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 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

DEL PIERO Alessandro Conegliano (Treviso) 9 novembre 1974. Calciatore. Campione del mondo 2006 (vicecampione d’Europa 2000)

DEL PIERO Alessandro Conegliano (Treviso) 9 novembre 1974. Calciatore. Campione del mondo 2006 (vicecampione d’Europa 2000). Con la Juventus ha vinto sette scudetti (95, 97, 98, 02, 03, 05, 06, gli ultimi due revocati), una coppa Italia (95), quattro Supercoppe (95, 97, 02, 03), una Champions League (96, perdendo le finali del 97, 98, 03), una coppa Intercontinentale (96, suo il gol nella finale di Tokyo contro il River Plate), una Supercoppa europea (96), un campionato di serie B (07). Capocannoniere all time della Juventus (dal 10 gennaio 2006), capocannoniere della Champions League 97/98, del campionato di B 06/07, del campionato di A 07/08, quattro volte miglior italiano nella classifica del pallone d’oro: 4° nel 95 (dietro Weah, Klinsmann, Litmanen) e nel 96 (dietro Sammer, Ronaldo, Shearer), 10° nel 2002, 16° nel 1998. Nel 1996 vinse il ”Bravo” (miglior giocatore europeo under 21, prima di lui Kluivert, dopo Ronaldo) • «Dici Del Piero e pensi Juventus. Con buona pace del Padova, che pure lo mise calcisticamente al mondo, l’identificazione è totale. Dici Del Piero e pensi al gol al volo al Fiorentina, nel dicembre ”94, che diede il via al primo scudetto dell’era Lippi e che convinse tutti, juventini in primis, di avere per le mani un gioiello puro. Dici del Piero e pensi Pinturicchio, l’ennesima definizione azzeccata dell’Avvocato Agnelli, che poneva Ale sulla scia di un altro artista del gol, ”Raffaello” Baggio. Dici Del Piero e pensi a quei tiri a giro, diventati marchio di fabbrica del Del Piero europeo e della Juve alla ricerca della Champions, centrata nel ”96. Dici del Piero e pensi Intercontinentale. Quel gol in finale nel ”96, contro il River Plate, che riportava i bianconeri sul tetto del mondo. Dici Del Piero e pensi ginocchio. Rotto, fracassato, in un’infausta partita con l’Udinese nel novembre del ”98. Ricostruito a fatica dal ”Godot” Del Piero, atteso a lungo e poi ritrovato dai suoi tifosi. Dici Del Piero e pensi scudetti. Cinque con la Juventus, più i due revocati dopo il ciclone ”calciocaos”. Tutti da protagonista. Dici Del Piero e pensi panchine e sostituzioni. Quelle inflittegli da Capello, che per poco non portarono Ale lontano dalla Juve. Dici Del Piero e pensi Serie B. Nobilitata dal campione che non ebbe dubbi, al momento di riportare il suo club in alto, nel momento più basso della sua storia. Dici Del Piero e pensi 200. Duecento gol in bianconero, un’enormità fissata col Frosinone. [...]» (Valerio Clari, ”La Gazzetta dello Sport” 9/8/2007) • «Arriva a Torino nel 1993. Il direttore sportivo del Padova, Piero Aggradi, lo consegna alla Juventus, ”all’amico Boniperti”, per soli cinque miliardi di lire. E lancia la profezia: ” un mini Van Basten. piccolo, ma somiglia all’olandese per genialità e agilità sotto porta”.La sua scheda. Nome: Alessandro. Cognome: Del Piero. Nato a: Conegliano. Ruolo: punta esterna. Dove ha giocato: San Vendemiano e Padova. Tifa per: Juventus. Si ispira a: Platini. Quanto guadagnava: 60 milioni di lire a stagione. Quanto guadagnerà: 160 milioni. [...] Gli dicono: accontentati, non sono molti ma – vedrai – aumenteranno presto. I contratti non sono freddi e rigidi, basta un tocco e un ritocco e si trasformano. Levitano, illuminano, ti cambiano. Alessandro Del Piero, che diventa per tutti subito Ale, ha il tocco e ritocco morbido in campo. Cresce e vola verso la prosperità. Nel 1995 è militare, bersagliere. Lo fotografano con le piume sull’elmetto e il fucile al poligono di tiro. Titolo: Del Piero prende la mira. L’obiettivo è la Nazionale di Arrigo Sacchi e un nuovo contratto. La Juve è un rullo in campionato e in coppa, Del Piero inventa i gol alla Del Piero, quelli nati dalle punizioni leggere e arcuate, quelli che s’infilano negli angolini alti e lasciano riflessi dorati. Sono prodezze e a Torino si comincia a parlare di era Del Piero. Il suo contratto scade nel giugno del 1997. Ma giovedì 21 settembre 1995, con circa due anni di anticipo, parte il ricco rinnovo. I procuratori del talento, Pasqualin e D’Amico, si chiudono nella sede dell’Ifi con Giraudo, Bettega e Moggi e ci restano tre ore. Trattativa lunga, accordo sofferto. Poi l’annuncio: Del Piero ha detto sì. Fumata bianca, anzi bianconerissima scherzano i commentatori. Rimane alla Juventus sino al 2000. Il Duemila. Alessandro è già grande e ubriaco di futuro bianconero. La cifra del nuovo contratto è top secret ma i numeri cominciano a circolare. E sono alti. Come il morale del Del Piero medesimo e le classifiche della Juve di Marcello Lippi. Lo chiamano Pinturicchio per volere dell’avvocato Agnelli e lui distribuisce pennellate soavi. Quando guadagna? Tanto, per l’età e per i valori del mercato. Ma Del Piero è già Del Piero e studia da bandiera. Dicono: diventerà come Bettega e forse come Scirea e Boniperti. Il contratto è stato fatto partire dal 1˚ luglio 1995 con cifra globale leggermente inferiore ai 10 miliardi netti. una cifra ”a scalare”.Si parte da un miliardo per la prima stagione con consistenti aumenti nelle altre, sino appunto a raggiungere quota 10. I suoi scopritori, tanti, anche qualche abusivo, avevano detto: è un fuoriclasse, brucerà tutte le tappe. Detto, fatto. A tutti i livelli. Alessandro con la Juve partecipa e vince. Scudetti, una coppa Campioni, altre le perde. Ma è sempre Del Piero. Si fa male, l’infortunio è grave, qualcuno dubita: sarà sempre Del Piero? Lo aspettano, tanto il suo contratto scade nel Duemila. un contratto che fa discutere e, un anno prima, diventa un tormentone. Firma, non firma, va via, forse al Barcellona. No, lui è storia della Juve e alla Juve rimane. Del Piero è un’emozione continua. Lunedì 29 giugno 1999, le emozioni di Del Piero diventano d’oro. Dopo una lunga e snervante trattativa la Juventus raggiunge l’accordo per il rinnovo: cifra record. Dieci miliardi netti l’anno per cinque anni. un contratto figlio del suo tempo, scade nel 2004. Dentro non c’è tutto, ma di tutto: sponsor, prestazioni sportive, sfruttamento dell’immagine. Del Piero è fotografato per l’ultima volta con i suoi vecchi procuratori e Moggi. Sorridono tutti, uno a denti stretti. Del Piero dice: ”Il cuore batteva forte mentre firmavo. I soldi sono importanti ma ci sono tante cose che non possono essere comperate”. fermo da otto mesi e promette: ”Sarò pronto per il campionato”.Del Piero è felice, la Juve lo aspetta, l’avvocato Agnelli dice: ”Tutti sono contenti, ma credo che il più contento sarà Del Piero”» (Germano Bovolenta, ”La Gazzetta dello Sport” 2/10/2003). «La coscienza di sé. Andava alle medie e diceva a sua madre: ”Io sono un’aquila e volerò alto”.Ha indossato ali bianconere e non le ha tolte più. La sicurezza del talento. Aveva 10 anni e il poster di Platini sopra il letto. Guardava le partite della Juve, poi prendeva una pallina da tennis, scendeva in garage, diceva al suo pubblico improvvisato: ”Adesso colpisco la presa della luce”.E lo faceva, al primo colpo. Poi, di giorno, dopola scuola, scendeva in strada e sfidava i più grandi, che con i coetanei non c’era gusto. Suo fratello maggiore Stefano: ”Mi voleva sempre in squadra, una volta ha esagerato: io e lui contro 5. Abbiamo perso di poco, ma che soddisfazione. L’ho sempre detto ai miei: Ale è un fenomeno, presto lo troviamo sui giornali”.Le scontate conseguenze. L’aquila Alessandro Del Piero da San Vendemiano vola al Padova e poi all’Under 21, non ancora diciottenne, e infine alla Juve. Consigliato da Causio, soffiato daBoniperti al Milan con 5 miliardi ed esaltato da Trapattoni, a suo modo: ”Se chiudo gli occhi, mi sembra di rivedere Paolo Rossi”.Avendo gli occhi chiusi, non aveva visto benissimo. Altri paragoni, nel tempo, si sono rivelati appena più vicini al vero: Platini, Baggio... mai fuoriclasse assomigliano solo a se stessi. Lui, bianconero a 18 anni e qualche mese, confessava la sua passione sfrenata per Michel: ”L’ho studiato in tutti i suoi movimenti. Un giorno lascerò la maglietta fuori dai pantaloncini emagarigli assomiglierò un po’”.Sono passati giusti 10 anni. Il 12 settembre 1993 Alessandro Del Piero fa il suo esordio con la Juve a Foggia: un quarto d’ora per Ravanelli. Tre giorni dopo, il piccolo genio mette il piedino in Europa: giusto 60 secondi perditempo in Juve- Lokomotiv Mosca. Quattro giorni dopo, contro la Reggiana dispone sempre di una manciata di minuti ma stavolta li sfrutta: passaggio del suo amico del cuore dai tempi di Padova, Angelo Di Livio, palla che rimbalza e tiro al volo di sinistro. Inizia così la sua serie di prodezze in bianconero, che così lunghe, nel calcio della rincorsa al soldo, pochi avrebbero pronosticato. Dieci anni di Juve: Del Piero è uno degli ultimi mohicani del pallone, con Paolo Maldini e un paio d’altri. Dieci anni e saranno di più.[...] Trionfi, gioie, sofferenze: ha vissuto tutto e intensamente, Del Piero, con la Juve. Cinque scudetti, una coppa Campioni, una coppa Intercontinentale, una Supercoppa europea, una coppa Italia e 4 Supercoppe italiane. [...] gol all’attivo, parecchi stupendi. Per dire un paio, quello alla Fiorentina, nel ”94, quando gioca al posto di un certo Baggio: tocco al volo d’esterno destro su un lancio impreciso. Da lì scoppia la Del Piero mania. Quello decisivo nell’Intercontinentale al River Plate, che poi gli dà il coraggio di giocare il resto della gara alla Platini, con la maglietta fuori dai calzoncini. Quello di tacco, meraviglioso e inutile, nella finale di Champions League col Borussia Dortmund, quelli su punizione, scegliete voi, quelli della zona Del Piero, alla sinistra tra il limite e l’area, con tiri a rientrare, quello in acrobazia contro il Piacenza in omaggio a chi lo consacrò Pinturicchio: Giovanni Agnelli, appena scomparso. In mezzo, un’accusa di doping che l’ha ferito, una di gay che l’ha fatto sorridere e periodi di un buio pesante, anche. Uno lungo, prima del gol nell’Intercontinentale che cancellò le critiche come un temporale l’afa. Un altro lunghissimo, causa il grave infortunio al ginocchio sinistro del ”98. A conti fatti, ne ha risentito più la Nazionale che la Juve, anche se, ripete, tra i suoi dolori europei e mondiali ci sono anche le finali di Champions perse con Real e Milan« (Fabio Bianchi, ”La Gazzetta dello Sport” 13/9/2003). «In dieci anni di Juventus, è stato simbolo, idolo, mascotte, fumetto, uomo della provvidenza e, infine, capitano. Lo hanno chiamato Alex, Pinturicchio, Godot, non è mai stato banale, nemmeno nelle storie ordinarie del pallone. Ha rapito l’amore ai potenti, ha stregato con il suo fascino molto discreto i tifosi ”comuni”, quelli che intasano con le e-mail il sito personale […] Talento e soldi, magìe e denaro: il mix è quello giusto perché all’alba del Terzo Millennio tutto ha un prezzo e nulla non può non essere capitalizzato. Del Piero, per non sbagliare, con una parte del ricco ingaggio si è addirittura comprato una collina a Conegliano: ci costruirà il suo maniero e diventerà un produttore vinicolo. Ad aiutarlo ci sono due fratelli italo-giapponesi, Mario e Zenijro Miyakawa, capaci di completare l’opera di managerizzazione del fuoriclasse che c’è sempre stato in lui. L’Oriente, in fondo, è nel suo destino. Se in Giappone, nel novembre 1996, ha raggiunto l’azimut della carriera nella finale Intercontinentale, sempre a novembre, ma due anni dopo, ha toccato il fondo a Udine, nello schianto con Marco Zanchi. Il ginocchio ”svitato”, l’operazione negli Stati Uniti, in Colorado, dal professor Steadmann (perché mica poteva essere uguale agli altri pure nel dolore), la lenta ripresa, la paura di non tornare un campione, il riscatto, i gol. In tutto questo, ha perso il padre e riacquistato la serenità dell’anima accanto all’ultima fiamma, Sonia Amoruso, con la quale convive in una bella casa al di là del Po» (Gino Minguzzi, ”Corriere della Sera” 9/11/2002). «Arrivò bambino dal Padova, dove aveva esordito in serie B. La gente immaginava di veder crescere con lui un fuoriclasse immenso come Maradona, mentre appartiene a una categoria meno raffinata, i campioni che quando sono al 100 per cento inventano cose che non riescono a tutti, altrimenti faticano a brillare. Lo hanno fregato gli inizi. Non segnava moltissimo ma i gol erano capolavori degni di Raffaello più che del Pinturicchio, cui lo accostò l’avvocato Agnelli. Quel tocco al volo per battere la Fiorentina in una storica rimonta nell’inverno del 1994; le reti ugualmente sublimi in Coppa, con la palla che partiva dalla stessa zona (sulla sinistra, appena fuori area, la chiamarono la ”zolla di Del Piero”) e si infilava nell’angolo, con l’effetto a rientrare. La rete storica di Tokyo per l’Intercontinentale contro il River Plate. ”Se fa queste cose a vent’anni, che gli vedremo fare a 25?” ci chiedevamo. Prima che arrivasse a quella età lo bloccò l’infortunio, a Udine. Un giorno ne parlammo con un chirurgo. ”Non lo scriva ma non sarà mai più lo stesso, è già molto se tornerà a correre senza zoppicare”.Si sbagliò. tornato a giocare con sprazzi dei vecchi tempi. Pretendono una continuità di mirabilie, lo confrontano con l’attaccante che segnò 21 gol nel 1997/98, senza interrogarsi se l’anomalia non fosse in quel campionato, perchè prima non aveva toccato i dieci gol. L’attesa è rimasta quella di quando l’Avvocato disse che era come aspettare Godot e Umberto Agnelli lo definì ”cocco di mamma”» (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 5/3/2002). «Uno che doveva fare miracoli e invece è rimasto impigliato con i piedi e con la testa in una magia sempre più impossibile mentre tutti già gli gridavano impostore, ridacci il mago vero. Quelli del Toro in un derby lo offesero anche sul piano sessuale con la scritta ”Del Piero, studente Cupio”.Ma insomma ci sono quelli destinati alle curve e alle buche. Magari se segni 21 gol in campionato vinci la classifica marcatori, macché, nel ”98 lo fregò Bierhoff allora all’Udinese con 27. Magari se in un mondiale vai a fondo, Francia ”98, ti rifai poi con la tua squadra, macché ad ottobre con la Juve si fermò per il grave incidente al ginocchio. Magari se sei uno a cui quasi tutto va male alla gente riesci simpatico, macché Del Piero è l’unico giocatore che pur non avendo mai alzato la voce contro nessuno, è osteggiato, maltrattato, odiato. Perfino l’avvocato Agnelli si è rivolto a lui come ad un operaio svogliato: ”Bisogna che si svegli”.Altro che Pinturicchio del calcio, piuttosto Cipputi del gol. […] Quando si era bloccato in campionato, quando gli era venuta per due anni l’allergia al gol e tutti dicevano che era finito, al massimo poteva diventare un grandissimo fornitore di assist, se ne uscì fuori con un gol di testa al Parma. E il 18 febbraio 2001 a Bari, gli era appena morto il padre, di tumore, dopo una lunga malattia, lui fece una corsa lunga e rabbiosa, piena di pianto, quasi da invasato. stata l’unica volta che ha fatto uscire un po’ di dolore. Forse è questo il suo problema, lui non suda, trattiene. Calpestatelo pure nell’anima. Vi risponderà che preferisce ”stare solo”.E che la sua rinascita interiore è cominciata proprio dopo gli europei del 2000, quando si mangiò due gol in finale. ”Ci rimasi molto male e mi assunsi la responsabilità di quella disfatta. E lì che ho cominciato a pensare che dovevo concentrami più sulla nazionale e riuscire a riprendermi quello che avevo perduto”.Non si ricordano sue reazione bestiali. Bottiglie scagliate? Sedie rotte? Lui è così, gentile e civile. Un tipo da lago, infatti ha preso una casa sul Lago Maggiore, a Meina. Quando arrivò a Torino e affittò un appartamento in via Assarotti si mise a portare la spesa a tutte le vecchie signore del palazzo. Quando non riusciva a segnare e Inzaghi a Venezia invece di passargli la palla segnò lui, da bulimico (la Juve vinse 4-0), solo in mezzo al campo si limitò a fare una faccia. Anche se con l’università non ce l’ha fatta capisce sempre dove portano le domande dei giornalisti e le aggira con slalom accurati» (Emanuela Audisio, ”la Repubblica” 14/6/2002). «Ci sono stati equivoci importanti nella sua carriera. Il primo è che fosse un grande fantasista. Erano i tempi di Maradona, sembrava non si potesse fare a meno di un giocatore così e lo si vedeva dietro ogni talento. Il secondo equivoco netto è stato fosse un trequartista. Aveva il dieci, che è un numero talmente magico per noi da rasentare lo stupido, e con il dieci poteva stare dietro le due punte. Una piccola maledizione che ha colpito tutti i grandi di questo ruolo, da Mancini a Baggio, una vecchia. fissazione italiana. Siamo così poco abituati all’idea di attaccare, che per noi i più bravi è meglio giochino lontano dall’area di rigore. In realtà non è mai stato né questo né quello, né Maradona né Zidane, tanto per riassumere. stato e resta una straordinaria seconda punta, un attaccante di fantasia, non un fantasista. In quel ruolo ha aperto forse una strada. Non solo agile, non solo rapido, ma anche di buon fisico e piedi eccezionali. Un attaccante diverso, in anticipo sui tempi, un po’ atleta e un po’ prestigiatore. Ci sono stati in questi anni giocatori più straripanti di lui, per esempio Signori, a tratti Vialli, lo stesso Nedved, ma Del Piero è stato un giocatore realmente diverso, con un suo carisma placido, una sua interpretazione della vita che metteva insieme epoche profondamente diverse della nostra storia sportiva, quelle del matrimonio immediato, della famiglia giovane e forte, con quella del giocatore single, mondano e nuovo sogno erotico italiano. Il terzo equivoco è che fosse un leader. un errore frequente. Si pensa che la leadership sia direttamente proporzionale al talento. Così si diceva per esempio che FrancoBaresi guidava lo spogliatoio del Milan. Non era vero, Baresi non parlava mai negli spogliatoi. Né sono stati leader Rivera o Baggio. Spesso il ragazzo di talento pensa molto a se stesso, non ha visione d’insieme. C’è chi dice che in questi casi l’egoismo sia addirittura un pregio. Comunque Del Piero non è un leader, è un esempio, è come vorremmo fosse il fidanzato di nostra figlia, è quello che non sa gestire la pace della squadra, ma va comunque a portarla. L’ultimo equivoco è il più serio, direi il più grave e ha investito molta gente di religione diversa dal delpierismo, e cioè che fosse un giocatore ormai più ingombrante che utile, più dannoso che necessario. Aveva avuto uno di quegli infortuni che funzionano da spartiacque, tardava a riprendersi, era ingrossato e appesantito, non saltava più l’uomo, sembrava onestamente sproporzionato al suo ingaggio e alla sua squadra. Invece stava soltanto cambiando pelle per l’ultima volta, stava girando intorno alla sua modernità. L’ultimo Del Piero è un grande attaccante compiuto. Infatti non ha mai segnato tanto come adesso […] Non è mai stato un grande goleador. Solo una volta è andato oltre i venti e non ha mai vinto una classifica cannonieri. Da giovanissimo si è imposto per la bellezza dei suoi gol, non per il numero. Oggi è cresciuto, è un uomo diverso, né agilissimo né troppo potente, miscela tecnica a qualità fisiche, è diventato più cattivo in area, prova di più e quindi ha anche più fortuna. Un’evoluzione strana per un grande attaccante. Di solito si perdono metri con l’andare del tempo. Forse Del Piero è stato salvato dal suo infortunio. Ha avuto paradossalmente il tempo di ”invecchiare” riflettendo, scegliendo quasi come poterlo fare. Ha continuato a studiare il gol, i suoi movimenti in rapporto al gol, ha sperimentato nuovi se stesso e alla fine ha scelto. Il risultato è un giocatore straordinario, la seconda punta nettamente migliore d’Italia. Nessuna squadra può aggiungere ai gol del suo primo attaccante tanti gol quanti ne segna Del Piero. […] Del Piero inoltre pesa sul campo. Molte seconde punte, per esempio Recoba, se non segnano scompaiono, non hanno altro senso e il loro avversario diretto diventa spesso pericoloso. Del Piero è moderno anche in questo. Del Piero pesa sul campo. Può essere in giornata o meno, ma raramente spreca il pallone, raramente è improduttivo e nella più triste delle ipotesi cancella il proprio avversario nella sua marcatura. probabile che il delpierismo, nel suo dilagare universale, sia stata una religione sproporzionata. Niente può essere seriamente paragonato all’amore che questo ragazzo ha avuto. Il primo a saperlo è proprio Del Piero. Ma lui ne è stato signorilmente all’altezza. Nella sicurezza completa di avere altri esempi da impartire negli ultimi anni della sua avventura» (Mario Sconcerti, ”La Gazzetta dello Sport” 30/4/2003). «[…] Il calciatore, il fenomeno del pallone, è rimasto lì sul prato di Udine, quella domenica del novembre 1998, quando gli esplode il ginocchio in un contrasto. Nove mesi di stop, carriera a rischio. A seguire, il pellegrinaggio a Veil, l’intervento chirurgico, la rieducazione. Anche allora Del Piero non si lascia andare, mai un attimo di sconforto, mai una volta che maledica l’avversario o il destino cinico e baro. Il suo è un talento naturale. Un istinto infallibile a mettere in freezer tutto ciò che gli capita con la pretesa di turbarlo. L’infortunio è la svolta. Il Pinturicchio restaurato non tornerà mai più quello di prima. Sì, qualche lampo, qualche tacco, una giocata delle sue, ma dentro troppi passaggi a vuoto, le delusioni in Nazionale, le polemiche, gli allenatori sempre più scettici, i processi sui giornali e in televisione. Invece di scivolare nel cono d’ombra, il suo personaggio si moltiplica, diventa come Lady D, un virus mediatico, un pensiero parassitario, gli nascono le stimmate. Di lui si parla e si titola comunque. Che dialoghi con i passeri, che giochi da schifo o da dio. Le mutande da calciatore restano per il principino un inconveniente da indossare una volta la settimana, con la necessaria noncuranza. Piace alle mamme, ai bambini, ai preti. Il cardinale Ersilio Tonini esterna tutto il suo dispiacere quando Capello lo ”umilia” in panchina contro il Brescia. I tifosi fanno di più, insultano l’allenatore che li fa vincere e urlano in coro al loro Alex umiliato: ”Sei la cosa più bella che c’è”. Le sue apparizioni televisive garantiscono due, tre punti di share in più. Pretende e riceve […] 10 mila euro per un’ospitata, il doppio dei suoi colleghi più famosi. Più corteggiato di Totti, di Zidane e di Vieri messi insieme, che pure continuano a fare i fenomeni la domenica. Popolare come lui in Italia e nel mondo solo Valentino Rossi. Alex non sbaglia una mossa, non sbaglia una scarpa, la citazione di uno sponsor. Mai una polemica, una parola fuori posto. Incassa pernacchi, striscioni grevi e barzellette salaci (”La nuova Fiat? Si chiamerà Del Piero, per via del cambio automatico”). La Bild scrive che è un ex giocatore? Lui li ignora. Non esulta troppo e non si lamenta mai. Lucidissimo sempre. A Controcampo va come ospite una volta l’anno, ma a fine stagione, così li tiene al gancio ed è sicuro che non ne parlino male. Nella mutazione da calciatore a fenomeno mediatico la prima cosa che fa è cambiare manager. Si libera di Carlo Pasqualin e di Andrea D’Amico, di cui era stato il testimone di nozze, per affidarsi a due fratelli giapponesi che gli ha presentato Jean Alesi. Mario e Zenjro Miyakawa, due ninja da combattimento, completano l’opera. Tra Italia e Giappone Del Piero diventa un ologramma, l’immagine sostituisce il calciatore, anche quando si cala nelle mischie brutali del pallone. […] Anni dopo, Pasqualin si sveglia ancora di soprassalto la notte, in preda all’incubo. Era stato lui a chiudere con gli squali di piazza Crimea, Moggi & C, il capolavoro, il contratto del secolo, un quinquennale da 10 miliardi di lire netti l’anno, il punto di non ritorno e la rovina del sistema calcio. Era il 30 giugno 1999. Festeggiarono la sera nella casa dei genitori di Alex a San Vendemiano, con formaggio, spumante e soppressa. Per una volta l’algido ragazzo si lasciò andare, non finiva più di abbracciarlo il suo procuratore Mida. Pasqualin lo accudiva come una chioccia, gli faceva il lavaggio del cervello: ”Anche la mattina, quando ti fai la barba, ricordati sempre di ripetere: io sono un attaccante. Non dare retta a quelli che ti vogliono centrocampista”. Un po’ perché ci credeva veramente e molto perché, ogni volta che il suo pupillo indovinava quelle parabole musicali nel sette, le sue orecchie tintinnavano come slot machine. Ha passato anni ad arrovellarsi e ancora oggi non riesce a farsene una ragione. Del Piero lo ha sfilato dal carro a modo suo, a colpi di vaselina, giorno dopo giorno, senza nemmeno una spiegazione. Ma Alex è questo, nel suo spazioso freezer c’è posto per tutti, anche per i vecchi amici. Un delicato animale a sangue freddo, molto concentrato sul suo destino, che guarda sempre avanti e non si cura di eventuali cadaveri lasciati sulla strada. l’anima veneta, l’educazione cattolica, l’attenzione alle apparenze che, negli anni, diventerà attenzione dell’apparire. Gli piace nuotare sott’acqua, una volta che sa dove arrivare. Basta parlare con i suoi amici di un tempo, i compagni di primavera del Padova, per misurarne la delusione. Trattati con affetto, quando capita, ma con freddezza. L’unico vero amico è il fratello Stefano, che ha lasciato il posto di ragioniere nella ditta di Conegliano e ora si occupa con i giapponesi delle sue cose. La madre Bruna pende dalle sue labbra, Beatrice, la sorellina adottiva romena […] lo adora. Alex ascolta tutti, ma decide lui, tira dritto per la sua strada, non si perde in smancerie. L’Avvocato lo chiamava alle 7 di mattina e gli chiedeva ”sta dormendo?”, fino al giorno in cui lui rispose ”sì, stavo dormendo”. Anche quando parla con i passeri sulla spalla non è estasi francescana la sua, ma un lavoro da fare bene.
L’accostamento con David Beckham funziona solo in parte e certo non regge sul piano del gossip mondano. Beckham è un’icona planetaria, va dalla regina, ha sposato una popstar, regala a Baby Beckham […] orecchini in diamanti da 40 mila euro per il suo compleanno. A parte la vaga somiglianza con Jude Law, Del Piero non è uno da star system. parsimonioso, odia gli sprechi e si fidanza con una commessa, Sonia, alla quale regala il negozio di abbigliamento a Torino in cui lavora, solo dopo aver capito che si tratta di un investimento. In affari è una volpe. Del Piero è un’azienda. Non sbaglia un colpo. Fa tendenza. Il suo coprianello con il numero 10 sovrimpresso diventa un oggetto di culto. Con i diritti d’immagine, attraverso la Compact, la società dei Miyakawa, raddoppia quanto meno lo stipendio della Juventus. Certo, va ospite agli Awards della musica e a Striscia, ma sempre con quel lieve disagio di chi preferirebbe stare altrove ma capisce che è utile stare lì. Anche se poi gioca da cazzeggione con i compagni e strappa applausi quando inforca l’occhiale psichedelico e fa l’imitazione di Giampiero Mughini. Alex resta un dandy piantato nelle sue radici di provincia, che non fa mai il passo più lungo della gamba, e quella volta che lo fa, la gamba si spezza, come quella domenica a Udine. […] Cura tutto nei minimi dettagli. Anche il suo frequentatissimo sito online (www.alessandrodelpiero.com), dove dispensa in italiano, inglese e giapponese pensierini edificanti, ora sullo tsunami, ora sulla morte di Omar Sivori. E dove sono in vendita, per i fan, la sua biografia, un libro fotografico molto glamour da 99 euro, insieme alle t-shirt personalizzate Adidas, gli zuccotti e i palloni autografati.
 rimasto il chierichetto di un tempo, la stessa voce querula da orazione, ma è cambiato l’altare. Ora serve messa per se stesso. Chi lo conosce bene giura di averlo visto infuriato una sola volta, quando Zeman lo ha tirato dentro nella storia del doping. […]» (Giancarlo Dotto, ”Panorama” 17/3/2005). Vedi anche: Michele Farina. ”Sette” n. 46/1998.