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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

Coppola Francis

• Ford Detroit (Stati Uniti) 7 aprile 1939. Regista. Film: Il padrino I, II, III; Apocalypse now, The Conversation ecc. • «Forse c’è qualcosa, nel Dna di famiglia, che ci spinge tutti a lavorare per l’arte. Mio nonno Agostino produsse il primo ”videofono” cinematografico; quello paterno, Francesco Pennino, era proprietario di sale e importò in America i primi film italiani. Quanto a mio padre Carmine, fu primo flauto nell’orchestra di Toscanini. Non c’è da meravigliarsi che i miei figli Sofia e Roman, come pure Nicolas Cage e altri miei nipoti, facciano cinema. Probabilmente è il risultato di una combinazione tra Dna e tradizione famigliare, di cui vado molto fiero» (Roberto Nepoti, ”la Repubblica” 5/4/2004). Sul Padrino: «Fu un’esperienza molto stressante, perché legata a molti problemi di natura finanziaria e al pericolo che fossi tagliato dalla produzione. Dover rivedere e rivivere tutto quel processo non mi piaceva. Ma poi ci ho preso gusto. Guardi il film e non pensi alle scene, piuttosto ricordi gli episodi della tua vita legati a quel momento. Come quando nacque mia figlia Sofia. O come quando rischiai di essere licenziato [...] La scelta di Al Pacino non aveva convinto i miei finanziatori. E visto che il budget cresceva, cresceva anche la tensione. Allora girammo la scena in cui Pacino, nel film Michael Corleone, uccide il capo della polizia corrotto e il gangster rivale. Scena drammatica, interpretata da Al con favolosa lucidità. Così i produttori si convinsero [...] Il cibo ha un ruolo centrale nella dinamica di qualunque famiglia italo-americana. Ed io sono cresciuto in un ambiente del genere. Con mia madre al centro di questo schema. Posso dire che sulla cucina ho avuto vari scambi di opinioni vivaci con l’autore, Mario Puzo [...] Io scrivevo la sceneggiatura leggendo il suo libro, gli spedivo il mio lavoro e lui lo analizzava. Una volta mi scrisse una nota perentoria. Riguardava una scena in cucina, la preparazione del sugo: io scrissi che il gangster stava rosolando la salsiccia. Lui mi rispose: ”Francis, i gangster non rosolano, i gangster friggono a tutto fuoco”.Vorrei fosse ancora qui. Una volta un suo amico mi affrontò: ”Guarda che è lui che ha fatto grande te, e non vi ceversa”.Aveva ragione [...] Dentro al film ho messo tutto ciò che la mia famiglia italiana mi ha trasmesso. Ovviamente sono stato aiutato da grandi attori. Non so se certi stereotipi dell’italian-american sono ancora validi, ma il concetto di fondo è che l’italiano è bravo e capace di sfondare un po’ in tutti i campi in cui si cimenta: artistico, scientifico, musicale. E anche della malavita. Gli italiani non sono certo tutti gangster, però chi lo è stato, era un ottimo gangster» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 13/6/2001). Su Apocalypse now: «Avevo 35 anni quando ho cominciato il film, tutto andava bene, successo e soldi, mi sentivo un giovane regista padrone del mondo. Alla fine del film ero cresciuto, un vecchio, deluso, pieno di problemi, pensavo che non mi sarei mai ripreso e non avrei più fatto un film. Feci l’edizione con la tensione al massimo, dovevo arrivare a una durata di poco superiore alle due ore, allora era inconcepibile un film di tre ore, e soprattutto doveva essere un film di guerra e d’avventura, senza niente di filosofico o di troppo intellettuale; avevamo paura, avevamo già una pessima reputazione. La decisione di portare a Cannes il film incompleto fu sacrosanta, la Palma d’oro e poi il successo del film furono la nostra salvezza [...] La stampa americana mi aveva massacrato durante le riprese nelle Filippine, ogni giorno uscivano commenti sarcastici sul disastro del film, ogni cosa - la sostituzione di Harvey Keitel o il malessere di Martin Sheen o un pettegolezzo su Marlon Brando - era pretesto per condannare Apocalypse now a un destino terribile. Stavo malissimo, non capivo. Stavo facendo il primo film sui giorni di quella guerra e invece di incoraggiarmi mi attaccate? Perché non attaccate kolossal come Superman? Si spettegolava anche sulle esigenze di Vittorio Storaro o sugli oggetti di scena che dovevano essere veri. Non era così: metterei sul tavolo di un set una bottiglia di vino pregiato solo se dovessi berla io [...] La mia utopia è un futuro in cui scienza e arte trovino un accordo. Solo così le meraviglie della tecnologia saranno usate non per fare soldi ma per rendere migliore la vita dell’uomo. Non credo che sia necessaria la miseria di milioni di uomini in favore della ricchezza di pochi» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 11/5/2001). Vedi anche: Giulia D’Agnolo Vallan, ”Sette” n. 51/1997.