varie, 20 febbraio 2002
COSSUTTA
COSSUTTA Armando Milano 2 settembre 1926. Politico. Diploma di maturità classica, giornalista. Entra nel Pci nel 1943 e partecipa alla Resistenza, nel 1959 è membro della direzione e nel 1964 della segreteria nazionale, nel 1991 è tra i fondatori del Prc, di cui è eletto presidente, nel 1998 fonda il Pdci. Eletto senatore nel 1972, 1976, 1979, 1983, 1987, 1992, deputato dal 1994. «La sua affiliazione al comunismo trova base dottrinaria nel 1943 quando a Ravenna compulsa un testo di Benedetto Croce: Come nacque e morì il marxismo teorico in Italia, che contiene in appendice Il manifesto di Marx. Il libro ”galeotto” (e proibitissimo) - ovviamente - gli è fornito da un sacerdote, direttore della biblioteca classense, che lo invita a documentarsi meglio sulle proprie passioni. Invito preso alla lettera. Segue formazione politica rigorosamente togliattiana a Sesto San Giovanni dove il 14 luglio ’48, dopo l’attentato a Togliatti, prende la parola davanti agli operai in sciopero e scopre la sua principale dote: un sangue freddo polare che lo assisterà in tutta la vita. Fa anche il giornalista: dirige scrive e impagina ”Il Rondò di Sesto”: ”Un giornale tutto sport e cronaca, davvero nazionalpopolare, vendevo 15.000 copie”. Ateo, riuscì a farsi chiamare ”Eminenza rossa”. Nell’82 strappa con Berlinguer; nell’89 strappa con Occhetto, nel 1998 strappa con Bertinotti. A Mosca Gennadij Zijuganov lo ha omaggiato come ”migliore interprete della tradizione comunista”. Non ha ancora strappato la tessera numero uno del ”club interisti leninisti” di Ravenna» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998). «Difficile dare torto a D’Alema quando, rispondendo a un quesito di Scalfari che si chiedeva come avrebbe potuto essere definito Cossutta nella geografia interna del vecchio partito, ha risposto semplicemente: cossuttiano. E si è limitato a rinviare quanti volessero capire meglio alla complessa (e poco indagata) storia del comunismo milanese nella seconda metà del Novecento, alla sua robusta destra riformista e a una sinistra interna altrettanto robusta, e a modo suo ”responsabile”, poco incline al movimentismo, cioè, ma anche poco curiosa dei cambiamenti dell’economia, della società, del costume, del gusto. Cossutta, in realtà, è stato in qualche misura partecipe di entrambe. Ha interpretato cioè, come lo si poteva interpretare a Sesto San Giovanni operaia e a Milano, poi a Roma, il ruolo dell’uomo di centro, del togliattiano moderato e aperto ai ceti medi, in un Pci che dal centro era governato quasi per definizione. A questo ruolo è rimasto fedele fin quando è stato umanamente possibile. Con Palmiro Togliatti, e si capisce. E poi con Luigi Longo, al quale è stato particolarmente vicino. E anche con Enrico Berlinguer. Ma solo fino a un certo punto. Perché l’emarginazione politica di Cossutta non inizia nell’81, quando dà battaglia contro lo ”strappo” (vero o presunto) di Berlinguer con l’Urss, ma alla metà degli anni Settanta. Quando Berlinguer lo estromette dalla segreteria del partito, di cui è stato fin lì il coordinatore, sostenendo che, negli anni, ha accumulato troppo potere, anche se, precisa, senza abusarne: e lo spedisce a occuparsi di enti locali. Che di questo potere faccia parte integrante il rapporto diretto e privilegiato con Mosca, e che questo rapporto Berlinguer cerchi di reciderlo, o di attenuarlo, non è già allora, nel Pci, un mistero per nessuno. E dunque nessuno si stupisce più di tanto quando, sei anni dopo, il dirigente comunista che quasi per definizione ha rappresentato e governato con mano ferma l’ortodossia di apparato si ritrova, denunciando lo ”strappo” e la ”mutazione genetica” del partito che ne deriverebbe, nella parte dell’eretico che rivendica il diritto di organizzare i suoi in corrente, e viene accusato apertamente di dare man forte a un ”lavorìo” sovietico per minare l’autonomia del Pci. [...]» (Paolo Franchi, ”Corriere della Sera” 22/10/2004). «Vita da comunista. C’è un uomo in Italia che ha solo sei anni meno del comunismo nazionale, che è politicamente attivo, che non demorde, che conosce le segrete cose che passarono in quella italianissima stanza di compensazione del potere che fu per mezzo secolo Botteghe Oscure. Ha incorniciata nel suo studio la bandiera di seta rossa che dopo l’89 finì tra le ortiche della federazione milanese. Fu raccolta e consegnata a lui da un militante alla vigilia della scissione [...] ”Il comunismo è come il mitologico Anteo, figlio della terra e del mare, che restava potente e vivo solo fin quando aveva i piedi ben piantati per terra e se anche il capitalismo ha vinto questo non vuol dire che è l’ultima pagina della storia, perché il capitalismo non è in grado di risolvere le sue contraddizioni [...] Non potevamo non dividerci da Occhetto prima e da Bertinotti poi. Dieci anni fa sbagliò chi come Pietro Ingrao pur di ”restare nel gorgo” non volle partecipare alla nuova impresa che iniziò al teatro Brancaccio, e che si dimostrò giusta. Fu Bertinotti a comprometterne il successo. Bertinotti al quale calzano le parole di Gramsci contro Trotzkij, ”è un teorico politico dell’attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatte [...] Racconto un episodio. E’ il 1969, Berlinguer Bufalini ed io siamo alla conferenza mondiale dei partiti comunisti a Mosca. All’indomani della crisi cecoslovacca, le risoluzioni del Pcus sono tali che noi tre sentiamo di non poter dare la nostra adesione. Berlinguer mi chiese di andare immediatamente in Italia per ottenere un’ulteriore conferma sulla nostra linea dai compagni della direzione. La mattina dopo al Cremlino veniamo ricevuti da tutto l’ufficio politico, Breznev, Kossighin, Suslov e tutti gli altri. Noi spieghiamo la nostra posizione, si discute. Fu Breznev a chiudere, ”il Pci è un grande partito, se prende una decisione sa quello che fa [...] Uomo di Mosca... Io sono italiano. I russi lo sapevano bene. Agli inizi degli Anni Settanta il nostro paese ha avuto il metano della Gazprom, pagandolo con i tubi dell’Italsider e le macchine della Nuovo Pignone. Un accordo splendido nell’interesse dell’Italia, grazie anche al Pci. Mi ricordo che Kossighin, allora capo del governo, mi diceva: ”L’Italia ha la fortuna di avere grandi manager, Cefis, Valletta, il governatore della Banca d’Italia Guido Carli...”. Quand’ero presidente dell’Italtrust, l’organizzazione che aveva praticamente il monopolio dei viaggi oltrecortina, ricevetti una telefonata da Amintore Fanfani, allora ministro degli Esteri. ”Devo firmare un accordo con l’Urss, mi accompagni?”. Partiamo insieme, lui fa i suoi colloqui, poi una mattina mi chiama, siamo alla firma vieni anche tu. La ”Pravda” pubblica la foto in prima pagina, Gromiko, Boicenko, Fanfani e io. Così dal Cremlino mi prendono in giro, ”ma come, i comunisti italiani sono al governo e non ci avete detto niente?”. Io ho sempre fatto gli interessi del mio paese”» (Antonella Rampino, ”La Stampa” 20/1/2002). «Il punto di osservazione iniziale è la Lombardia operaia, anzi ciò che a lungo se ne è considerato la ”cittadella”: Sesto San Giovanni. Lì Cossutta, nato a Milano nel 1926, iniziò la carriera politica, dopo aver militato nelle file della Resistenza ed aver subìto il carcere. Segretario della sezione comunista della ”Stalingrado d’Italia”, vi incontra i massimi dirigenti del partito: da Togliatti, alla cui lezione si professerà fedele, a quel Luigi Longo, del quale appena può tesse l’elogio. Del primo, Togliatti, apprezza la razionale freddezza, la perseveranza con la quale privilegiò, nei fatti, ”la strada della democrazia” rispetto a quella dell’’insurrezione” [...] Cossutta passa all’opposizione nel partito, diventando capo della corrente denominata, all’ingrosso, ”filosovietica”. E ciò determinerà uno stop alla sua carriera, che aveva conosciuto un’ascesa continua fino a sfociare, nel 1966, nell’incarico di coordinatore dell’ufficio di segreteria e nella funzione di ”sovrintendente all’amministrazione” del partito. Per farla breve, almeno fino al 1974, fu lui a procurare al Pci i finanziamenti che provenivano dall’Unione Sovietica: il cosiddetto ”oro di Mosca”. Bersagliato per decenni dagli avversari politici, Cossutta non ha mai nascosto quel suo ruolo, rivendicandone anzi la legittimità in un universo bipolare, in cui ciascuna delle parti in lotta aveva i suoi finanziatori internazionali: la Dc gli Stati Uniti, il Pci l´Urss. Anche quando, sulla metà degli anni Settanta, i finanziamenti di provenienza moscovita si affievoliscono o cessano del tutto, egli continua a percepire contributi, magari modesti, di provenienza sovietica, stavolta a vantaggio di iniziative giornalistiche facenti capo alla sua ”area” all’interno del partito o comunque predisposte verso Mosca. Moralmente ineccepibile in quanto persona, l’ex agitatore di Sesto San Giovanni è ormai una sorta di manager internazionale di partito. E questa funzione collima con la sua visione politica generale. Sotto Berlinguer, egli sarà favorevole al compromesso storico come intuizione di fondo, ma assai critico verso i governi di solidarietà nazionale appoggiati dal Pci. Considererà ”infelice” l’intervista con la quale, nell’estate del ’76, Berlinguer afferma di ”sentirsi più al sicuro” sotto la protezione della Nato. Per non parlare della dichiarazione in cui lo stesso leader, alla fine del 1981, dichiarerà esaurita la ”capacità propulsiva” della rivoluzione di Ottobre. Riviste oggi, le tesi berlingueriane gli sembrano anticipare quella ”mutazione genetica” del partito di Togliatti e di Longo che condurrà al cambio del nome. D’altronde, già a partire dai tardi anni Settanta, il ”caso Cossutta” era andato accentrando intorno a sé il dissenso comunista. ”Atto distruttivo” e ”suicida”, manifestazione di ”pentitismo politico”, ”recisione delle radici”, ”nuovismo a tutti i costi”: così, in questa Storia comunista, si parla della ”Bolognina” e del cambio di nome e di collocazione politica dell´ex Pci: colpevoli i ”quarantenni scalpitanti guidati da Occhetto e da Massimo D’Alema”. Cossutta si colloca alla testa dei comunisti del ”no” e degli oppositori di quella ”Cosa” che sarà poi il Pds e l’attuale Ds. La nascita del partito della Rifondazione comunista, nel maggio del ’91, avrà proprio in Cossutta il massimo artefice: e, tre anni più tardi, sarà opera sua la stessa scelta di Fausto Bertinotti - un dirigente sindacale non di gran nome, all’epoca - come segretario. nel destino dell’anziano dirigente lombardo assistere a continui strappi che compromettono i suoi ideali originari. Il partito della Rifondazione comunista, da lui concepito come una formazione ”unitaria” a sinistra, con Bertinotti cambia passo. Viene percorso da ”un’accelerazione estremista”, s’ispira a un ”comunismo ribellistico che io definisco ’dannunziano’”. [...] cade in parlamento il governo presieduto da Romano Prodi. Responsabile di questo capolavoro alla rovescia è il partito che proprio Cossutta ha creato e che Bertinotti ora dirige. Tutto daccapo. Cossutta se ne va, inventa un nuovo partito, i Comunisti italiani, destinato a rappresentare ”la sinistra del centrosinistra”. finora, l’ultima sua incarnazione politica. [...]» (Nello Ajello, ”la Repubblica” 21/10/2004).