Varie, 22 febbraio 2002
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DE LA HOYA Oscar Los Angeles (Stati Uniti) 4 febbraio 1973. Ex pugile. Campione olimpico dei pesi leggeri a Barcellona nel 1992, da professionista conquistò sei titoli mondiali in sei diverse categorie, prima di lui ci erano riusciti solo Ray Sugar Leonard e Thomas Hearns: nel 1994 Wbo dei superpiuma, nel 1994 e 1995 Wbo dei leggeri, nel 1995 Ibf dei leggeri, nel 1996 e 1997 Wbc dei leggeri, dal 1997 al 1999 Wbc dei welter, nel 2004 dei medi
DE LA HOYA Oscar Los Angeles (Stati Uniti) 4 febbraio 1973. Ex pugile. Campione olimpico dei pesi leggeri a Barcellona nel 1992, da professionista conquistò sei titoli mondiali in sei diverse categorie, prima di lui ci erano riusciti solo Ray Sugar Leonard e Thomas Hearns: nel 1994 Wbo dei superpiuma, nel 1994 e 1995 Wbo dei leggeri, nel 1995 Ibf dei leggeri, nel 1996 e 1997 Wbc dei leggeri, dal 1997 al 1999 Wbc dei welter, nel 2004 dei medi. Diceva di sé: «Mi sembra di essere come il fuoco nella foresta: nessuno riesce a spegnermi» (’la Repubblica” 25/6/2001) • «Quello che ha fatto sul ring è impressionante: medaglia d’oro olimpica a Barcellona ”92 ispirata dalla madre morta di tumore poco prima; e poi un filotto record di corone mondiali che lo hanno inserito nella mitologia di questo sport. [...] Da superpiuma a peso medio: un salto (graduale) di quasi quindici chili che gli hanno arrotondato (forse un po’ troppo) volto e fianchi. Mai k.o., rarissimamente al tappeto: un vanto tutto italiano il suo atterramento da parte dell’azzurro Giorgio Campanella a Las Vegas quando era ancora un superpiuma. Quello che sta facendo nella vita è altrettanto straordinario, soprattutto per chi come lui è figlio di emigranti messicani e viene dal ring e dai sobborghi malfamati di Los Angeles. De La Hoya ha stravolto in pochi anni lo stereotipo del pugile suonato, analfabeta e ignorante. Ha sfruttato in pieno il dono della bellezza da divo del cinema; ha capito che esprimersi in inglese come uno studente di Harvard e in spagnolo come uno di Madrid e mettersi nelle mani delle persone giuste gli avrebbero fatto fare il grande salto. L’uomo giusto è andato a pescarlo in Svizzera: Richard Schaefer, rampollo di una famiglia di banchieri, stufo di seguire le orme prestampate da un’orda di antenati. Gli piaceva il pugilato, fece le valigie, incontrò De La Hoya su un campo di golf e da allora è partita una specie di holding. Piccole scalate a società immobiliari ed editrici e molto altro. Ma prima di tutto Oscar ha voluto partire dalla sua materia preferita: la boxe. De La Hoya ha cambiato le gerarchie del suo sport: mai più padroni. Ora il padrone è lui: della Golden Boy (mutuando il soprannome che si porta appresso fin dai tempi olimpici) Promotions. Ha sotto di sé una scuderia di pugili (incluso se stesso) e promuove una quarantina di match all’anno. Tratta direttamente con l’aiuto di Shaefer e vince. Come sul ring. A parte qualche rara eccezione. Come contro Felix Trinidad (nel ”99) e due volte contro Shane Mosley (nel 2000 e 2003), unici nei di una carriera gloriosa. Chi aveva assistito a quegli incontri però ha ancora dei dubbi: De La Hoya perse ai punti, ma furono in molti a non trovarsi d’accordo con il verdetto dei giudici. [...] la sua arte di convincerti è micidiale. Nestlé e Visa non hanno avuto incertezze e alla prima occasione si sono messe nei suoi guantoni: fatto rarissimo per il pugilato, perché gli scienziati del marketing Usa lo considerano sport violento fatto da violenti (come se il football fosse invece attività per signorine) e quindi che mal si presta alla pubblicità. Ha fatto successo ovunque. Nella musica ha lanciato pure un disco che si è guadagnato la nomination per il Grammy Award, genere latino. Con le donne stravince. Alle operazioni di peso è stato necessario un esubero di inservienti della sicurezza per tenere a bada uno squadrone di ragazze vocianti che insistevano per avere un suo souvenir. sposato con una stella del rock ispanico, Mirlie Corretjar, ha un altro matrimonio alle spalle, due figli da due donne diverse e un’accusa infamante di violenza domestica della quale si è liberato mettendo mano al portafogli. A Los Angeles si sta costruendo una torre tutta sua sul Wilshire Boulevard, a un passo da Beverly Hills da cui domina lo scalcinato quartiere dov’era cresciuto. socio di maggioranza dei quotidiani di lingua spagnola ”El Diario” e ”La Opinion”: ”Il mio sogno è di unire le forze e fondare un giornale unico nazionale in tutti gli Stati Uniti”.[...] Fuori dai pesi massimi, nessuno tira come De La Hoya. In dodici anni ha prodotto con i suoi match un fatturato di oltre mezzo miliardo di dollari e ne ha guadagnati personalmente quasi 200. suo il record (per incontri non fra pesi massimi) di vendite in pay per view» (Massimo Lopes Pegna, ”La Gazzetta dello Sport” 18/9/2004). «Le scarpe che indossa hanno brillanti incastonati sul tacco e sulla fibbia laterale. Costo: cinque milioni di lire. Le ha comprate in una boutique a Rodeo Drive, enclave dello shopping di Beverly Hills. Deve essere naturale: se fino a 7 anni hai camminato scalzo in tutte le stagioni, quando hai un solido conto in banca, in fatto di calzature non vuoi badare a spese. [...] Ha conquistato probabilmente un primato esaltante: quello di essere il primo pugile ad avere un album in lizza per una categoria dei Grammy’s. [...] Le favole della sua vita sfrenata riempiono la cronaca scandalistica della California. Oscar non nega. ”La mia vita privata è stata messa in piazza in ogni modo. Ho fatto qualche stupidaggine e la gente quando sei famoso non perdona. Una sera al casinò ho bruciato 500 mila dollari in due colpi (più di un miliardo n.d.r. ). Un’altra volta ho invitato un po’ di amici alle Bahamas e ho speso 200 milioni in un giorno. Divertente, ma è un ritmo che puoi mantenere solo per un po’. Una sera al tavolo da poker ho buttato 40 mila dollari in una mano. Una volta costituiva il salario di due anni di palestra. [...] Rispondo sempre con una frase che mi ha insegnato George Foreman. Qualunque cosa fai, non smettere di sorridere mai. Potrò aver commesso degli sbagli, ma sono sempre rimasto me stesso e ho sempre pagato in prima persona. Tutti i più grandi hanno avuto i loro guai, a cominciare da Ali per finire con Mike Tyson. A volte erano vittime. [...] La boxe è piena di gente fasulla pronta a rubarti i soldi, e a me è successo spesso. Piena di giudici facili da corrompere perché guadagnano pochi dollari. Ma con me non attacca: l’unico modo per salvarsi è quello di mettere k.o. i tuoi avversari”» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 1/3/2001).