Varie, 20 febbraio 2002
COLOMBO
COLOMBO Emilio Potenza 11 aprile 1920. Politico. Senatore a vita (nominato nel 2003 da Ciampi in sostituzione di Francesco De Martino). Fu presidente del Consiglio, più volte ministro (Finanze, Tesoro, Industria, Bilancio, Agricoltura, Esteri) e, grazie al suo impegno europeista, presidente del Parlamento di Strasburgo • «A soli ventisei anni il dottorino delle Acli varcava per la prima volta il portone di Montecitorio per partecipare ai lavori della Costituente. Indossava un abito modesto nella stoffa, ma di buon taglio. Arrivava da Potenza, cuore della Lucania povera e dignitosa – così si sarebbe detto una volta – che per quasi mezzo secolo non gli volterà mai le spalle. Alle elezioni europee del 1979 il neosenatore a vita raccolse oltre ottocentomila preferenze. Una messe di voti insuperata. Quella sua faccia da ”chierichetto di campagna” incorniciata dagli occhialetti di metallo chiaro finì subito per colpire l’attenzione del vecchio Francesco Saverio Nitti. ”Quel Colombo volerà”, osservò l’altro quarto di nobiltà della politica italiana di allora, Vittorio Emanuele Orlando. Ma ad aver visto giusto sul ragazzo di casa Colombo era stato soprattutto Don Vincenzo D’Elia. Un sacerdote dalle idee moderne, almeno per l’epoca, che aveva avviato il pio Emilio sulla strada impervia dell’impegno politico. Da chierichetto a cardinale laico. Una lunga parabola per lui. Che una volta Alcide De Gasperi definì, chissà poi perché, ”un vulcano freddo”. Spiegò il diretto interessato: ”De Gasperi aveva una certa immagine dei meridionali: intelligenti, vivaci, esuberanti, clamorosi. Credo gli facesse impressione il mio contegno piuttosto riservato...”. Di tempo ne è trascorso davvero tanto per quello che una volta si sarebbe chiamato un democristiano di lungo corso. O, meglio, un doroteo con un solo hobby: la politica. E basta. […] Doroteo dal passo felpato e dal tono della voce soave, spesso incrinata da un fastidioso raschietto, è capace di sfuriate repentine e violente. Ne sanno qual cosa tutti i diccì, a cominciare dal suo ex allievo Angelo Sanza, che in Lucania hanno tentato di scalfire il suo enorme potere. Una volta affrontò a muso duro il segretario Ciriaco De Mita: ”Cirì sara una coincidenza ma ogni volta che c’è di mezzo Andreotti io non faccio mai il ministro degli Esteri”. Poco incline alle rivelazioni e ai pettegolezzi anche quando è storia passata, paradossalmente, spesso si lamentava di non essere stato interpellato su quella questione e o quella persona. Ma al cronista, che una volta gli sollecitava un ricordo sul presidente di Mediobanca, Enrico Cuccia, appena scomparso e da lui frequentato assiduamente ai tempi in cui guidava il Tesoro, replicò ancora una volta alla sua maniera: ”Ma tu che vuo’ da me”. Come tanti diccì di lungo corso, ha sempre immaginato che l’orologio del potere potesse scandire per lui ancora una volta l’ora fatidica. A dispetto dell’età o delle diverse stagioni politiche. Di qui la sua riservatezza e il suo muoversi lento nella grande e infida palude democristiana. Come dargli torto? Insieme a Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, ha finito per occupare tutte le caselle che il gioco della politica rendeva di volta in volta disponibili. […] Un impegno che molto ha pesato sulla nomina del Capo dello Stato. L’ultima sua esperienza di governo risale al ”93. alla Farnesina nel governo guidato da Giuliano Amato. Ma i tamburi di Tangentopoli già annunciano tempi grami per i protagonisti della prima Repubblica» (Fernando Proietti, ”Corriere della Sera” 15/1/2003). «Suo il record di preferenze di tutti i tempi: alle elezioni del ”72 oltre il 70 per cento dei voti Dc portava il suo nome sulla scheda (gli altri cavalli di razza, Moro Fanfani e appunto Andreotti, oscillavano tra il 39 e il 41 per cento). […] Nel ”48 era stato convinto a perseverare da Papa Pacelli (’Santità io credo di non saper fare politica”, ”no lei deve credere alle opinioni di chi ne sa più di lei”). […] Aveva rinunciato al ministero dell’Agricoltura offertogli da Alcide De Gasperi perché non si sentiva ”ancora pronto”, e aveva lasciato così ad Andreotti il primato di ministro più giovane, dopo aver condiviso quello di sottosegretario (28 anni). Era il ”53, e l´anno dopo Giulio diventava ministro del governo Fanfani; ”che però - accade a Colombo di puntualizzare - non ottenne la fiducia”, e quindi si tratta di record contestato. Con Andreotti non si sono mai amati. ”Io ho fatto la riforma agraria, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la prima legge contro i monopoli - accade di ricordare a Colombo -. Giulio era più flessibile”. […] Uno dei rari politici cui pure Indro Montanelli riconosceva una dimensione internazionale, a cominciare dalla padronanza dell’inglese e dell’economia, e che nel contempo padroneggiava il collegio e l’apparato con meticolosità. Fin dalla campagna per la Costituente, fatta a dorso di mulo, quando si fece largo tra capilista quali Amendola per il Pci, Nitti per il Pli, il grande meridionalista Dorso per il partito d’Azione. Il suo controllo del territorio ispirò un saggio molto critico, Il cemento del potere. Ma spiega anche il radicamento del Ppi della Lucania, una delle rare zone in cui il popolarismo, grazie anche a lui, ha ereditato il peso e i modi della politica della Prima Repubblica. Si è occupato di un ministero per decennio; e sempre lasciando un’impronta. Gli Anni Cinquanta all’Agricoltura. I Sessanta al Tesoro. Presidente del consiglio tra il ”70 e il ”72, poi alle Finanze, quindi ancora al Tesoro. Gli Ottanta agli Esteri. Anni in cui ha maturato una consuetudine e una collaborazione con Ciampi» (Aldo Cazzullo, ”La Stampa” 15/1/2003).