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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

COSTA

COSTA Raffaele Mondovì (Cuneo) 8 settembre 1936. Politico. Ministro al Coordinamento delle politiche Ue nell’Amato I (92/93), dei Trasporti nel Ciampi (93/94), della Sanità nel Berlusconi I (94/95) • «[...] ex ministro e fustigatore degli sprechi [...]» (r.i., ”La Stampa” 3/6/2005) • «Ha trenta crisi di governo sulle spalle e parecchie fregature prese in tutto questo tempo. di Mondovì, il paese di Giolitti. La sua faccia non tradisce: reca chiare le stimmate del Pli. Come Malagodi, indimenticato maestro, non è tentato dal lusso sfrenato: l’ultimo cambio di occhiali, per fare un esempio, risale al 1989. un signore pignolo che ha conosciuto il potere da fuori, da dentro e di lato. stato ministro e sottosegretario, deputato e qualcosina ancora» (Antonello Caporale, ”la Repubblica” 14/6/2001) • «[...] collaborava con il quotidiano ”La Stampa”. Un compito non certo gravoso, visto che si occupava della cronaca locale del suo ridente paese. Lì non accadeva mai niente degno di nota, e il lavoro scorreva tranquillo come il Po. Ma una sera tanta quiete fu turbata da un d isastro ferroviario di notevoli proporzioni . Una notiziola per un giornale, come La Stampa, che vende soprattutto in Piemonte. Solo che Costa giovane era tornato a casa presto per un sonno ristoratore. E così la mattina dopo, ignaro di tutto, telefonò al quotidiano per elencare la lista degli appuntamenti locali: riunione del consiglio comunale, fiera del tartufo, e via discorrendo. Dall’altra parte del filo gli fu chiesto, con un misto di perplessità e di nervosismo: ”Ma sai che è successo ieri sera?”. Silenzio. ”Un treno è andato a sbattere”, proseguì con sempre maggiore irritazione la voce dall’altro capo del filo. Insomma, per farla breve, il distratto cronista fu licenziato in tronco, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. I biografi del Costa datano a quell’epoca la conversione all’efficientismo di questo politico che è divenuto il grande fustigatore degli sprechi pubblici, il grande controllore degli ospedali negligenti e delle ”auto blu” inutili. Ma prima di cambiare definitivamente pelle, il povero Costa dovette scontare un periodo di purgatorio nel Partito liberale italiano. Nel Pli, infatti, pur avendo un feudo elettorale sicuro, il personaggio non veniva tenuto in gran conto. Non che non fosse trattato con i guanti bianchi, vista la messe di voti che portava in dote, però ne venivano sottovalutate le capacità politiche. Ma Costa, il cui carattere era stato forgiato dall’esperienza disastrosa a La Stampa, non si perse mai d’animo né di coraggio. E tirò innanzi, conducendo le sue battaglie nel partito. L’ultima fu quella decisamente sfortunata contro Renato Altissimo, l’allora segretario del Pli. In un congresso Costa gli contrappose Antonio Martino, e il tentativo venne coronato da un insuccesso. Ma era scritto nelle stelle che prima o poi il tenace Raffaele la spuntasse. E fu così che il fato, nei panni di Tangentopoli, venne in aiuto a Costa. I magistrati si port arono via Altissimo, la noia e la stanchezza si portarono via Valerio Zanone. Per un periodo, dunque, Raffaele e il suo compagno di tante battaglie, Alfredo Biondi, ebbero nelle loro mani il destino del liberalismo italiano. Gli annali ripo rtano le imprese di quegli anni, che per Costa furono davvero importanti. A questo punto però corre l’obbligo di sottolineare che Raffaele era di molto cresciuto, politicamente, si intende. E le sue prime prove al governo non erano passate inosservate. Ben prima che Tangentopoli scoppiasse ricoprendo di detriti il paese, Costa, per conto del Pli, che se lo teneva buono sempre per quella copiosa scorta di elettori, si era formato con l’esecutivo di Bettino Craxi e, da sottosegretario agli Interni, aveva allacciato ottime relazioni con il suo ministro dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro. Un sodalizio pro f icuo che è durato negli anni e che ha resistito a tutti gli ostacoli prima di rompersi con la crisi del governo Dini. Di quel periodo Costa conserva buoni ric ordi. Come, del resto, rammenta con piacere l’esperienza al Viminale. Se si eccettua uno spiacevole episodio dalle tinte comiche che ricorda in un certo modo l’esperienza di corrispondente de La Stampa. Questi i fatti: da sottosegretario agli Interni, Raffaele ebbe l’onore di partecipare ad un’operazione antidroga a livello internazionale. L’obiettivo era quello di individuare i campi in cui i narcotra fficanti boliviani coltivavano la cocaina. Dopo una lunga e avventurosa perlustrazione in elicottero in compagnia di esperti americani nella lotta alla droga, venne finalmente avvistato uno di questi campi. L’occasione era di quelle da immortalare con la macchina fotografica: il sottosegretario italiano agli Interni che bruciava le temibili piante di cocaina. E i flash sarebbero anche scattati, se vi fosse stato qualcosa da fotografare. Peccato, però, che nessuno, di quella agguerrita pattuglia antinarcos, possedesse se non un accendino almeno uno zolfanello. Niente, non vi era niente di niente. Nulla con cui poter appiccare il fuoco. Così i nostri ero i si videro costretti a soprassedere . Incerti del mestiere, si dirà. In seguito, quando ormai stava alla Sanità, Costa, con le sue spedizioni, ebbe maggior fortuna. I Nocs furono le sue truppe scelte inviate a controllare igiene e inefficienze in tutta la penisola. Un vizio, quello dei blitz, che Raffaele non si è più tolto. Tant’è che anche da borghese si è concesso alcune di queste missioni, ovviamente in proprio. E così eccolo a curiosare negli ospedali, tra le scorte della presidenza del Consiglio. E nelle file dei dipendenti del Quirinale per conoscerne indennità e stipendi. Ebbene sì, anche quando era ancora in buona con Scalfaro, Raffaele gli ha dato del filo da torcere conducendo questa battaglia a colpi di comunicati e di articoli sul suo giornale, ”il 2000”. Un simile zelo, però, ha provocato in alcuni casi qualche inconveniente. [...] per esempio, il prode Costa si intrufolò in un ospedale e ne denunciò le numerose pecche. Poiché non era più ministro della Sanità, e nemmeno sottosegretario, bensì un semplice politico, per di più di uno schieramento allora in disgrazia come quello berlusconiano, avvenne che per le manchevolezze da lui rese pubbliche non fu punito il direttore sanitario di quell’ospedale, ma il povero usciere che aveva permesso all’indefesso fustigatore dei cattivi costumi di entrare. Facciamo però un passo indietro, all’incontro tra Silvio Berlusconi e Raffaele Costa. L’esponente liberale fu subito rapito dal fascino del leader di Forza Italia e non dovette perdere troppo tempo per decidere di imbarcarsi nell’avventura politica in sua compagnia. D’altra parte si trattava di un’occasione d’oro: finalmente dei liberali doc potevano trovare casa in un partito che superasse il due per cento. E le cronache narrano che quella percentuale fu abbondantemente superata. Vinte le elezioni, Costa si crogiolò nel sogno di diventare ministro degli Interni, grazie ai buoni rapporti con Scalf aro. Le sue aspettative furono deluse, ma gli venne ugualmente affidato un dicastero, quello della Sanità. Costa fu fedele a Berlusconi, tranne che nei tempi delle vacche magre. Allora, il suo antico sodalizio con il Quirinale lo portava a caldeggiare le iniziative del presidente della Repubblica contro quelle del leader che aveva regalato un seggio in parlamento e una poltrona in un ministero. Quando il governo Berlusconi cadde e venne sostituito da quello Dini, Costa divenne sempre più inquieto. Ai vertici del Polo dissentiva spesso dalla linea ufficiale (non si è mai saputo se lo facesse veramente a voce, davanti a Fini e Berlusconi, o se si limitasse a render noto il suo disappunto tramite comunicati che era solito diffondere una mezz’oretta dopo che erano terminati i summit). Eppure quei vertici sono serviti a Raffaele, il quale, ogni volta, usciva una ventina di minuti prima della fine delle riunioni, per poter avere televisioni e stampa tutte per sé. Un’astuzia quasi obbligatoria, per chi, come lui, se si fosse allontanato da via dell’Anima insieme a tutti gli altri leader sarebbe passato inosservato . I tormenti di Costa, diviso tra Berlusconi, da una parte, e Scalfaro dall’altra, si fecero atroci in prossimità della crisi di governo. In quel momento, per salvare la patria dall’abisso, il valente Raffaele offrì i suoi voti a Dini (eh sì, perché va detto che nel frattempo Costa grazie ad alcuni ex leghisti aveva creato un suo gruppo parlamentare). Il ”sacrificio” risultò del tutto inutile, ma lui non se ne ebbe troppo a male perché era convinto che in un modo o nell’altro Dini e Scalfaro avre bbero trovato la soluzione. Del resto non erano stati proprio loro ad offrirgli all’indomani delle dimissioni di Filippo Mancuso il ministero della Giustizia? Perché mai dunque personaggi simili avrebbero dovuto prenderlo in giro assicurandogli che le elezioni non si sarebbero fatte mai e poi mai? Ma, dopo l’epilogo del caso Maccanico, Costa è stato costretto a ricredersi: alla sue spalle Dini e Scalfaro stavano preparando sia un partito che le elezioni. [...]» (’Il Foglio” 28/3/1997).