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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

COLOMBO Furio Chatillon (Aosta) 1 gennaio 1931. Giornalista. De il Fatto Quotidiano. Ex direttore de ”l’Unità” • «[

COLOMBO Furio Chatillon (Aosta) 1 gennaio 1931. Giornalista. De il Fatto Quotidiano. Ex direttore de ”l’Unità” • «[...] Ha vissuto lungamente negli Stati Uniti, ha insegnato alla Columbia University, ha diretto l’Istituto italiano di cultura a New York, ha presieduto la filiale americana della Fiat, ha inviato corrispondenze alla ”Stampa” e a ”Repubblica” , ha scritto libri su alcuni fenomeni della società americana.[...] rientrato in Italia, è stato parlamentare del centrosinistra e ha diretto [...] l’’Unità”, vale dire, come si legge sotto la testata, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci. [...]» (Sergio Romano, ”Corriere della Sera” 5/5/2005). «Il pakistano. Così lo chiama l’Avvocato. anche un deluso dell’Ulivo. Tornare da New York per fare il peone. Sbarcare da laggiù per vedere Enzo Siciliano che gli soffia il posto in Rai. E poi si dice che il pettinatissimo Furio Colombo - piacevole piacione, devoto incassatore delle piccole cattiverie che gli riserva il suo amico Avvocato - sia diventato un deluso dell’Ulivo. Clintoniano e veltroniano, Furio fu convinto via Internet, da Walter, a candidarsi alle elezioni. Venne poi dimenticato al momento delle nomine e diventò un illustre nemico di broncetto: ”Ma perché mi hanno fatto venire dagli States?”. E pensare che ce l’aveva messa tutta. Prima di precipitare in un singhiozzo intitolato Il candidato. La politica senza il potere, ha provocato il brivido della poesia encomiastica. ”Se Walter fosse stato un soldato giapponese dimenticato su un’isola deserta, avrebbe cominciato a coltivare un campicello, scrutando pazientemente il cielo in attesa dell’arrivo di una presenza umana. Se fosse stato un soldato tedesco, avrebbe disertato. Se fosse stato un milite italiano, avrebbe risalito la Penisola con gli Alleati, non per fucilare ma per liberarci”. Alberto Arbasino potrebbe riadattare su Furio una sua rimetta: ”Quanto parlare, quanto figurare, quanto sbracciarsi, per risultati così scarsi”» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998). «Quando incontrai Martin Luther King era un parroco di campagna che aveva la mia età. Bob Dylan era un ragazzo molto più giovane di me con un talento straordinario, però nient’affatto celebre e di cui tutti dicevano che con quella voce nasale non avrebbe fatto strada. Che Guevara non era un mito. Nel 1960, a Cuba, era solo un personaggio emergente – e simpatico – del gruppo di Fidel Castro. Diverso è stato quando ho seguito Bob Kennedy e ho fatto la campagna elettorale del 1968 con lui […] Quando andai con John Lennon dai guru indiani sull’Himalaya era già celebre, ma allora la scoperta è stata di quanto l’uomo – dovrei dire il ragazzo, tanto era giovane – fosse più intelligente di quanto apparisse nell’immagine di mercato […] Rimpiango nel paesaggio italiano l’assenza di qualcosa che ho imparato ad apprezzare nei vent’anni di vita americana, cioè l’opinione pubblica. Non è semplicemente quel che pensa la gente e non è neanche quel che si misura coi sondaggi d’opinione. L’opinione pubblica è la maggior parte dei cittadini che si considera una giuria in seduta permanente e che ha depositati due termini di riferimento che non abbandona mai: fair e unfair, giusto e ingiusto, equo e iniquo. Questo io sto sognando: che si formi presto, che nasca in Italia dalle scuole, dall’abitudine quotidiana del vivere insieme un’idea di giusto e ingiusto, di accettabile e inaccettabile, che faccia da contrappeso al sistema delle informazioni e al sistema delle predicazioni politiche» (’La Stampa” 24/1/2001).