20 febbraio 2002
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Corbi Gianni
• . Nato ad Avezzano (l’Aquila) il 6 febbraio 1926, morto a Roma il 31 luglio 2001. Giornalista. «E’ stato protagonista della grande stagione liberal de ”L’Espresso”, una delle più avvincenti avventure nella storia della stampa italiana del dopoguerra e un esempio di giornalismo come cane da guardia della democrazia, secondo la migliore tradizione americana. Del settimanale di via Po è stato giovane redattore, autore di inchieste su malcostume e corruzione che scuotevano l’establishmnet, direttore politico in un biennio infuocato, dal 1968 al 1970, quindi direttore editoriale per altri quindici anni, per chiudere la carriera come Garante dei lettori a ”la Repubblica” [...] Mette piede a ”L’Espresso” a circa trent’anni, quando il settimanale di Arrigo Benedetti e Eugeni Scalfari era appena nato. La redazione si era formata su quella di ”Cronache” di Tumminelli, periodico assorbito dalla nuova testata. L’editore era Adriano Olivetti, che poco dopo si ritirò preso dal progetto Comunità: subentrò allora un giovane editore, Carlo Caracciolo. Il formato era quello a lenzuolo, come ”Il Mondo” di cui ”L’Espresso” raccoglieva l’eredità. Era in concorrenza soprattutto con ”l’Europeo” (pure creatura di Benedetti del 1945), che però privilegiava il reportage classico e le grani interviste, mentre in via Po si puntava su un giornalismo di denuncia, che rompesse il clima conformista del centrismo allora imperante [...] Corbi firma con Livio Zanetti, nel giugno del 1958, ”L’asino nella bottiglia”, che ha per bersaglio le sofisticazioni alimentari, e con Eugenio Scalfari, nel febbraio del 1963, un’indagine sui gravi illeciti della Federconsorzi, con cui la Dc controlla gli agricoltori [...] Frattanto Scalfari è subentrato a Benedetti, ma nel 1968 il Psi lo elegge in parlamento. Direttore diventa Corbi, in una fase storica cruciale [...] Dopo gli scontri a Valle Giulia pubblica la famosa poesia di Pier Paolo Pasolini, che difende i poliziotti, figlio di proletari, contro i contestatori, figli della borghesia. La direzione di Corbi si interrompe per un contrasto sul futuro de ”L’Espresso”, quando Scalfari e Caracciolo lanciano il supplemento ”Economia e Finanza” [...] Nominato direttore editoriale, si dedica alla storia, sua grande passione [...] Nel 1993 succede a Piero Ottone come Garante dei lettori di ”Repubblica” [...] Scandalo Mitrokhin: il nome di Crobi è tra i giornalisti accusati di contatti col Kgb [...] Per quanto lo riguarda, la faccenda è una ”montatura”» (Alberto Papuzzi, ”La Stampa” 1/8/2001). «Era tutto ciò che può esserci di opposto allo stereotipo del giornalista approssimativo, guascone, fanfarone, arrogante, presuntuoso, bugiardo a fin di falsi scoop. ”Figurati che non gli ho mai sentito pronunciare una parolaccia!”, testimonia un collega della ”Repubbblica”[...] Aveva imparato ad attraversare la vita, il fascismo, il mondo delle ideologie in guerra, il boom rampante e spregiudicato del dopoguerra, la politica e il bollente clima del giornalismo e della cronaca italiani con l’asciuttezza e la civiltà che aveva succhiato col latte. Suo padre era un avvocato abruzzese, sua madre veniva da una culturalmente illustre famiglia pugliese, i De Feo. Sandro De Feo e Nicola De Feo (che firmava con lo pseudonimo di Nicola Adelfi) erano suoi zii materni. Suo zio paterno era Bruno Corbi, partigiano, deputato ”ribelle” del Pci (ne uscì dopo l’Ungheria) e poi giornalista della ”Repubblica”. Aveva cominciato a scrivere sul ”Messaggero”, e poi sull’’Espresso”, poco dopo la nascita del settimanale. Con Arrigo Benedetti nume collerico e primo direttore, e poi con Eugenio Scalfari, protagonista a tutto campo del giornalismo e della politica, rappresentava in redazione una specie di camera di decompressione, dove gli avvenimenti e i personaggi tornavano a dimensioni umane, dove si poteva trovare una conclusione comune ai dissensi più aspri. Per questo lo chiamavano (e la puntura, in quell’alveare di esagitati, era soprattutto un complimento) ”il redattore cupo”. Già con Benedetti era infatti diventato redattore capo, ruolo ingratissimo con quel direttore. Diventò vicedirettore con la direzione di Scalfari. E quando, nel vortice dello scandalo Sifar, l’inchiesta dell’’Espresso” e il partito socialista portarono Scalfari e Lino Jannuzzi in Parlamento, l’editore chiese al molto titubante Corbi di prendere la direzione del settimanale. Non era una parte che gli piaceva. Non gli piaceva che i titoli degli articoli, come era regola allora, dovessero ”cantare”. Non si capacitava che ogni redattore, anche gli addetti alle cronache mondane, si improvvisasse di colpo analista politico. Fu direttore dal marzo 1968 all’ aprile 1970, la stagione dell’insurrezione giovanile per le strade, di piazza Fontana. Non era affatto agnostico. In una sua intervista a Giorgio Amendola che fece allora colpo, riecheggiò l’accusa di ”nicodemismo” che il dirigente del Pci rivolgeva allora agli intellettuali che, come Sciascia, sostenevano ”né con lo Stato, né con le Br”. Ma le sue convinzioni politiche le trasfondeva, sul giornale, in articoli documentati, in inchieste frutto di lavoro certosino sui dati, sulle leggi, sui controlli. Quando andò in pensione, si lasciò alle spalle inchieste che a suo tempo avevano fatto epoca (L’asino nella bottiglia, in collaborazione con Livio Zanetti, sulle sofisticazioni alimentari, con un brillante incipit: ”Avete mai bevuto un asino?”) e veri scoop: un’intervista a Juan Peron sull’aereo che lo riportava trionfalmente in Argentina, ”Muchacho peronista”, titolo ”cantante” in senso stretto, visto che veniva dalla canzonetta sull’epopea dei ”trabajadores”. Memorabili furono le sue numerose inchieste sul potere in Urss, fra economia e politica. Era diventato un esperto del mondo comunista, oltre che dell’Italia del dopoguerra. Questi suoi talenti si sono versati in una serie di volumi a sua firma: L’avventurosa storia della Repubblica, Togliatti a Mosca, Nilde (una biografia di Leonilde Jotti)» (Gianluigi Melega, ”la Repubblica” 1/8/2001).