Varie, 20 febbraio 2002
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Crepax Guido
• (Guido Crepas) Milano 15 luglio 1933, Milano 31 luglio 2003. Autore di fumetti: per il più famoso, Valentina, si ispirò al film Lulu di Pabst (1928), con Louise Brooks. «L’architetto dei fumetti. Ha rivoluzionato la tavola, la pagina della letteratura disegnata, liberandola dalla schiavitù della striscia. Anche la forma di una vignetta può raccontare, diceva con i suoi fumetti, e può raccontare il silenzio di occhi che guardano, incastonati in vignette piccole come fessure, come fa il cinema attraverso l’inquadratura di dettagli. Architetto Guido Crepas in arte Crepax lo era davvero. Laureato al Politecnico di Milano aveva lasciato questa strada per la grafica pubblicitaria e realizzando poi decine di copertine di dischi per la Mercury Records, di musica classica e di canzoni leggere, tra cui quella, popolarissima, di Nel blu dipinto di blu, ovvero Volare, di Domenico Modugno. L’esordio nel mondo dei fumetti avviene nel ’65 su “Linus”, la rivista di Gandini e del Buono. Crepax è il primo autore italiano e appare sul secondo numero. Protagonista è Philip Rembrandt, un critico d’arte dalla doppia vita; suo alter-ego è Neutron, una sorta di supereroe medianico, che può fermare cose e uomini intorno a lui. È un esordio con un Crepax più tradizionale e più narrativo di come diventerà poi. Valentina appare solo nel numero successivo del mensile come la fidanzata del protagonista. Ma certe premesse del discorso crepaxiano si trovano già: per esempio nell’ambientazione nella Milano borghese e di sinistra, in quei fumetti che raccontano dialoghi quotidiani di gente che legge molto e che sente musica colta, che parla di Ligeti, di Adorno e di Savinio e che ha case molto belle, progettate da architetti con le idee chiare e moderne. Già dalla seconda storia il critico d’arte viene messo da parte. Sospinta dall’ammirazione dei lettori, la sua eterna fidanzata Valentina, ispirata a Luisa, la moglie di Crepax, e all’attrice americana del Louise Brooks (“perché mi piaceva ed era l’unica attrice di cui tenevo una fotografia nel cassetto”, come ha detto in un’intervista) diventa protagonista. È la prima volta nella storia del fumetto, e forse non è un caso tutto questo avvenga a due passi dal Sessantotto. Ma è del tutto innovativo quello che Crepax ha il coraggio di fare, spinto anche dalle richieste dei lettori: le avventure di Valentina cominciano a sporgersi dal reale verso la fantasia, l’inconscio, l’onirico. E sempre più Crepax sembra cedere ai desideri suoi e del suo personaggio; e il suo autore un po’ la desidera come altro da sé e un po’ vuole sentirsi parte di lei, partecipe di una sorta di autoanalisi fumettistica. È negli anni Settanta che esplode il grande potere comunicativo di Crepax, e anche la sua grande forza erotica. E nel ’73 Crepax pubblica, per l’editore Franco Maria Ricci, una lussuosa versione a fumetti di Histoire d’O. Ciò che in “Linus” era l’espressione di un desiderio espresso tra anima e corpo, in altre opere più spregiudicate, si trasforma in un gioco più esplicito, in cui la paura e il piacere del dolore, della schiavitù e perfino della tortura, sono cercate ed esibite. In un’era del fumetto in cui si parlava molto e si criticavano anche i miti, Guido Crepax è stato al centro di polemiche furiose. Tanto che perfino del Buono, direttore di “Linus”, criticò una sua storia che stava pubblicando: “La prima puntata prometteva bene, pareva proprio che con l’età la nostra eroina e il suo autore approdassero a qualche problema diverso, oltre a quello che li squassa quasi sin dagli inizi: me le tolgo subito o più tardi, le mutande?”.Alcuni suoi ammiratori, come Maurizio Fagiolo Dell’Arco, ammettevano di amare le sue pagine ma di non leggere le sue storie. E invece Crepax era perfettamente in grado di narrare, anche aldilà di quello che è poi diventato il suo cliché erotico-pornografico. Ed ha affrontato fumetti spiccatamente narrativi, come L’uomo di Pskov, ambientato in Russia ai tempi della rivoluzione o L’uomo di Harem in cui mostra tutta la sua passione per la musica jazz, entrambi realizzati per Sergio Bonelli. Fra gli autori italiani più amati nel mondo, Crepax non ha avuto allievi o imitatori: il suo segno è troppo particolare e riconoscibile per poter dare vita ad una scuola. Ma è straordinario come le sue invenzioni grafiche e linguistiche si siano potute ritrovare nella cifra stilistica di alcuni tra i più grandi e riconosciuti maestri del nuovo e più innovativo fumetto americano e giapponese degli anni Novanta» (Luca Raffaelli, “la Repubblica” 1/8/2003). «Per molti, forse per quasi tutti noi, Guido Crepax era il padre di Valentina. Non so fino a che punto questa identificazione con uno solo dei suoi personaggi a fumetti gli facesse piacere. A giudicare da certi segnali — l’invecchiamento fatto subire a Valentina nelle ultime storie — si direbbe che desiderasse addirittura liberarsene. Ormai purtroppo Crepax è entrato a braccetto di Valentina nella storia. Fra le tante Milano scomparse (e in altri tempi Milano voleva dire, molto spesso, Italia) c’è anche, e non da oggi, quella di Valentina, con la sua frangetta capace di far rivivere in pieno boom economico il mito Anni ruggenti di Louise Brooks e con il suo erotismo trasgressivo ma non troppo, perverso ma con misura, tenuto con mano leggera dentro i confini del sense of humour e del buon gusto. Ho sempre pensato che il personaggio provocatorio e le avventure più stravaganti che peccaminose della più famosa delle eroine di Crepax venissero assai più dall’intelligenza e dalla cultura del suo creatore che non da un suo personale e insondabile serbatoio di inquietudini. Bastava, per esserne convinti, aver partecipato o assistito almeno una volta a uno degli imponenti giochi da tavolo — battaglie storiche da lui stesso ricostruite con rigore scientifico e, ciò che più conta, disegnate e colorate figurina per figurina, condottiero per condottiero, guerriero per guerriero — cui si dedicava per intere serate in compagnia della moglie, dei figli e degli amici e che, non avendo avuto allora il coraggio di confessargli quanto mi sembrassero noiosi, ricordo ora (ora che anche quest’altro mio coetaneo se n’è andato) non soltanto con simpatia, ma con un’ombra di commozione. Erano, perché non dirlo?, anni bellissimi, anche se non possiamo certo fingere di ignorare che covavano e preparavano il peggio. Uscivano romanzi importanti, saggi importanti, importanti libri di poesia, nei teatri e nei cinema c’era quasi sempre qualcosa per cui valeva la pena di andarci, e attorno a quei libri, quegli spettacoli, a quei film ancora si discuteva, ancora si litigava, ancora ci si metteva in gioco ... Anche Valentina, a suo modo, è stata parte di questo mondo che sembrava nascere ed era invece al tramonto; anche l’oltranza erotica, la spregiudicatezza, la trasgressività di Valentina erano degli argomenti, delle “ragioni” (non importa se giusti o sbagliati, se sostanziosi o solo brillanti, solo luccicanti) e non dei semplici fatti o, peggio, dei corpi contundenti. Se non ci fossero tanti altri e ben più allarmanti indizi a ricordarcelo, credo che basterebbe mettere a confronto l’eleganza svelta dei disegni di Crepax, la spudoratezza sottile, tutta di testa, delle sue allusioni sessuali con la pesantezza, la goffaggine, la brutalità delle attuali sex- symbol televisive per renderci conto fin dove siamo rotolati, in che razza di limo siamo confitti» (Giovanni Raboni, “Corriere della Sera” 1/8/2003). «Trotzkista, sognatrice masochista, esibizionista romantica, bellissima androgina dal “sedere più bello del mondo”, come venne definito, Valentina fu simbolo di volta in volta di trasgressione e di emancipazione femminile, della liberazione sessuale e della donna-oggetto, osannata e ripudiata dalle femministe. L’erotismo dei suoi deliri, però, non è allegro né spensierato. “Tranne che per il senso del peccato che non ci sfiora, la mia eroina ed io”, disse Crepax, “siamo troppo attaccati all’erotismo di Bataille, che è profanazione dell’ordine e del decoro e si sublima nel dolore, nell’annientamento, nella morte”.Un “cupio dissolvi”, insomma, a base di feticismo, biancheria, frustini, voyeurismo, che sarebbe apparso fuori moda negli effimeri anni ’80 del sesso da bere. Crepax affiancò a Valentina femmine più scanzonate, come la ventenne Effi Briest, presto coinvolta in un rapporto lesbico con l’ultraquarantenne Valentina; ma non cambiò registro con le mode. Poiché nulla nasce dal nulla, la saga riflette i suoi complessi che gli facevano amare la morbosità malinconica di Valentina più che l’erotismo senza problemi di Effi. Non a caso, con tutta la sua passione per Freud, evitava gli psicoanalisti: ” Se non sono mai andato dall’analista, è proprio per non essere liberato dai miei complessi, che sono tanto utili al mio lavoro”, ci confessò. In una striscia anni Novanta, però, una Valentina quasi cinquantenne sbotta: “Devo cambiarmi questi pantaloni perché ci scoppio dentro”.Crepax, infatti, la fa invecchiare con lui, a differenza degli eterni giovanotti Corto Maltese, Tex Willer o Dylan Dog. Qualche ruga in più e qualche illusione rivoluzionaria in meno, ancora bellissima, l’eroina cede al tempo ma non è destinata agli “amori della terza età”, grazie al mondo onirico che frequenta e dove può essere esibizionista e voluttuosa come a vent’anni. L’editoria italiana a fumetti, però, non poteva più permettersi certi lussi artistici. Avviata Valentina alla pensione, Crepax disegnò i costumi per la Lulù di Martone, girò la testa di fronte alla serie Tv con Demetria Hampton nei panni di Valentina, e ritornò alla letteratura. La ricerca dell’editore era per lui fonte di ansia e tristezza: anche perché in passato aveva creato piccoli capolavori rielaborando Poe, Stevenson, Henry James, De Sade, da Emmanuelle a Justine, fino all’Histoire d’O di Pauline Rèage, soggetti morbosi, sadici, violenti. Ma Crepax volava alto: un quid di surrealismo trascendeva le situazioni più crude, volgari e ciniche. Non a caso Alain Robbe Grillet scrisse che “i segni delle scudisciate sulla pelle delle sue eroine scomparivano d’incanto alla tavola successiva dove le carni ritornavano intatte”, grazie alla magia di un artista dalla sensibilità infinita e macerata, che disegnava frustini ma aveva orrore del sangue» (Cesare Medail, “Corriere della Sera” 1/8/2003). «È nella terza puntata della storia a fumetti intitolata La curva di Lesmo, e pubblicata su “Linus” nel 1965, che entra in scena la fotografa milanese Valentina Rosselli. Capelli tagliati a caschetto, sinuosa, elegante, disinibita, dotata di lunghe gambe, Valentina mette subito nell’angolo il protagonista della storia, il critico d’arte e investigatore dilettante Philip Rembrandt, alias Neutron, suo fidanzato, fornito di una qualità particolare: uno sguardo che paralizza, rallenta o blocca lo scorrere del tempo. Da eterna fidanzata, figura di contorno, la creatura di Guido Crepax, nel giro di qualche puntata diventa l’indiscussa protagonista della storia. È come se il suo creatore avesse trasferito il ruolo di alter-ego da Philip, personaggio maschile, con cui condivide molti aspetti, anche biografici, oltre che evidenti desideri, all’eroina femminile. Valentina diventa immediatamente un mito: più libera e disinibita delle precedenti eroine del fumetto italiano; è una Brigitte Bardot, una Barbarella in versione bruna, l’eroina disegnata nel 1962 da Jean-Claude Forest e portata sullo schermo nel 1967 da Jane Fonda. Modellata sull’ideale femminile delle donne degli anni Venti e Trenta, Valentina assomiglia incredibilmente a Louise Brooks, attrice degli anni Venti; possiede infatti l’ambiguità legnosa, come hanno scritto i critici, delle donne di quel periodo. Crepax ha all’epoca 32 anni; si è laureato in architettura e subito si è dedicato alla grafica pubblicitaria e al lavoro editoriale. La curva di Lesmo è il suo debutto come disegnatore di storie. Da quel momento in poi il suo lavoro di disegnatore si identificherà quasi totalmente con Valentina, l’eroina del fumetto colto e intellettuale degli anni Sessanta. Il clima visivo e psicologico dell’epoca è quello generato dai film di Antonioni - L’eclisse è del 1962, Blow up del 1967 -, e Crepax stesso ha che fare con il cinema e la fotografia. Le vignette in bianco e nero di Valentina, sono vere e proprie inquadrature, zoomate. Danno l’impressione del movimento, del cinema come atto psichico oltre che visivo. Crepax frequenta gli ambienti culturali milanesi, conosce l’optical art, non solo quella di Vasarely, Soto, Gerstner, che alla fine degli anni Cinquanta hanno cambiato il profilo dell’arte europea e mondiale, ma anche l’op art che si fa a Milano, coi fratelli Colombo, Giovanni Anceschi e altri operatori visivi. Legge e cita i libri che artisti e scrittori si passano di mano in mano. Valentina, sempre più erotica e sinuosa di puntata in puntata, li ha con sé; esibisce le coste dei libri mentre si sdraia nuda sul letto o, vestita di slip attillati e giarrettiere, si allunga sul divano. Erotica, mai volgare, il personaggio di Crepax è complesso dal punto di vista psicologico; la sua disinibita personalità sconfina nell’onirico. Crepax ha detto una volta che il suo fumetto era una sorta di “personale diario psicoanalitico disegnato giorno per giorno”.Il piano di realtà e il piano del sogno si confondono spesso; non c’è rottura tra il “dentro” e il “fuori”, ma lo sguardo indagatore del disegnatore esplora letteralmente Valentina, sia percorrendo la superficie della sua pelle, sia affondando nel pozzo oscuro dei suoi desideri e delle sue pulsioni segrete. Ma anche in questo viaggio nella coscienza, Valentina è un personaggio di “superficie”: non c’è dramma né tragedia nelle sue avventure, ma uno scorrimento continuo. Crepax, da autore postmoderno - il primo postmoderno del fumetto italiano - cita di continuo: i fumetti di Buzzati, le opere di Freud, testi filosofici, oltre che quadri. Valentina frequenta le gallerie e i musei in compagnia di Philip o di altri occasionali amanti - la loro è già una “coppia aperta”.Crepax ha inventato con Valentina uno stile tutto suo, inconfondibile, dal punto di vista grafico. A volte i tratti del volto della sua eroina non sono neppure rifiniti, memore dei giochi percettivi della grafica e della op art, Crepax lavora sui frammenti, sui dettagli; a volte abbozza, altre volte, al contrario, rifinisce. Così, mentre è sommario - sempre bellissimo il volto di Valentina -, sono dettagliati gli abiti che indossa, o che più spesso si toglie. In alcuni momenti egli tende all’astrattismo, che è il sogno represso di gran parte dell’arte italiana del periodo. Nel corso degli anni Settanta, mentre la società italiana scivola sempre più verso il collo di bottiglia del conflitto sociale, della violenza e del terrorismo, Valentina diventa un sismografo di quanto accade fuori dalla sua stanza, ma l’eroina cammina anche per le strade di Milano, vista però sempre come un interno borghese. È il suo corpo morbido, al limite del tattile, a diventare la superficie su cui si esercitano i desideri e le passioni dell’epoca. Valentina è anche un’eroina descritta da un segno sempre più barocco, lezioso. Quando la pornografia, quella colta, non è ancora diventata davvero di moda, il segno grafico di Crepax indugia sui peli pubici della sua eroina, oppure sulle curve offerte alla scopofilia dei lettori. Nel 1973 il personaggio viene portato sullo schermo da Corrado Farina, in Baba Yaga, ma l’operazione non riesce; il regista rifiuta il film per via di tagli voluti dal produttore. A quel punto Valentina è già diventa una griffe. Compare su capi di abbigliamento, foulards, asciugamani, camicette; diventa un logo che va in giro per il mondo, uscendo dalle pagine di Linus o dagli album che nel frattempo la Milano Libri ha iniziato a sfornare in modo sistematico per il piacere dei suoi lettori. Ancora nel 1989, per confermare un fascino che continua nel tempo, la fotomodella Demetra Hampton interpreta l’eroina di Guido Crepax in una serie di telefilm trasmessi da Italia 1. Nel 1994 la casa editrice Blue Press ristampa le avventure, non seguendo l’ordine cronologico in cui sono apparse, bensì lo sviluppo delle singole storie. Crepax infatti non è solo un disegnatore attento alle mode, al mutamento degli stili, divoratore del nuovo, ma anche uno scrittore. I plot delle storie di Valentina sono intricati, veri viluppi arborescenti che si intrecciano tra di loro, fino a far smarrire al lettore l’ordine del racconto, se non proprio del discorso. C’è dietro a questa tecnica narrativa non solo il surrealismo - un surrealismo freddo, più mentale nella versione di Crepax - ma anche il nouveau roman di Robbe-Grillet, Sarraute, Butor, oltre al cinema della nouvelle vague di Godard, Rohmer, Truffaut. Lo avvicina agli scrittori e registi francesi lo sperimentalismo moderato e intellettuale, il gusto per i passaggi bruschi dal realistico all’onirico. Crepax è stato senza dubbio un innovatore; il suo segno grafico è perfettamente identificabile fino a raggiungere una forma di manierismo e perfino l’autocitazione. Nel corso degli anni, seguendo una delle linee di forza del suo fumetto, l’erotismo, Crepax ha illustrato molti romanzi erotici dell’Ottocento e del Novecento: Justine di De Sade, Emanuelle di Arsan, Histoire d’O, fino ad arrivare a La marchesa di O di von Kleist, uscito qualche anno fa presso le Edizioni Nuages di Milano. Nel presentare il suo lavoro, Ferruccio Giromini sottolinea la vocazione illuministica di Crepax, il suo appartenere alla cultura lombarda, milanese, che dell’illuminismo ha fatto il suo punto di forza. Illuminista lombardo come Manzoni? Probabilmente sì. C’è nel voyeurismo di Crepax - il guardare come ossessione maschile e il farsi vedere come tecnica, provocazione e risposta femminile - qualcosa che ha che fare con l’illuminismo di Sade oltre che quello dei fratelli Verri, un illuminismo nero sviluppato per dare vita a una forma grafica decisamente anticlassica, ma non per questo sovversiva o rivoluzionaria. C’è sempre nelle sue strip, come nella personalità della sua eroina, un punto di equilibrio che il milanese Guido Crepax non ha mai voluto mettere in discussione» (Marco Belpoliti, “La Stampa” 1/8/2003). Diceva: «Di Louise Brooks Mi colpì la pettinatura nuova per allora, il caschetto corvino. Non aveva particolari doti fisiche, né gambe lunghe, una donna ormale. Non l’ho mai conosciuta, ma ho avuto uno scambio di lettere a fine anni Settanta. Temevo fosse morta, non se ne parlava mai, i suoi film non erano nelle cineteche. Aveva l’età di mia madre, era del 1906. Le mandai una mia storia di Valentina. Mi rispose bruscamente che non corrispondeva alla sua vita. Le scrissi di nuovo: “È frutto della mia invenzione” Da allora le nostre lettere si concludevano con un “Love”.Valentina, nata nel 1942, è il mio unico personaggio con carta d’identità. Ho cominciato a disegnarla nel 1965. Oggi sarebbe una signora presbite, negli ultimi tempi la disegnavo già con gli occhiali. L’ho fatta nascere il 25 dicembre, compleanno di mia moglie. Nel 1970 le ho dato un figlio, l’anno in cui noi aspettavamo Giacomo. La Valentina del film con Demetra Hampton? Non mi ha esaltato. Valentina l’ho ritrovata nella nouvelle vague francese […] Mio padre suonava il violoncello alla Scala e si esibiva in trio con gli amici, al violino c’era il padre di Claudio Abbado. Siamo stati vicini di casa, cresciuti insieme. Claudio è del 1933, mio coetaneo. Gabriele, il fratello minore, è architetto come me. Ho sempre avuto la mania di disegnare, mi piaceva inventare giochi, battaglie napoleoniche con i soldatini di carta disegnati da me. Abbiamo giocato a soldatini fino a vent’anni. Io ero Napoleone, anche se non ne ho il temperamento. Ci piaceva rovesciare le sorti delle battaglie: Napoleone vinceva a Waterloo e perdeva a Austerlitz. Claudio aveva i soldatini russi, prussiani. Già allora era mezzo tedesco» (“Corriere della Sera” 18/1/2001).