Varie, 20 febbraio 2002
CONSO Giovanni
CONSO Giovanni Torino 23 marzo 1922. Giurista. Membro dell’Accademia dei Lincei. Dal 2010 consigliere delle Compagnia San Paolo (su indicazione dei Lincei) • Nel giugno 1998 fu designato dall’Assemblea Onu a presiedere la Conferenza per l’istituzione del Tribunale penale internazionale. Ministro di Grazie e Giustizia nel governo Ciampi (1993-1994), presiedette la commissione ministeriale per la revisione del codice di procedura penale. Presidente emerito della Corte costituzionale, della quale fu giudice dal 1983 e presidente negli ultimi mesi del mandato. Ha insegnato diritto processuale penale nelle Università di Urbino, Genova, Roma, (La Sapienza), Torino e alla Luiss. Attualmente insegna alla Lumsa. Opere: Processo penale e costituzionale, Istituzione di procedura penale, Glossario della nuova procedura penale (“liberal” 3/9/1998) • «“Nel 1955 era stato bandito dall’Università di Modena un concorso alla cattedra di procedura penale. All’improvviso ecco l’occasione tanto attesa e per la quale da tempo mi preparavo. I concorsi, allora, non erano a scadenza fissa come le Olimpiadi o il Giro di Francia: venivano quando venivano. L’ultimo era stato parecchi anni prima. Non potevo perdere l’autobus”. Quali erano, professore, le carte su cui puntava, quali le sue possibilità? “Erano quelle monografie la carta da giocare. La prima sui Fatti giuridici processuali penali, la seconda sul Concetto e le specie di invalidità. Bisognava pubblicarle subito. Allora non c’era il dischetto che estrai dal computer, mandi a stampare e in quattro e quattr’otto il libro è pronto. Bisognava spedire per tempo l’originale, ti ridavano le bozze, le correggevi, le rimandavi. Non c’erano fax né corrieri porta a porta. L’unico tramite sarebbe stato il servizio postale, ma non avremmo rispettato i tempi. La scadenza dei termini per presentare i titoli era troppo vicina. Non c’era altra via che andare direttamente in tipografia [...] Avevo l’editore Giuffrè di Milano, che si avvaleva anche di una tipografia a Varese, la Multa Paucis. Mi disse: ‘Sì, vada pure. Naturalmente deve fermarsi alcuni giorni’. Partii da Torino, armi, bagagli e carte, mi installai in una pensione. Feci parecchi viaggi Torino-Varese-Torino. Soprattutto andai su e giù dalla mia stanza d’albergo alla tipografia. Divenni uno di casa. Il direttore si chiamava Primo Mariani, di Città di Castello, molto valido, finto burbero, attento a tutto. I tipografi erano gentilissimi. Ricordo le tute, i camici, le mani nere d’inchiostro. Mi favorirono: mi portavano la bozza appena finita, non si stancavano mai di correggere. Nacque una sorta di amicizia [...] Fu una fatica estenuante, nella quale non fui lasciato solo. Le amicizie contano, gli affetti contano. Non voglio fare discorsi etico-patetici, però se nel mondo d’oggi ci fosse più amicizia e meno ostilità, meno polo contro polo, se si amasse un pochino di più, si realizzerebbe anche di più: l’unione fa la forza. Appartenevo alla scuola del mio grande maestro Francesco Antolisei che per molti anni aveva insegnato a Torino diritto penale e procedura penale. Ad Antolisei era subentrato nel 1953 il valentissimo Marcello Gallo, che aveva come primo assistente Marco Siniscalco - il padre del ministro - persona molto riservata, gentilissimo, dalle idee chiare, pieno di pragmatismo [...] Ero andato a chiudermi a Varese con i soli miei appunti. Dovevo fare in fretta. Ma molte cose erano da finire e rifinire. Ogni tanto avevo bisogno di una citazione. Allora mi rivolgevo proprio a Gallo e a Siniscalco. Carissimi amici, della stessa scuola (far parte della stessa scuola è un po’ una bandiera) che venivano a Varese in auto per portarmi il materiale che mi mancava, per aiutarmi nella revisione delle bozze, lavorando anche la notte. Era una sorta di collaudo. Non mi piace indulgere nella ricerca del tempo perduto, però nel trambusto di oggi un’amicizia così sarebbe possibile? [...] Terminate le monografie, la rilegatura avvenne con l’acqua alla gola. Quei volumi andavano presentati al ministero della Pubblica Istruzione l’indomani, ultimo giorno utile. Mi consegnarono il secondo volume in extremis. Riuscii a prendere l’ultimo treno Varese-Milano. Alla Stazione Centrale mi restava una manciata di secondi per salire sull’ultimo convoglio per Roma. Dovevo farcela. Fu un momento quasi drammatico. Carico, con le valigie in cui c’era tutta la mia roba, le carte, i libri, di corsa salii sull’ultimo vagone. Neanche un minuto e il treno partì: pochi istanti in più e avrei perso tutto [...] Viaggiai in piedi ma vinsi il concorso. Nella famosa terna che usava allora c’era pure Alberto Candian, che già da tempo insegnava procedura penale a Modena. Se avessi fatto valere il diritto di andare in quell’università, Candian, milanese, sarebbe dovuto andare a Urbino dove io ero incaricato, lasciando un luogo al quale era affezionato e dove gli era meno scomodo recarsi. Rinunciai allo scambio, anche perché Urbino mi era cara, e gli lasciai via libera a Modena. Diventammo molto amici [...] Il destino mi premiò perché, pochi giorni dopo la chiamata a Urbino, ebbi un’altra chiamata da Genova. Nominato ministro della Pubblica Istruzione, Paolo Rossi, che insegnava a Genova, aveva lasciato la supplenza di diritto penale a Vassalli che copriva anche procedura penale. Ma Vassalli era stato chiamato proprio in dicembre a Napoli, per cui Genova si trovò scoperta e cercò qualcuno che potesse insegnare penale e procedura penale. Il preside Salvatore Satta si consultò con Giacomo Delitala, che gli suggerì: ‘C’è un giovane vincitore del concorso, insegna a Urbino, è di Torino, farebbe salti di gioia per venire a Genova’. Satta, data una scorsa ai miei libri, mi convocò. Così dal 15 gennaio 1956 ebbi anche l’insegnamento a Genova. Vi insegnai penale e procedura penale fino a che fui chiamato a Torino, a partire dal 1960. Nel frattempo una mia ex allieva, Rita Maria Mazza Augelli, si laureò e diventò mia moglie [...] Rita Maria era di Genova. Studiava, frequentava le lezioni. All’esame tribolò un poco, perché ero esigente, insistente. Si laureava in diritto commerciale con il professor Casanova, un genovese molto impegnato. Aveva due tesine, quella di penale l’aveva assegnata Paolo Rossi, che, tutto preso dagli impegni ministeriali, la passò a me. La studentessa mi venne a parlare della ricerca più di una volta. Poi come sempre sono gli imprevisti a giocare un loro ruolo. Il giorno della sua laurea, nel tardo pomeriggio, avevo l’impegno di un seminario per laureati, il cui orario iniziale, per il protrarsi della seduta di laurea, si trovò a coincidere proprio con l’avvio della discussione di quella tesi, per cui dovetti allontanarmi quasi di corsa. Lei ci rimase piuttosto male perché quella tesina aveva dedicato particolare cura. Dovetti scusarmi. E le dissi: ‘Adesso che è laureata, venga a questi seminari”» (Alberto Sinigaglia, “La Stampa” 11/8/2004).