Varie, 20 febbraio 2002
CONCONI
CONCONI Francesco Ronago (Como) 19 aprile 1935. Biochimico. Rettore dell’Università di Ferrara. Nei primi anni Ottanta fondò il Centro di studi biomedici applicati allo sport, fra i suoi assistiti Francesco Moser e Manuela Di Centa. Il pm Pierguido Soprani sostiene che aveva messo in piedi un vero e proprio doping di Stato e lo accusa di associazione a delinquere, frode sportiva, somministrazione di farmaci pericolosi per la salute, esercizio abusivo di professione, abuso d’ufficio peculato e truffa. Nel 2003 è stato assolto da ogni accusa. «Un angelo? un diavolo? Il confine è labile nella credulità popolare, è il confine che c’è fra la scienza e la stregoneria. Il professor Francesco Conconi, bella famiglia, con quegli occhi chiari e il viso circondato da una barba che deve essere sempre stata almeno grigia se non bianca, quel confine, al termine di una vicenda giudiziaria lunghissima e quindi confusa in una nebbia di files, di prove non provate, di trascorrere dei giorni, dei mesi e degli anni, chi lo conosce crede che non l’abbia mai superato. Lo crede sulla parola di Conconi e per la fiducia che questo scienziato dello sport e della medicina ispira: basta parlarci, conoscerlo un po’. Ferrara: era diventata il crocevia dello sport che vinceva, da quando Francesco Conconi seguiva da vicino, molto da vicino, Francesco Moser. Lo aiutò a conquistare il più feroce, difficile e faticoso dei record del ciclismo, quello dell’ora. Lo aiutò, lo accompagnò letteralmente, che sul velodromo del Messico quasi percorse anche lui tutti quei chilometri (51,151 per la precisione: divennero anche un vino frizzantino prodotto da Moser) scandendo i passaggi e consigliando Francesco. Mica solo Moser: tra i ciclisti divenne un pellegrinaggio il santuario di Ferrara. I nomi? Li elencano i files e le voci: Bugno e Chiappucci, Berzin e Pantani, Fondriest e Gotti, Roche e Indurain, già, anche Indurain; e anche Hinault andò a sentire se... Tutti vincenti. Tutti dopati? Certo, nella cultura del sospetto quelle vittorie clamorose facevano clamore e invidia; forse intorno al professore che pedalava la sua parte come cicloamatore, sorse qualcosa che quel confine di cui si diceva all’inizio a volte lo superò; del resto che Francesco Conconi, studioso anche del sangue, avesse praticato l’autoemotrasfusione a certi atleti (Alberto Cova, campione d’Europa, del mondo e olimpico andando in crescendo) non è un mistero. Era una pratica completamente lecita all’epoca: si arricchiva il sangue di un atleta del proprio sangue preventivamente prelevato. Arricchito chimicamente? Qualcuno ne ha dubitato, come di molte altre cose qualcuno ha dubitato, specie i perdenti i quali, si sa, spiegano le proprie sconfitte più volontieri con l’imbroglio del vincitore che non con l’ammissione della sua superiorità. Ferrara, dunque: lo sci di fondo era di casa a Ferrara, e quando Manuela Di Centa ebbe bisogno dell’intervento anche chirurgico a Ferrara, che probabilmente la salvò, apriti cielo! A Ferrara, nella città del doping! Ma siamo seri: il professor Conconi era ed è rettore dell’Università di Ferrara, era ed è uno scienziato riconosciuto da tutto il mondo, mica solo dal Coni che quando aveva i soldi li impiegava anche nella ricerca scientifica; membro della commissione medica del Cio, Conconi ha ”inventato” un test che misura l’efficienza atletica dell’uomo, e che viene utilizzato da tempo perfino nel calcio, prima ancora che il calcio cominciasse a utilizzare le conoscenze della farmacologia, che è altra cosa dalla biochimica applicata di cui Conconi è professore universitario. Mai superato quel confine, dunque; e mai, in questi anni che debbono essere stati lunghissimi, di inchieste e indagini, una parola di troppo. Continuare a lavorare. Poi che nel mondo dello sport prendessero piede magari i falsi conconiani che si spingevano oltre quel confine, che arrivasse l’Epo, l’ormone della crescita, il nuovo Tgh prodotto dall’industria farmaceutica non per curare un malato ma per migliorare la performance sportiva, che c’entrava Ferrara o Conconi? Ma i Savonarola del doping sono sempre all’erta, e un centro studi è comunque una bottega degli orrori, se non studiamo noi... » (Piero Mei, ”Il Messaggero” 20/11/2003).