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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

Corso Gregory

• New York (Stati Uniti) 26 marzo 1930, Minneapolis (Stati Uniti) 17 gennaio 2001. Scrittore • «Crebbe in una famiglia difficile, soprattutto perché la mamma se ne tornò in Italia quando era bambino. Conobbe l’orfanotrofio, il riformatorio e, a soli 17 anni, la prigione per una rapina. Fu in carcere che si avvicinò alla letteratura, leggendo i classici, soprattutto quelli dell’Ottocento, e scrivendo le prime poesie. Negli anni Cinquanta conobbe per caso Allen Ginsberg in un bar del Village a New York. Cominciò così la sua avventura con la beat generation. La sua prima raccolta di poesie, The vestal lady on brattle, è un fiasco, ma nel ’55 la City Lights di Ferlinghetti pubblica le sue più famose composizioni, fra cui la celebre Bomb, scritta in forma di fungo atomico. In Italia i suoi versi sono stati raccolti nei volumi Poesie, edito da Guanda nel 1988, e Gasoline (Benzina), uscito da TEA nel 1999» (’Corriere della Sera” 19/1/2001). «L’ultima cosa che mi ha chiesto è stato di farlo seppellire a Roma. Non si ricordava che il cimitero si chiama Cimitero degli Inglesi, si ricordava soltanto che lì è sepolto Shelley, ed era leggendo Shelley in un carcere minorile che aveva cominciato a scrivere poesie, a sognare la Bellezza sempre con la B maiuscola, a immaginare mondi stellanti non legati dai fili della logica ma da associazioni inesplicabili. Aveva una settantina d’anni portati male, malissimo, dopo aver vissuto tutte le trasgressioni e tutti gli eccessi per realizzare caparbiamente la figura di poeta maledetto, lui dolce calabrese tradito dalla vita, per sempre tramortito dall’abbandono della madre sedicenne quando era nato da 6 mesi, dall’affidamento a 8 madri diverse finché il padre lo ha ripreso a 11 anni, senza successo, perché il ragazzino ha continuato a fuggire da casa e a 13 anni è stato ricoverato in osservazione nel terribile ospedale Bellevue; dove ha passato, ha scritto, ”tre mesi spaventevoli con vecchi pazzi che orinavano nella bocca di altri tristi vecchi pazzi e a 13 anni conoscevo il dolore e il destino umano più di mio padre e della mia matrigna”. Dopo Bellevue è cominciata la sua serie di arresti e di prigioni per errori da sbandato, finché ha incontrato il poeta Allen Ginsberg che gli ha fatto conoscere Jack Kerouac. La sua nuova vita è cominciata a 24 anni quando la bella, ricca e elegante Violet Lang lo ha portato a Cambridge, sede dell’università di Harvard. Lì ha letto Hegel e Kirkegaard; soprattutto, per due anni ha studiato e amato Shelley, Keats e Milton e ha ricominciato a scrivere poesie da uomo libero. Il poeta-editore Ferlinghetti ha letto il suo primo, The Vestal Lady on Brattle (500 copie) e ha chiesto a Corso di scriverne un altro per le sue edizioni: Corso ha scritto Gasoline, che è uscito nel 1958 con una introduzione di Ginsberg. Nello stesso 1958 il poeta è andato a Aldermaston in Inghilterra per assistere alla dimostrazione contro la bomba atomica organizzata da Bertrand Russell ed è tornato a Parigi dove ha scritto Bomb. Gregory Corso mi ha detto che di quella dimostrazione più che la finalità antinucleare lo aveva impressionato la carica di odio, di violenza, di rabbia che i pacifisti rivelavano contro la bomba; una simile violenza, mi ha detto, gli era parsa altrettanto mostruosa della violenza contenuta nella bomba. Nel 1960, è uscito, dopo essere stato rifiutato da Ferlinghetti, The Happy Birthday of Death, in 10.000 copie per le edizioni New Directions di James Laughlin. Il libro contiene Bomb e le sue poesie più famose (Air, Marriage, Food, Death, Power, Army, Police), scritte intorno al 1959, e rivela il suo metodo di scegliere un’idea e svilupparla fino alle estreme conseguenze. A volte ha fatto ritratti surrealisti inventando strane combinazioni di parole fino a far diventare strana anche la realtà che le ha ispirate: per esempio Polvere di pinguino, pancia di radio, una invenzione cominciata con il linguaggio paradossale della sua famosa espressione Scarpe fritte. Tra il 1959 e il 1961, da Parigi è andato in giro per l’Europa. Nel 1963 è ritornato a New York e si è sposato la prima volta con Sally Joyce November, che gli ha dato una bambina e lo ha portato nell’Ohio a lavorare nel negozio da fioraio del padre. Di lì è fuggito ritornando a New York e cominciando a 33 anni la sua vita di poeta maledetto. L’11 giugno 1965 è andato a Londra, poi è ritornato a New York, ha divorziato da Sally, è andato al Festival di Spoleto. Nel 1967 è ritornato a New York, nel 1968 ha insegnato ad Albuquerque in Nuovo Messico e più o meno allora ha sposato la bella ereditiera Belle Carpenter Dupont, dalla quale ha avuto la bellissima figlia Sybille. Nel 1976 si è stabilito a Parigi con Jocelyne Stern e da lei ha avuto il figlio Orphèe, che ha portato con sé a New York dove è stato ospite di Ginsberg. Nel 1978 è ritornato con la futura moglie Liza e il figlio Max all’università di Naropa a Boulder, Colorado, dov’era già stato un paio di anni prima a insegnare in un corso della Scuola di poetica disincarnata di Kerouac voluta da Ginsberg nell’università buddista del Chogyam Trungpa Rimpoche. Nel 1989 si è più o meno stabilito a Roma dove è rimasto un paio d’anni. Eppure ubriaco, drogato, disperato, lì a Roma accadeva spesso che si accorgesse di persone più ubriache, drogate, disperate di lui e le raccogliesse, le accompagnasse in salvo e entrasse nel loro cuore creando per sempre in loro l’immagine di dolcezza, generosità, pietà della sua vera natura. Insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità qualunque cosa abbia detto o scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una sciocchezza. Con tutta quell’insolenza e quell’imprevedibilità Gregory è stato uno dei più grandi poeti americani contemporanei: raffinato, sofisticato, affidato all’umorismo per tagliare le illusioni e distruggere le bugie, ispirato dalla bomba atomica per denunciare la tragedia della condizione umana, capace di elaborare le parole come concetti, spregiudicato nel passare in una stessa poesia da versi rimati a versi liberi. Con una mano allo humor e l’altra alla nostalgia, maestro in grandi exploits di erudizione egiziana e nel creare atmosfere del mondo classico, conoscitore stupefacente di musiche di tutti i tempi, è stato il cantore di squarci emotivi indimenticabili, negli ultimi tempi macerati dalle delusioni e dalla fatica. Forse non resta che rimbalzargli il titolo del suo libro Long Live Man: Lunga Vita all’uomo» (Fernanda Pivano, ”Corriere della Sera” 19/1/2001). «Nel suo romanzo I sotterranei Jack Kerouac ritrasse l’amico Gregory Corso chiamandolo Yuri Gligoric. Lo descriveva così: ”Yuri Gligoric, giovane poeta, 22 anni, era appena arrivato dalla raccolta delle mele nell’Oregon, prima cameriere nel ristorante di un grosso ranch adibito a pensione, alto magro biondo iugoslavo, bell’aspetto, molto aggressivo e soprattutto sempre a tentare di far sfigurare Adam e me e Carmody sapendoci una vecchia trinità riverita, desideroso, naturalmente, da giovane poeta inedito ignoto ma molto geniale, di abbattere le grosse divinità stabilite e prenderne il posto, desideroso perciò anche delle loro donne, essendo libero da inibizioni e malinconie, almeno per il momento”. Mai ritratto poetico fu più veritiero. Gregory Corso le stimmate della maledizione e della divinità le aveva tutte: come Kerouac. Era aggressivo, ma era (parlo della persona) molto dolce. Come gli scrittori americani di una volta, aveva fatto tutti i lavori e poi si era avventurato all’assalto della città, o della roccaforte (della poesia). Non aveva la corona, ma era un re: o, quanto meno, uno dei cavalieri assisi alla tavola del re. Infine, il personaggio aveva rotto gli argini, aveva travalicato la poesia, ovvero la sua stessa opera. Fu il suo modo di essere moderno, spiritoso, buffo, buffone, sollecito e, nello stesso tempo, in permanenza rapito. Ma rapito da che cosa? Ricordo un saggio di Alfred Kazin, uno dei grandi critici americani, in cui tutta la letteratura degli Stati Uniti risultava inscritta sotto il segno dell’alcol. Kazin citava Hemingway e Fitzgerald; o Hammett e Kerouac. Corso si situa a buon diritto in questo nobile filone: lo si legge nella sua biografia e nei ritratti che gli hanno lasciato gli amici. A Roma si era arenato come un vecchio console inglese d’altri tempi in una città del Messico o dell’Egitto. Il suo Messico e il suo Egitto fu l’Italia da dove venivano i suoi giovanissimi genitori (il padre aveva 17 anni e la madre 16); in specie Roma: non c’è abitante del centro storico che non lo ricordi vagabondo, o pellegrino, tra il Bar della Pace e il Bar del Fico: come fossero il suo Capo Horn e il suo Capo d i Buona Speranza. Per quanto ne so, era approdato a Roma nel 1979, per il Festival di Castelporziano. A distanza di quasi 22 anni ne ho un’’immagine folgorante. Non fece in tempo ad arrivare sulla spiaggia, tra le dune, che si avvicinò Fernanda Pivano e simulò un irresistibile trasporto amoroso, cadendole addosso. Tutte le persone presenti lo considerarono un biglietto da visita. Amò Nanda, amò le donne, amò la vita. Nanda fu la prima a divertirsi di quella performance finto-vera. un piccolo aneddoto che tuttavia ci riconduce alla poesia di Corso, da Benzina a Dove My casa. Come disse lo stesso Kerouac, in Corso c’era una nota leggera, sentimentale e malinconica: aggiungo io, di tipo tenorile. Insomma, una specie di Caruso, o di Sinatra della poesia. Ma non era soltanto il buon selvaggio che dava a intendere (poiché lavorava essenzialmente di understatement). Non era solo quella specie di Doganiere Rousseau che un altro suo amico, Kenneth Rexroth, aveva visto in lui. Quando si trovava in riformatorio e poi in prigione (ci finì a 17 anni) scoprì la grande letteratura: Dostoevskij, Stendhal, Victor Hugo. la sua radice. Alla base di quella icona della beat generation che egli era, in Gregory Corso resta il sogno del riscatto universale, della povertà redenta, della gioventù riconquistata» (Franco Cordelli, ”Corriere della Sera” 19/1/2001).