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 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

DE FILIPPO Luigi

DE FILIPPO Luigi Napoli 7 agosto 1930. Attore, regista e autore. Figlio di Peppino • «[...] “Sono nato a Napoli nel 1930 in una casa che non esiste più, perché distrutta dai bombardamenti del 1943 [...]. Quando mia madre ebbe le doglie, mio padre non aveva neanche i soldi per pagare l’ostetrica. È una lunga storia, quella dei De Filippo”. Il capostipite fu Eduardo Scarpetta, che però non riconobbe mai i tre figli naturali, avuti da Luisa De Filippo: “In casa era un argomento tabù e una perenne ombra di tristezza appannò sempre la vicenda, anche se i tre fratelli la esorcizzarono proprio grazie al teatro: una delle opere più famose di Eduardo, Filumena Marturano, racconta proprio questa storia. Io [...] lo seppi a 9 anni: curiosando tra le scartoffie di mio padre, trovai la sua carta di identità e lessi che era figlio di Luisa e di nn. Non capivo cosa significasse, ma seppi la verità molto tempo dopo e solo quando diventai più adulto affrontai l’argomento con mio padre. Mi esternò l’amarezza di quel genitore assente, che loro erano costretti a chiamare zio, guardandolo con soggezione. Scarpetta era un uomo freddo, egoista”. Una lunga storia e una pesante eredità: “Ho cominciato a recitare da bambino e sono grato a questa ‘pesante eredità’ che mi ha dato l’opportunità di crescere tra i fratelli De Filippo. Ma anche la possibilità di conoscere tanti personaggi che loro frequentavano. Luigi Pirandello, per esempio: quando veniva a cena da noi era un avvenimento, la casa era in subbuglio e mia madre, che voleva fare bella figura, metteva sottosopra la cuoca e la cucina. Naturalmente, poi, il grande Totò: riteneva Eduardo un ‘uomo difficile’, ma in palcoscenico lo definiva ‘un dio, con una faccia che è una carta geografica di emozioni’. Di Peppino, invece, diceva ‘forse è meno bravo del fratello, ma mi fa più ridere e con lui ci divertiamo a lavorare, perché ci inventiamo ogni volta il copione’. Di Titina, sottolineava: ‘È una grande attrice, talmente brava che sembra un uomo vestito da donna’”. Lunga è la lista dei protagonisti di cinema e teatro che Luigi ha conosciuto da vicino, dalla Magnani a Vittorio De Sica: “La Magnani ammirava Eduardo e avrebbe voluto recitare diretta da lui. Non era facile, però, mettere d’accordo due caratteri così forti e suscettibili. L’evento parve realizzarsi quando Eduardo pensò a lei per la nuova commedia Il monumento: non trovarono né il modo né la convenienza per accordarsi”. Anche Carmelo Bene tentò un’impresa con i De Filippo: “Negli anni ’60, Carmelo voleva realizzare un film sul Don Chisciotte: propose a Eduardo il ruolo del celebre condottiero e a Peppino quello di Sancho Panza. Loro non accettarono: forse abbiamo perso un capolavoro”. Una lunga carriera, quella di Luigi, tra alti e bassi: “Il momento di massima esaltazione, quando ho potuto finalmente rappresentare le mie commedie, essere accettato come autore. Il cedimento quando, recitando con mio padre nei suoi ultimi anni di vita, mi resi conto che era stato emarginato: a Eduardo venivano sempre dati i teatri migliori, a Peppino quelli periferici. Certe volte, in provincia, la sala era semivuota eppure Peppino dava sempre il meglio di sé. Mi diceva: ‘Recito per me stesso!’”. Riemerge l’antico dissidio tra fratelli: “Eduardo era un po’ prepotente e dittatore nelle scelte. Il primo clamoroso litigio avvenne una mattina del ’44: litigarono furiosamente e fu l’inizio di una frattura che durò per anni. La gente diceva: ‘Si sono separati, che peccato!’. Io mi domandavo come fossero riusciti a collaborare per tanto tempo, erano così diversi. L’ultimo abbraccio tra fratelli, quando Eduardo venne a trovare mio padre in clinica poco prima che morisse [...] ” [...]» (Emilia Costantini, “Corriere della Sera” 4/12/2010) • «Da Napoli sono andato via con la mia famiglia nel 1941, quand’ero un ragazzo di 11 anni. Ci siamo trasferiti a Roma a causa della guerra, ma poi a Napoli ci siamo sempre tornati senza mai dimenticarla. Avanti e indietro fra Roma e Napoli come pendolari del cuore. [...] La mia è sempre stata una famiglia di antifascisti. Ma di antifascisti seri, antifascisti quando in Italia mostrarsi contrari al regime era davvero pericoloso. Durante l’occupazione nazi-fascista di Roma nel periodo 1943-44, la mia famiglia e io abitavamo in via Manfredi I, ai Parioli. A causa della guerra si pativa la fame. Un giorno capitò che molti abitanti del quartiere saccheggiarono un deposito di viveri dei tedeschi non presidiato dai soldati. Fra la folla affamata ed esasperata c’eravamo anche mio padre ed io. La gente arraffava casse di birra, margarina, carne in scatola... In un caos enorme e in gran fretta per paura che arrivassero i tedeschi. C’era anche il giornalista Renato Angiolillo, fondatore del quotidiano “Il Tempo”, che s’era incollato sulle spalle una cassa e cercava di portarla via. Mio padre lo rincorse protestando: “Renà, posa! ... Chesta era ’a cassa mia, l’avevo presa io prima di te!”. Mio padre allora, oltre a fare propaganda antifascista a ogni buona occasione, nascondeva in casa un nostro amico ebreo, un noto gioielliere della Capitale. Si espose così a severe rappresaglie da parte dei nazi-fascisti. Ecco perché quando un amico lo avvertì che i fascisti lo cercavano per deportarlo al Nord, si nascose per qualche tempo in casa dell’industriale beneventano Alberti, quello del liquore “Strega”. Nessuno doveva sapere che mio padre si nascondeva lì. Invece Totò, che in quei giorni drammatici recitava in un teatro romano, lo venne a sapere e decise di fargli uno scherzo per mettergli paura. Aveva conosciuto due studentesse andate nel suo camerino per un autografo e, parlando, gli avevano domandato se conoscesse Peppino De Filippo perché avrebbero voluto anche un suo autografo. Totò non ci pensò due volte e dette alle ragazze l’indirizzo della casa dove mio padre si nascondeva in gran segreto, in via Fauro. E così mio padre un bel mattino sentì bussare alla porta. Erano le studentesse. Mio padre, turbato e inquieto, chiese loro: “Ma come sapevate che io sto qua? Chi ve l’ha detto?”. Le due risposero, “Totò” e papà andò su tutte le furie. Prese il telefono e, a Totò, gliene disse di tutti i colori! Poi l’incidente fu dimenticato, Totò e Peppino fecero pace e, anni dopo, girarono assieme quei divertenti film che molti conoscono. [...]» (“Il Messaggero” 24/10/2005).