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 2002  febbraio 21 Giovedì calendario

Cruise Tom

• Syracuse (Stati Uniti) 3 luglio 1962. Attore • Da ragazzo dislessico («facevo fatica a leggere, confondevo le ”c” e le ”g”, non capivo le parole. Faccio ancora un po’ fatica a leggere i copioni, ma ho fatto molti progressi») senza una dollaro e senza un padre, ma con un sorriso accattivante e una volontà di ferro, è diventato una delle più grandi star del cinema americano, tanto che Sydney Pollack (che lo ha diretto ne Il Socio) ha commentato: «Non c’è studio a Hollywood che non darebbe fuoco a metà dei suoi teatri di posa pur di strappargli un contratto». Basso di statura (oggi 1,72 m), da bambino piuttosto mingherlino, non ha avuto un’infanzia felice: «Ero timido, isolato e povero: mentre i miei compagni sceglievano l’università io non sapevo se avrei potuto pagarmi il liceo». Quando a 14 anni abbandonò gli studi, aveva cambiato 15 scuole. Entrò in seminario per diventare prete, ma dopo un anno rinunciò. «I miei genitori divorziarono quando avevo 12 anni e mio padre, un ingegnere elettrico, se ne andò lasciandomi con mamma e le mie tre sorelle. Dopo poco tempo da Ottawa, nell’Ontario, ci trasferimmo in Kentucky e poi in New Jersey, dove mia madre si risposò. Ma già prima, durante la mia infanzia, a causa del lavoro di papà che ci costringeva a continui trasferimenti, la mia vita era sempre stata instabile, insicura. Non facevo in tempo a farmi degli amici che eravamo pronti a fare le valigie di nuovo. Così diventai un vero selvaggio, un ragazzino perennemente irrequieto. Fortunatamente c’era lo sport a fare da valvola di sfogo al mio iperattivismo. Mi dedicai alla lotta agonistica, lo capisco adesso, per far piacere a mio padre, che mi aveva inculcato questa idea che non si può perdere, a nessun costo. Finché lui era ancora a casa, se tornavo a casa da una zuffa con altri bambini pesto e bastonato, lui mi rispediva fuori. La sua idea era che, prima ancora degli altri, bisogna sfidare se stessi continuamente: un concetto che ha attecchito nella mia psicologia durante l’infanzia». «Da ragazzino ero spericolato, e un po’ pestifero con le mie sorelle: facevo scherzi tipo infilare una biscia nel loro cestino della merenda. Non ero un ragazzino particolarmente furbo, facevo un sacco di scemenze. Ricordo una volta, avevo quattro anni: me ne stavo da solo a giocare con i G.I. Joe, i soldatini giocattolo, alcuno dei quali erano marines e avevano un paracadute. Allora presi le lenzuola, le attaccai a delle corde che mi legai intorno alla vita, e saltai dalla finestra convinto che si sarebbero aperte proprio come un paracadute. Devo dire che la finestra non era troppo alta, e soprattutto che non ho provato a rifarlo. [...] E’ stata la mia prima scena a rischio [...] Scappavo di casa spesso: a 13 anni rubavo la macchina di mia madre» (Silvia Bizio, ”Max”luglio 2000; Gloria Mattioni, ”Madame Class” novembre 1999; People Almanac 2003; Alessandra Venezia, ”Panorama” 15/6/2000; Arianna Finos, ”Il Venerdì” 28/6/2002). «Occhi verdi, sorriso scintillante, denti da coniglietto che incutono senso di protezione, ciuffo sano da giovanotto che si fa shampoo e doccia tutti i giorni» (Egle Santolini, ”Specchio” 8/2/1997) è soprannominato ”laser”, per la capacità di concentrazione, per il perfezionsimo maniacale, perché non manca mai il bersaglio; oppure ”Cruise Control” (è il sistema di puntamento dei missili...). Decise di fare l’attore quando, causa l’infortunio ad un ginocchio, dovette abbandonare la lotta: «Inizia allora la sua costruzione fisica e personale: tanto sport per metter su muscoli, le scuole di recitazione la notte i provini il giorno». «Il ragazzo ci appare per la prima volta mentre calcia energicamente un pallone. Indossa pantaloncini con spacchetti laterali che esibiscono le gambe palestrate. Giunto a bordo campo accaldato e orgoglioso del suo fisico, si toglie la maglietta, si rotola nell’erba e scambia qualche battuta con i compagni di squadra. Una scena di poco conto (47 secondi) in un film di ancor minor valore, Amore senza fine dell’81, veicolo promozionale per le grazie di Brooke Shields. O almeno null’altro se non rappresentasse il debutto di Tom Cruise». «Tra l’81 e l’83 gira sei film, uno dietro l’altro. Nel 1985 lo nota quella vecchia volpe di Ridley Scott, che lo sceglie come protagonista di Legend: ”Ha un entusiasmo e una forza di volontà tali” dice il regista ”che può perfino convincere il pubblico di essere un buon attore” Ottiene la prima nomination all’Oscar con un ruolo che spiazza i suoi fan: quello di un reduce del Vietnam costretto sulla sedia a rotelle. Il film è Nato il 4 luglio di Oliver Stone. Altre due candidature arrivano per il ruolo del procuratore rampante in Jerry Maguire di Cameron Crowe e di insegnante di sesso in Magnolia di Paul Thomas Anderson» (Lucy Kailin, ”GQ” maggio 2000; Arianna Finos, ”Il Venerdì” 28/6/2002; Silvia Bizio, ”Max”luglio 2000). «I suoi film ruotano invariabilmente attorno alla stessa figura, un sognatore ingenuo che deve dimostrare qualcosa. Secondo il seguente schema: A- il sognatore ingenuo con i capelli a spazzola pensa di poter conquistare il mondo; B- con l’incoraggiamento di una ragazza sensibile e attraente, il sognatore viene messo alla prova; C- il sognatore affronta i lati oscuri della propria anima e supera la sfida; D- Il sognatore diventa uomo [...] I suoi sono spesso personaggi dalle origini umili. Ma poco importa: lui li interpreta tutti nello stesso middle american way, senza troppe angosce, con le stesse battute, la stessa voce esile, la stessa dose di coraggio. Un po’ come portasse sempre lo stesso paio di jeans» (Lucy Kailin, ”GQ” maggio 2000). «Mi piacciono film che vivo come una sfida. Soprattutto quelli ricchi di enigmi e di misteri, come Memento (che non ha interpretato, ndr). Lì ti devi concentrare un sacco. Allo stesso tempo, non amo i film che spingono lo spettatore a pensare: ”Non sono abbastanza intelligente per capirlo”» (Merle Ginsberg, ”GQ” ottobre 2000). Edipo. «Non c’è praticamente film in cui, in un modo o nell’altro, non compaia lo spettro del padre. Nelle vesti di una testa di cazzo: non importa se morta, viva, di successo o fallita. Il complesso del padre è la musa che l’ossessiona. L’ostacolo che il ragazzo-uomo deve superare. Motivo per il quale Magnolia sembra di primo acchito un’anomalia nella sua filmografia: lui nei panni di un guru del sesso che arringa un gruppo di uomini grassi e tristi con frasi tipo: ”Rispetta il cazzo! Doma la fica!”. Dopo poco però si scopre che sempre del buon vecchio Tom si tratta. Il lottatore eroico questa volta è alle prese con un padre condannato da un tumore [...] Interpretazione mirabile, forse anche perché film e vita qui si sono perfettamente sovrapposte. Anche suo padre ha abbandonato moglie e figlio. Si sono rivisti solo anni dopo, quando il padre stava morendo di tumore» (Lucy Kailin, ”GQ” maggio 2000). Ha confidato: «Era un uomo sfortunato, incapace di vivere la vita, ha sempre lasciato che gli eventi lo travolgessero, ha perso il senso della realtà» (Arianna Finos, ”Il Venerdì” 28/6/2002). «Recitare per me vuol dire soprattutto impossessarmi del punto di vista di un altro. E’ un enorme puzzle nel quale mi butto per mettere insieme le tessere di una vita, aggiungendovi esperienza personale e cercando di capirci qualcosa. Ma vuol dire anche donare ed essere generosi con i colleghi che lavorano con te» (’Ciak” giugno 2002). «A chi lavora con me non chiedo più di ciò che do. Quando si gira un film, bisogna saper divertirsi e saper ridere, soprattutto se si è sotto pressione, perché si riflette nella qualità del lavoro. L’ho imparato agli inizi, quando temevo sempre di essere scacciato dal set» (Alessandra Venezia, ”Panorama” 15/6/2000). Renée Zellweger, che ha lavorato con lui in Jerry Maguire: «Tu lo guardi dentro gli occhi verdazzurri mentre lo ami e vedi che lui è perdutamente innamorato di te. Vedi il suo cuore, la sua anima e persino il suo pene, lì dentro. Poi, il regista strilla: ”Okay, ragazzi! E’ andata bene. Ci si ritrova domattina!”. Allora, Tom ti dice: ”Grazie, a domani”, e lascia tutto dinoccolato il set, come se niente fosse. E tu corri a prenotarti per una terapia dallo psicanalista» (Antonio Vellani, ”Madame Class” giugno 1999). «Quello che porta sullo schermo è ”more heart than art”, più cuore che arte, ed è così che piace agli americani» (Lucy Kailin, ”GQ” maggio 2000). I critici italiani (giudizi tratti da ”Specchio” del 17 giugno 200): «E’ bello, è bravo, è seducente. Ha tutte le carte in regola per avere successo. In più è anche un divo che ha tutto quello che lo starsystem richiede. E’ ben accoppiato, è glamour, si vende bene. Nel suo successo non c’è niente di strano, ci si dovrebbe stupire del contrario. E’ solo un naturale meccanismo ci causa effetto» (Lietta Tornabuoni, ”La Stampa”); «Il suo successo resta un mistero, ma forse, alla fine, una perversa logica esiste. Ha sempre dato l’impressione di essere solo un belloccio, in Eyes Wide Shut era più espressivo con la maschera addosso. Poi però lo vedi in Magnolia e scopri che è un bravo attore. Il pubblico ha visto più lontano di tutti» (Irene Bignardi, ”la Repubblica”); «All’inizio era molto rozzo ma un certo talento l’aveva. In Eyes Wide Shut è stato bravo, anche perché ha interpretato esattamente quello che è: un medio borghese. Dal punto di vista umano è sgradevole ma al pubblico piace identificarsi nelle persone così» (Goffredo Fofi, ”Panorama”); «Credo che si meriti tutto questo successo. E’ molto bravo, forse non lo è sempre stato ma è un attore molto duttile. Ha fatto il dottore assorto per Kubrick, il reduce del vietnam per Stone, l’uomo d’azione in diversi film ben confezionati. Non è affascinate come altri, per esempio non ha l’aria scanzonata di George Clooney. Alcuni miei colleghi lo giudicano perennemente attonito, invece è uno che si mette al servizio dei registi» (Claudio Carabba, ”Sette”); «La sua qualità migliore è che si vede un sacco la fatica che fa. Dà proprio l’idea dello sforzo fisico, ce la mette tutta e questo, specie agli americani, piace molto. Inoltre non sembra snob, né remoto, dà sempre l’impressione di essere un semplice ragazzino americano. In realtà è un uomo potentissimo ma non traspare per niente» (Giulia D’Agnolo Vallan, ”il manifesto”); «Ha dimostrato che si può essere belli senza essere alti e questa è già una buona prestazione. Ha esordito con buoni film, Taps ”Squilli di rivolta, con Top Gun gli è andata bene, ma in seguito ha anche fatto scelte coraggiose. Poi ha incontrato Kubrick e ha recitato davvero bene» ( Maurzio Cabona, ”Il Giornale). «La perfezione assoluta non si raggiunge mai, però è una bella meta. In ogni campo. E se lavori in quella direzione, lasciando a un progetto, a un’aspirazione, lo spazio per evolversi, non rischi di soffocarlo. Ti ci dedichi con tutto te stesso, anche se sai che non raggiungerai mai il tuo ideale. Ma lo fai comunque, mettendo in conto i problemi che la vita ti pone di continuo. Ecco, questo vuol dire essere realista. E io sono un realista. Una persona pragmaticamente, romanticamente realista» (Merle Ginsberg, ”GQ” ottobre 2000). Paula Wagner, sua socia di produzione ed ex agente: «Lo vedi e gli credi, non ci puoi far niente. Sullo schermo sembra una roccia , ti dà un senso di solidità. Non che questo ti faccia sentire necessariamente a tuo agio, ma ti porta a pensare, a credere in qualcosa» (Merle Ginsberg, ”GQ” ottobre 2002). «Non sono il tipo d’attore alla Stanislawski. Voglio solo comunicare con la gente in scena» (People Almanac, 2003). «La fama la deve al corpo, ai muscoli scolpiti in lunghe ore di palestra. Chiaro che appena può li mette in bella mostra. E se le T-shirt (sempre di una misura in meno, ma di marca) gli fanno un gran lavoro d’immagine, i boxer non sono da meno. [...] Anche nelle scene di sesso è il fisico a sorreggerlo. Lì dove un altro attore mostrerebbe sorridendo beatamente la sua soddisfazione post-copulatoria, lui si mette a saltare, agita i piedi e sferra pugni in aria (Cocktail). Tutta questa fisicità serve a compensare un garnde limite: l’incapacità di interpretare le sfaccettature psicologiche dei personaggi [...] Se gambe e bicipiti non c’entrano e tutto dipende dalla battuta, eccolo sfoderare un altro cavallo di battaglia: il suo inconfondibile ”shit”. Ha capito che questa espressione, in bocca a un tizio di bell’aspetto e con gli occhiali scuri, può suggerire una certa profondità d’animo. E chi se ne frega se va contro tutti i dettami dell’Actor’s studio: i fan non lo vogliono mica vedere scomparire in qualche noioso film da cineclub» (Lucy Kailin, ”GQ” maggio 2000). «Citano dati come i 6mila dollari che sono accusato di spendere ogni anno per ”trattamenti di bellezza maschile” o il fatto che quando lavoravo sul set di Eyes Wide Shut, diretto da Stanley Kubrick, mi sono fatto spedire in Inghilterra gli attrezzi della mia palestra personale, per mantenermi in forma, come prove inconfutabili della mia vanità. Hey, ragazzi, ho notizie per voi: sono un attore! Faccio un mestiere che è basato almeno al 50 per cento sul look (e forse, per essere davvero onesto, dovrei alzare la percentuale). Che cosa volete da me? Che faccia finta di non saperlo e mi presenti agli appuntamenti con registi e produttori in blue-jeans sdruciti e felpa? Come in tutti i mestieri, come in qualsiasi attività, nello show business ci sono delle regole da seguire se vuoi avere successo. E io voglio averlo. Tenersi in forma, presentarsi al meglio non mi sembrano proprio costi eccessivi da pagare. C’è chi deve fare ben di peggio per assicurarsi da vivere» (Gloria Mattioni, ”Madame Class” novembre 1999). Colin Farrell, che con lui ha interpretato Minority Report: «Tra la fine delle riprese di Vanilla Sky e l’inizio di quelle di Minority Report ha avuto solo un giorno di riposo. E quando gli ho chiesto: ”Ma quand’è che ti fermi un attimo”, lui mi ha risposto: ”Nessun problema, sono nato per stare in prima linea”. E’ stato un compagno di lavoro eccezionale, concentrato, cordiale. Ma appena la telecamera cominciava a girare rimanevo sempre di sasso, perché se guardi Tom negli occhi quando recita non puoi non notarlo: Cristo, pensa solo ai soldi!”» (Merle Ginsberg, ”GQ” ottobre 2000). «Mia madre mi ha insegnato che per farti pagare devi lavorare duramente. E che devi farlo sempre meglio di chiunque altro» (Giovanni Valerio, ”Max” ottobre 2002). «Non ho mai fatto un film solo per i soldi, o per compiacere il pubblico. Mai. Mi pagano quello che mi pagano perché lo valgo: ed è giusto che mi paghino tanto, perché questo è il mercato. Ma non ho mai preso una decisione sulla base delle condizioni finanziarie. Tanto è vero che Nato il 4 luglio l’ho fatto gratis, anzi, ci ho rimesso. Lo stesso dicasi per Rain Man: ma erano film in cui credevo» (Silvia Bizio, ”Max”luglio 2000). «E’ una grande lezione che ho imparato girando I ragazzi della 56° strada, con Francis Ford Coppola: avrei fatto solo i film che mi interessavano. Quella decisione mi ha dato un grande senso di sicurezza: non avevo bisogno di soldi perché non ne avevo mai avuti» (Alessandra Venezia, ”Panorama” 15/6/2000). «Ci sono volte in cui mi sento quasi imbarazzato pensando a tutto quello che ho. E non intendo tanto il mio successo nella carriera di attore e come produttore. Una volta un giornalista, osservando i miei giocattoli parcheggiati in un hangar dell’aeroporto di Santa Monica, tra gli altri un jet Gulfstream da 40 milioni di dollari che ho fatto arredare da Gucci e un caccia della seconda guerra mondiale, mi ha chiesto: ”Ma lei non si sente mai in colpa avendo tutto?”. E poi ha aggiunto: ”Quel fisico! Una carriera fortunata. La fama. Il benessere...”. Ma si dimenticò di nominare ciò che ho di più importante, che viene prima di tutto il resto e da cui, anzi, sono convinto che tutto il resto discenda: la fede» (Gloria Mattioni, ”Madame Class” novembre 1999). Tom Cruise è uno dei tanti personaggi famosi (fra gli altri John Travolta) della discussa organizzazione/setta Scientology (ha raggiunto uno dei gradi più alti, ”Titano operativo”), fondata dal defunto scrittore di fantascienza Ron Hubbard il quale, dopo aver spiegato che gli uomini discendevano da extraterrestri giunti sulla terra 75 milioni di anni fa, spiegò che per farla diventare la prima dottrina religosa al mondo avrebbe coinvolto il maggior numero possibile di personaggi famosi. D’altra parte, molti celebri membri della setta ammettono di averlo fatto nella speranza di essere aiutati a diventare ricchi e famos (.Russ Baker, ”d – la Repubblica delle Donne” 8/5/2001). I più maligni insinuano che Scientology lo manovra ormai come un burattino (decide che film deve fare, per quanti soldi, lo avrebbe addirittura costretto a lasciare la cattolico/buddhista Nicole Kidman): «Il mio rapporto con Scientology preferisco tenerlo per me. Vi sono stato introdotto dalla mia ex moglie Mimi Rogers, il cui padre era uno dei fondatori del capitolo di Los Angeles: mi ha aiutato molto a superare i miei problemi con la dislessia, dunque a crescere» (Silvia Bizio, ”Max” luglio 2000). E’ stato sposato con Nicole Kidman: «Avevano resistito con orgoglio alla crisi del settimo anno . Mentre le altre coppie glamour di Hollywood cadevano come mosche. [...] Venivano additati come ”il marito e la moglie modello”, inseparabili. [...] Poi l’addio, motivo: ”Le difficoltà di avere carriere divergenti, che ti tengono costantemente separati” [...] La loro love story, almeno ufficialmente, era stata fulminante. Ancora fresco il divorzio di Cruise dalla prima moglie Mimi Rogers, nel 1990 il Top Gun perse la testa per Nicole sul set di Giorni di tuono (un flop). ”Un’attrazione sessuale irresistibile”, disse lui allora. Nicole confermò e mollò l’allora fidanzato australiano Marcus Graham. Alla vigilia del Natale 1990, dopo soli quattro mesi insieme, il matrimonio, tra voci – false – che lei è incinta. In mancanza di figli naturali, più tardi, adottano due bambini. Nel 1992 tornano a girare insieme: Cuori ribelli, altro flop. ”La dimostrazione – scrive un critico – che la passione vera non si traduce sempre al box office”. Poi lei confessa che al sesso è subentrato l’amore: ”Lui mi adora soprattutto per i miei difetti” [...] Ma corre la voce di una crisi coniugale iniziata, pare, durante la claustrofobica coabitazione di Eyes wide shut. Sul set londinese del film il regista Stanley Kubrick tiene i due attori prigionieri per diciotto mesi, costringendoli a ripetere dozzine di volte la stessa scena di sesso. Un perfezionismo voyeuristico ai limiti del maniacale che avrebbe minato anche l’intimità di coppia più profonda. Quando un rotocalco scrive che sono stati costretti a ricorrere a un terapista sessuale per le scene più ”hard”, i due querelano e vincono la causa. Ma il danno ormai è fatto. ”Quel film mi ha fatto venire l’ulcera”, si lascia scappare Cruise. La gente della strada forse avverte il loro disagio. Nonostante un battage pubblicitario senza precedenti, il film viene massacrato dai critici e snobbato dal pubblico. ”E’ una noia mortale – scrive un giornale -, nessuno ha voglia di andare al cinema a vedere una coppia vera che interpreta una coppia finta”» (Alessandra Farkas, ”Coriiere della Sera” 6/2/2001). Adesso fa coppia con Penelope Cruz. «’Divento vecchio. Ma non è un problema, quello che conta sono le storie e i personaggi che mi restano da interpretare”, è il suo commento ai 40 anni. Tipico di uno che, come scrive ”Time”, ”programma la sua carriera con la stessa attenzione con cui guida la sua Porsche”. Per esempio, mentre si arricchisce e conferma la fama di divo più pagato di Hollywood con la serie d’azione di Mission: Impossible (il terzo è in preparazione) cerca di crescere come attore rischiando in film d’autore, da Jerry Maguire a Eyes Wide Shut a Magnolia. [...] In ogni caso di calunnia ha sempre reagito con forza, denunciando i media coinvolti. E vincendo le cause: da un tabloid che aveva definito il suo matrimonio con la Kidman una mistificazione ottenne un risarcimento di 100 milioni di dollari. ”Certi pettegolezzi sono solo stupidi. Stando ai giornali Penelope sarebbe stata incinta almeno sette volte e le nostre liti sarebbero almeno due a settimana. Ma di fronte a certe calunnie non posso restare in silenzio, devo reagire per i miei figli”, dice. E se all’inizio reagì stizzito alle parole dell’ex moglie nello show di David Letterman sulla separazione – ”Finalmente posso mettere i tacchi alti” - oggi sorride. ”Era una battuta, Nic ha sempre messo tacchi da capogiro. Va tutto bene con lei, le voglio bene e gliene vorrò sempre”» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 26/6/2002).