comunità artistica newyorkese di quegli anni”» (Giacomo Pellicciotti, ”la Repubblica” 23/6/2004).