Varie, 20 febbraio 2002
COSSIGA Francesco
COSSIGA Francesco Sassari 26 luglio 1928, Roma 17 agosto 2010. Politico. Fu presidente della Repubblica (1985-1992), due volte presidente del Consiglio (1979-1980), ministro dell’Interno (Moro V, Andreotti III, Andreotti IV) ecc. • «Ragazzo prodigio della politica del dopoguerra, è stato il più giovane sottosegretario alla Difesa. Il più giovane ministro dell’Interno. Il più giovane presidente del Consiglio. Il più giovane presidente della Repubblica» (Germano Bovolenta, “La Gazzetta dello Sport” 19/9/2004) • «Presidente picconatore, senatore gladiatore, dublinese d’adozione. Assiduo frequentatore delle opere di un parroco inglese che si convertì al cattolicesimo e fu il benvenuto tra i papisti come Cardinale. Tra un sermone d’ispirazione anglicana e una grammatica sarda dell’assenso, anche quando Dio è diventato comunista, non è mai uscito dalla Nato nemmeno per una compagna di banco porcellona. Ammette senza scandali che il grembiulino della massoneria non è antitetico a quello della massaia. Da ministro dell’Interno quale fu disse parecchie cose sgradite agli Eco-Guattari-Deleuze, che nel ’77 si cimentarono contro la repressione firmando un bel manifesto e, quando anche i comunisti stavano con Renato Zangheri e i carriarmati, loro, stando per i cazzi loro, non stavano né con lo Stato né con le Br. Ministro dell’Interno diventò allora Kossiga. Sempre da ministro dell’Interno disse: “Non permetterò che i figli di contadini meridionali subiscano le violenze dei giovani della borghesia del nord”. Da presidente della Repubblica qual era scatenò la più pesante offensiva terroristica che la Dc avesse subito nella sua lunga storia. Ma le leggende metropolitane raccontano che poi, forse, chissà, fu uno degli ispiratori di Mani pulite, pare assodato che quando a Roma si credeva ancora che a rimettere le cose a posto sarebbe bastata la telefonata di zio Giulio al democristiano Tonino, lui aveva già scritto la prefazione al libro dell’Eroe. Ma poi, ripensandoci, lanciò la moda “Di Pietro non ci sto”.Colleziona cavallucci a dondolo e omaggia i suoi critici con sofisticati pacchi burla. Da buon irlandese qual è detesta i suk, la compravendita dei voti e, forse per via della sua vitiligine, il sempre bronzeo viso del Cavaliere» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998) • «Resta un mistero, il più incredibile e duraturo mistero della politica italiana. “Quando scendo dall’automobile - ha riconosciuto lui stesso - è come se uscisse un animale esotico, la gente sgrana gli occhi”. L’ha battezzato: “Effetto canguro”. Gli animali rientrano sempre più spesso nel suo frasario, pubblico e privato. Ha definito il presidente della Commissione Giustizia della Camera Pecorella “un gufo”, uccello magico. Si è anche personalmente assegnato un animale totemico, di riferimento, nel quale identificarsi: il Gatto Mammone. Il suoi seguaci, del resto, quel che restava del partitino cossighiano dell’Udr, furono da lui a lungo chiamati “i quattro gatti”, con tanto di cravatte natalizie e logo felino. Durante la campagna elettorale 2001, davanti ai fotografi che lo seguivano in un giro al mercato del quartiere Trionfale, ha voluto lasciare un segno di sé a un banco di pescivendoli e ha firmato il suo autografo sul dorso di una sogliola. Fa e dice cose che nessun altro politico si sogna di dire o fare. Sogna, ad esempio, e dai propri sogni trae pubbliche indicazioni per il presente e per il futuro. […] “Stanotte ho fatto un sogno: tutti noi, che stamattina siamo qui riuniti, finivamo in galera”.Spesso si presenta là dove non è atteso; indica colpevoli e vie d’uscita. Si direbbe che gli piace sempre più sorprendere. Ma più che a un calcolo, o una strategia, questo suo atteggiamento di eccezionale imprevedibilità sembra ispirato da un’energia profonda e spontanea, dal desiderio di veder rispecchiata nello sguardo degli altri la meraviglia naturale generata dai suoi paradossi e ribaltamenti. Ultimamente ha ricevuto dei giornalisti a letto, con eleganti pantaloncini a coscetta; si è fatto servire un whisky durante una conferenza stampa; sui telefoni di casa e dell’ufficio, anche prima dell’inchiesta di Potenza, si poteva leggere: “Questo apparecchio potrebbe essere intercettato”; mentre su un tavolinetto all’ingresso di casa un’altra targhetta raccomandava di “non lasciare pistole incustodite”.La scrivania a Palazzo Giustiniani ha ospitato a lungo, ben prima del film, un pupazzo dell’Uomo Ragno che, debitamente pigiato, diceva: “Ciao amico, sono l’uomo Ragno! È ora di entrare in azione! La mia ragnatela è invisibile!”.Lo stesso ex presidente, in occasione del suo compleanno, si è lasciato raffigurare con un enorme pupazzone di Snoopy in braccio. Figura di politico colto e assai poliedrico, si è sempre divertito con i gadget elettronici, i soldatini, le bandiere; a suo tempo teorizzò anche la necessità di restare un “homo ludens”.E tuttavia quel “di più” che si nota in lui, insieme alla disinvoltura con la quale gli capita di maneggiare anche la materia più bassa, corporale, di esprimersi con un linguaggio disinibito, l’insistenza con cui spesso e volentieri scherza sulla malattia sua (appena operato volle sapere come stava il gatto cui avrebbero dato un pezzetto del suo colon) e degli altri (“il club K”), ecco tutto questo sembra trasmettere qualcosa che va al di là delle parole. In altre parole: sembra che si sia assegnato un ruolo, per certi versi inconfessabile, di intermediario tra questo mondo e un altro, tra le forze che maneggiano gli uomini e i simboli che, più o meno reconditi, da sempre accendono la loro fantasia. È come se si sentisse attore di se stesso, ma anche autore, regista, impresario. […] Cambia spesso d’abito, appare attratto dai travestimenti, t-shirt, berretti di piume da capo indiano, come chi sa benissimo di partecipare al Gran Palcoscenico dell’immaginario. Ospite a Porta a porta, dove gli hanno organizzato un ballo sardo, ha preso in mano una antica maschera di scena, nera, abbastanza spaventosa, che lui si è subito calata sul volto. E il suo enigma prosegue anche sulle questioni più direttamente pubbliche che investono il ruolo e i limiti di un ex Capo dello Stato. La sua indubbia curiosità lo pone in una dimensione più che incognita, arcana. Inesplicabile è la sua personalissima politica estera: è senz’altro un benemerito dell’atlantismo, tiene corsi nelle università più prestigiose della Gran Bretagna, ma vola da Gheddafi e aiuta i baschi con un tale impeto da sfiorare, anzi quasi da cercare l’incidente diplomatico con Aznar. Del tutto inclassificabili i suoi movimenti qui in Italia, da un decennio a questa parte. Il momento più alto quando ha fondato un partitino e l’ha portato al governo rivoluzionando gli equilibri, anche se poi - attenzione qui - la fine di quell’esperienza gli è parsa determinata da un destino misterioso, una specie di sortilegio predisposto dalle vittime. Ora sostiene di svegliarsi al grido di: “Viva la gloriosa Prima Repubblica!”.Ha nostalgia del Pci, ma è stato l’ultimo ad abbracciare Craxi; rivendica con orgoglio l’organizzazione di Gladio, però ha proposto pensioni e onorificenze per le eventuali spie nominate nel dossier Mitrokhin; detesta la lobby di Lotta continua, eppure interviene alle presentazione dei libri di Toni Negri e ha fatto da testimone di nozze a un ex terrorista. Mistero nel mistero è quel che pensa in via assoluta e definitiva di Prodi - il “vindice” - Di Pietro, D’Alema, Berlusconi, quest’ultimo gratificato di “Grande Puffo”, “Silviotto ciucciotto e ninna nanna”, “Anticristo”.E tuttavia il presidente emerito della Repubblica - nuova figura protocollare che ha caldeggiato fino a ottenerla certificata con tanto di onori e benefit in una circolare di Palazzo Chigi - non gli ha impedito che suo figlio, suo nipote e diversi amici suoi, già autorevoli “quattro gatti”, finissero in Parlamento, generosamente eletti dal Cavaliere nelle liste di Forza Italia. Pur alieno da facili opportunismi, sembra stia lì a sfidare ogni fervida ed esclusiva linearità, ogni convenzionale spiegazione del suo operato, perché a ben vedere si muove semmai a labirinto, a serpentina, a rosa dei venti, a vortice ritmico, non di rado in crescendo. Troppo difficile è classificarlo secondo i normali codici politici di destra, centro o sinistra; troppo comodo d’altra parte liquidarlo come “caso clinico”, nel senso ovviamente psichiatrico. Da più di dieci anni va avanti questa storia, e il tempo gioca per lui. “Io forse per paura di diventare matto - ha scritto una volta - mi lascio trasportare dalla mia innocente follia a sperare in un’Italia diversa”.E allora? Ecco, allora: l’ipotesi interpretativa che si è fin qui cautamente imbastita, e che rispettosamente - per lui e per il lettore - si vorrebbe proporre, o forse soltanto azzardare, muove dall’ipotesi che non sia né pazzo, né ormai catalogabile come politico tradizionale. Ma che abbia scelto per sé un ruolo molto particolare che nella sua terra d’origine, in lingua logodurese, è quel del “majarzu”, da “maja”, che vuol dire magia, e quindi si senta un mago, uno stregone o meglio ancora, dal punto di vista antropologico, uno sciamano. Che cos’è infatti uno sciamano? È un individuo dotato di facoltà speciali, un po’ guaritore, un po’ veggente, qualcuno che segnala i pericoli, individua i colpevoli, fa ritrovare gli oggetti smarriti, non disdegna gli stati di trance durante i quali si mostra consapevole di cose molto lontane, ai più indecifrabili. Bene, lui fa un po’ tutte queste cose. Coltiva l’arte sacra della beffa, regala tricicli, pampers, slip, bambini di zucchero. Certo non guarisce le malattie, come Berlusconi, ma se si estende la valenza taumaturgica sul piano della vita pubblica appare evidente che fin dai tempi del piccone il personaggio si propone come medicine-man del sistema politico italiano. Allo stesso modo ama rappresentarsi come il Vecchio della Montagna, rispetto al quale tutti gli altri sono “ragazzi”, “ragazzotti”, “ragazzini”, anche se hanno più di 60 anni.[…] Andando alla carica del Procuratore generale di Genova Meloni, ha minacciosamente rivendicato di aver avuto rinomate “majarzas” nella sua famiglia. E poco dopo ha raccontato di aver fatto una sorta di fattura a Jospin, con spillone e tutto. Per scherzo. Più si va avanti insomma e più si torna indietro. Dopo i pubblicitari, gli esperti di marketing e gli psichiatri arrivano in politica gli sciamani. O forse ci sono sempre stati. Come al solito, basta non agitarsi troppo, anche a Palazzo Madama» (Filippo Ceccarelli, “La Stampa” 19/6/2002).