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 2002  febbraio 20 Mercoledì calendario

Crespo Hernan

• Florida (Argentina) 5 luglio 1975. Calciatore. Dal gennaio 2010 al Parma, squadra con cui aveva già giocato dal 1996 al 2000 vincendo nel 1999 coppa Uefa e la coppa Italia. Dal 2000 alla Lazio, fu capocannoniere del campionato 2000/2001. Del 2002 all’Inter, nel 2003/2004 giocò col Chelsea raggiungendo la semifinale di Champions League. Nel 2004/2005 col Milan (finalista in Champions), nel 2005/2006 di nuovo al Chelsea (ha vinto la Premier League). Dal 2006/2007 di nuovo all’Inter, ha vinto tre scudetti (2007, 2008, 2009). Nella prima parte della stagione 2009/2010 al Genoa. Sedicesimo nella classifica del ”Pallone d’Oro” 2001, ventitreesimo nel 1999, nomination anche nel 2000 • «Detto ”Valdanito” per via di una certa somiglianza giovanile con Jorge Valdano - centravanti dell’Argentina mondiale 1986 - e per la fama di ”calciatore intellettuale” che lo accompagna. In pratica è uno che nelle interviste dice cose di buon senso. Divertenti, anche: ogni volta che può ricorda quando da piccolo avrebbe voluto fare lo spazzino, affascinato com’era dai rumori dei carretti nelle notti della sua Buenos Aires. Fatto sta che nel 1996 sbarcò a Parma ventenne capocannoniere del River Plate per ”soli” 6 miliardi di lire, e le proteste attraversarono tutto il paese. Si mosse perfino il presidente-tifoso Menem che giudicò la cosa ”un pessimo affare per l’Argentina”.Intervenne per bloccarlo, ma senza successo. Ribattè lo stesso Crespo, anni dopo, che lui avrebbe voluto starsene chiuso un quarto d’ora in ascensore con Menem per chiedergli dove aveva fatto sparire i soldi degli argentini, altro che storie. Nato da una famiglia di classe media, fan di Robin Hood, Maradona, Francescoli e Fidel, calcisticamente figlioccio di Passarella, erede designato di Batistuta (e suo acerrimo rivale nel cuore dei tifosi argentini), Crespo ha pagato parecchio la generale decadenza calcistico-economica del suo paese. In fondo, il fatto di far parte di una ”generazione di mezzo”, non ancora finita ma già superata dai Tevez e dai D’Alessandro, è il fuoritempo più clamoroso in una carriera da centravanti tutta basata sulla capacità di ”essere al posto giusto nel momento giusto”.E i fuoritempo non finiscono qui, anzi diventano pienamente ”spirito del tempo” se si considera la sua carriera successiva in Italia. Benchè il tabellino delle sue stagioni migliori spese al Parma e alla Lazio dica 108 gol in 188 partite - cifra assoluta per un centravanti che non ha vinto quasi niente - e benchè le cifre dei suoi trasferimenti (110 miliardi per il solo passaggio tra Parma e Lazio, la metà per il passaggio tra Inter e Chelsea) siano di tutto rispetto, Crespo paga anche il fatto di essere finito con tutte le scarpe nel fallimentare carrozzone messo in piedi dai Tanzi e dai Cragnotti: come dire che un pezzo di Argentina se l’è portato dietro. Successivamente il destino lo ha portato di fronte ad altri Paperoni del calcio internazionale, apparentemente più solidi: Moratti (Inter), Abramovich (Chelsea) [...] Berlusconi. Ma gli ha fatto perdere il Real Madrid di Jorge Valdano, che l’avrebbe voluto, e forse quella sarebbe stata l’unica destinazione che avrebbe potuto regalare un vero happy end a questa storia. Ha scritto proprio Jorge Valdano - parlando di sé, di Batistuta, e in genere dei centravanti senza altro talento se non quello di segnare gol - che ”una natura improvvida si nasconde con l’intelligenza e si piega con la volontà”.E ancora: ”più ti alleni, più giochi meglio”.[...] Appena arrivato a Parma, Crespo rimase bloccato per quattro-cinque mesi. Si sbloccò infine con una doppietta al Cagliari. Ringraziò per primo il suo allenatore d’allora Ancelotti che lo volle tenere in campo a tutti costi, preferendolo nientemeno che a Zola (crimine tattico maximo col senno di poi), anche contro il parere e i fischi dell’intero stadio Tardini. ”Quando uno stadio è tutto contro un giocatore - disse poi Ancelotti - quello è l’ultimo che toglierò”.Forse memore di quella lezione, appena arrivato al Chelsea [...] Crespo affrontò l’ennesimo blocco con notevole ironia: ”Quello in campo ieri non ero io, era il mio fratello buono a nulla”, disse ai tifosi inferociti. Aveva appena sbagliato due gol a porta vuota» (Alberto Piccinini, ”il manifesto” 1/12/2004). «Si è fatto insultare dal popolo di Parma, poi si è fatto amare alla follia da chi lo fischiava. Ha costretto Lippi alle dimissioni. Ha vinto un titolo di capocannoniere. Ha spaventato il Bernabeu. Ha segnato gol bellissimi. L’Italia di Hernan Crespo è un romanzo con sette capitoli, uno per ogni anno che l’argentino ha vissuto qui prima di trasferirsi a Londra. E Crespo ha deciso di tornare anche perché la sua storia italiana è piena di sentimenti e gonfia di ricordi piacevoli. Non è un modo di dire: Hernan è il ragazzo che a Parma chiacchiera con i pensionati che vanno a seguire gli allenamenti a Collecchio; è il ragazzo che sulla guida del telefono fa piazzare nome, cognome e numero di casa, ”perché se gioco male e i tifosi vogliono rimproverarmi, devono essere liberi di farlo”.Al rimbrotto via cavo, però, la gente del Tardini preferisce l’insulto in presa diretta: dagli spalti al campo la voce arriva che è un piacere e i cori si trasformano in una sentenza. Il verdetto del popolo gialloblù condanna Crespo e il suo allenatore: Carlo Ancelotti lo difende ("più lo fischiano e più lo faccio giocare: questo è un campione") , ma i gol non arrivano e se è vero che il tifo è una fede, quello di Crespo all’inizio è un mistero. Nel 1996- 97, al suo debutto in serie A, Hernan parte piano, forse un po’ troppo. Ma è normale: un attaccante sudamericano ha bisogno di tempo, pazienza e fiducia. Ancelotti gli concede tutto questo e anche di più. In cambio ottiene l’esplosione e 12 gol che proiettano i gialloblù al secondo posto finale alle spalle della Juventus: è il miglior risultato di tutti i tempi per il Parma, che l’anno dopo si gode altre 12 reti del suo cannoniere anche se il piazzamento è meno prestigioso (sesto posto). Paradossalmente il Parma di Crespo comincia a vincere quando Ancelotti non c’è più. Nel 1998- 99, con Malesani in panchina, Hernan è travolgente: realizza 16 reti e in coppia con Chiesa trascina la sua squadra ai trionfi in coppa Uefa (3-0 in finale al Marsiglia: il primo gol è suo) e in coppa Italia (doppio pareggio con la Fiorentina: 1-1 in casa e 2-2 in trasferta. Crespo segna una rete a partita). Ma, anche se a distanza, Hernan riesce a fare un regalo al suo ex allenatore. La sera del 7 febbraio affonda senza pietà i colpi su una Juve allo sbando: la sua tripletta e il 4-2 conclusivo al Delle Alpi spingono Lippi a dimettersi. Al suo posto la dirigenza bianconera chiama proprio Ancelotti. Nella stagione seguente Crespo migliora il proprio bottino chiudendo il campionato a quota 22 e mettendo in bacheca anche la Supercoppa italiana, alla quale contribuisce con uno dei due gol che battono il Milan. Ormai è chiaro: Hernan segna tanto e soprattutto segna quando conta. Così la Lazio campione d’Italia decide di spendere 105 miliardi (record in Italia) per acquistarlo e affrontare la Champions League con grandi ambizioni. Crespo fa appena due reti, ma entrambe al Real Madrid: la prima, bellissima, zittisce il Bernabeu. L’avventura finisce presto e l’anno seguente è privo di grandi gioie. Il settimo capitolo viene scritto a Milano nel 2002-03, ma nonostante 9 reti in Champions League (memorabile la doppietta ad Amsterdam contro l’Ajax) la storia con l’Inter lascia un senso d’incompiuta. E forse è il destino a volere che Hernan allunghi il suo romanzo italiano arrivando gratis nella città da cui era stato spedito in Inghilterra» (G. B. Olivero, ”La Gazzetta dello Sport” 14/7/2004). «Il Parma è stato la squadra che mi ha permesso di inserirmi ad alti livelli nel calcio europeo; quella, anche, dove ho conosciuto Fabio Cannavaro, che è un esempio di professionalità per tutti noi, oltre che uno dei difensori più forti del mondo. Con la Lazio ho scoperto Roma, una città frenetica e bellissima allo stesso tempo, dove tutto è esasperato, anche l’attenzione intorno al calcio. Invece a Milano, anzi a Como, dove abito, posso tranquillamente uscire di casa senza essere assalito dalla gente per la strada [...] Fare l’attaccante non è facile: puoi anche giocare bene, benissimo, ma se non segni, sei sempre e comunque al centro delle critiche. Il problema è che periodi in cui proprio non si riesce ad inquadrare la porta capitano anche ai centravanti più bravi. Esattamente come alle squadre migliori capita di non riuscire a vincere pur avendone i mezzi, pur meritandolo. [...] Sono orgoglioso di quello che ho fatto nel mondo del calcio e orgoglioso, soprattutto, del fatto che nessuno mia bbia mai regalato niente: per arrivare dove sono adesso, ho dovuto lottare soltanto con le mie forze. Da sempre e sarà così sempre» (Andrea Elefante, Giancarlo Galavotti, ”La Gazzetta dello Sport” 17/8/2003).