Varie, 20 febbraio 2002
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Coutts Russell
• Wellington (Nuova Zelanda) 1 marzo 1962. Velista. A 17 anni vince sui P class, a 19 è campione mondiale giovanile Laser. Nell’84 arriva l’oro olimpico nei Finn. Ha vinto l’America’s Cup nel ’95 e nel 2000 con i kiwi (primo consorzio non Usa a riuscire nella difesa), nel 2003 con gli svizzeri di Alinghi (battendo 5-0 proprio New Zealand). «A cinque anni, si metteva sulla riva del mare e guardava uno dei fratelli più grandi che andava in barca. E ancora durante le regate trasmesse in televisione, si sedeva al fianco di papà Allan e lo tempestava: “Chi vince? Che cosa succede?”.“Quando ebbe una stanza tutta sua — racconta adesso il padre — ci si chiudeva dentro con il regolamento di regata, si metteva sul letto, imitando il rumore delle onde e chiamava le manovre della barca”.[…] La guida è la sua specialità (oltre al golf di cui è grande appassionato e che pratica con i colleghi di barca, a cominciare da Brad Butterworth). […] S peciale, maun po’ distratto per tutto quello che non riguarda la vela. Si racconta che nel ’95 a Team New Zealand circolassero pochi soldi e ognuno si portava il pranzo da casa. Russell se lo dimenticava sempre ed era costretto “a comprarlo” dai compagni più previdenti» (“La Gazzetta dello Sport” 21/2/2003). «Anche sotto gli occhiali da sole ha il piglio di un duro, di uno che controlla tutto, che non regala mai niente a nessuno. […] Gira che ti rigira vien fuori sempre l’immagine di uno scassamarroni. A guardare i documentari sulla sua vita, si vede che era così anche da bambino quando spopolava nelle classi di barche che esistono solo in Nuova Zelanda. Racconta una anziana giudice di gara che anche quando era piccolo conosceva le regole di regata meglio dell’alfabeto e non si riusciva mai a dargli una penalizzazione. Da piccolo astro locale diventa un eroe nell’84 ai Giochi di Los Angeles dove vince, ignoto a tutti tranne che ai kiwi, la medaglia d’oro. Noi italiani facemmo conoscenza con lui nel ’92 a San Diego. Ve la ricordate la storia del bompresso, parola magica che tutti imparammo a usare come acqua corrente? Raul Gardini aveva protestato i neozelandesi perché avevano un bompresso che era vietato. I Kiwi stavano perdendo contro Il Moro ma quando dovettero togliere quel maledetto bompresso cambiarono anche timoniere: il giovane Russell Coutts al posto di Chris Dickson che nell’ultima Vuitton timonava l’americana Oracle. Senza bompresso, con una barca irriconoscibile nemmeno Coutts riuscì a vincere e il Moro andò alla Coppa America. Nel ’95 Coutts vince la Coppa e la porta ad Auckland. Fu allora che cambiò pelle. Da ottimo timoniere si rivelò un ottimo organizzatore. Seppe scegliere e amalgamare gli uomini giusti per ogni ruolo a bordo, diventò un vero leader nonostante nella squadra neozelandese ci fosse già un uomo ancora più carismatico, sir Peter Blake. Aveva appena vinto contro Luna Rossa che già spiccava il volo per Ginevra a parlare con Bertarelli. Cambiò casacca, bandiera, abitazione e paese. Armi e bagagli in Svizzera senza neppure sapere bene dove fosse. Confessò tempo dopo: “Prima di partire andai a guardare bene l’atlante”. Cosa che hanno fatto molti in Nuova Zelanda appena hanno capito che “quelli” gli stavano fregando la Coppa. Di qui la fama del traditore che gli hanno costruito addosso nel suo paese. Poi la storia del movimento Loyal, le minacce a lui e ad altri di Alinghi. Psicologicamente questa storia gli è pesata molto e nessuno riesce a capirne bene il motivo. Sono almeno trenta anni che i velisti neozelandesi sono i migliori del mondo. Fior di progettisti neozelandesi sono andati ad arricchirsi altrove e nessuno gli ha mai dato del traditore. Non dettero del traditore neppure a sir Michael Fay che era stato, sì, l’iniziatore della travolgente avventura di Coppa America ma che poi era stato condannato per evasione fiscale e se ne andò anche lui in Svizzera. A Coutts sì. “Io non so come spiegarlo, l’ho già detto tante volte: sono neozelandese, mi sento neozelandese ma non capisco cosa c’è di male se vado a lavorare altrove”» (Carlo Marincovich, “la Repubblica” 4/3/2003).