Varie, 22 febbraio 2002
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DEL PONTE Carla Lugano (Svizzera) 9 febbraio 1947. Magistrato. Ex procuratore del Tribunale internazionale delle Nazioni Unite contro i crimini di guerra per l’ex Jugoslavia (1999-2007)
DEL PONTE Carla Lugano (Svizzera) 9 febbraio 1947. Magistrato. Ex procuratore del Tribunale internazionale delle Nazioni Unite contro i crimini di guerra per l’ex Jugoslavia (1999-2007). «Testarda, ostinata, competente. Una che non molla la presa. Una tosta, che va fino in fondo. Una che, se ti punta, sei spacciato. Una che vive blindata e non se ne lamenta. Una che non ha paura. Una che al fascino della sfida immola senza rimpianti tutta se stessa. Una di ferro, insomma. Una che ti parla sorridendo, ma che è ghiaccio invulnerabile [...] la sua fama di una che si spezza ma non si piega se la porta dietro da tempo. Da quando, sul finire degli Ottanta, con l’inchiesta contro il narcotraffico ”Pizza Connection”, legò il suo nome alla lotta contro il riciclaggio del denaro sporco e la criminalità organizzata di mezza Europa. Temuta dalle banche svizzere poco inclini a discriminare l’odore dei soldi, aveva collaborato con Giovanni Falcone che di lei diceva ammirato: ”Carla non cede mai, è l’ostinazione fatta persona”. Un marchio che l’ha seguita a Berna dal ”94 in poi, anni in cui da procuratore generale della Repubblica Elvetica ha fatto tremare più di un potente della Tangentopoli internazionale. Non stupisce che una così tenga bene in vista nel suo ufficio il poster ”Wanted” con le foto dei dieci latitanti che mancano per completare i processi contro i massacratori della guerra nei Balcani. Perché lei coltiva una speranza sopra ogni altra. ”Che sia fatta giustizia. E che i più alti responsabili dei crimini contro l’umanità siano finalmente giudicati”. Aspetta con tenacia la resa dei conti [...] Ammette senza rammarico: ”Io non ho tempo libero, ma non conosco la noia; ho cambiato spesso attività e affronto continuamente nuove esperienze [...] Immagina la soddisfazione di discutere un problema di diritto con i magistrati di una settantina di paesi? [...] Non ho mai programmato la mia carriera, fosse stato per me sarei sempre rimasta procuratore a Lugano”. Pubblico accusatore, anzi accusatrice. Il suo pallino, la sua vocazione. E ammette Del Ponte che, quando cominciò a fare l’avvocato sul finire degli anni Settanta, sognava solo di non dover essere più difensore di chicchessia. Racconta: ”Fin dall’università ero appassionata di diritto penale. Avevo un professore bravissimo, Philippe Gravin, che mi ha trasmesso la voglia del penale, una disciplina che ha una componente umana affascinante. Ma l’avvocato non era il mio mestiere: guardavo i dossier, vedevo le prove e andavo dall’accusato in carcere a dire, devi confessare. L’imputato magari si dichiarava innocente, ma io niente… ero un pessimo difensore”, sorride compiaciuta. A Lugano diventa procuratore nel 1981. All’epoca, nel tribunale d’appello, al penale c’è soltanto una donna magistrato; lei è la seconda e si butta a capofitto nel lavoro che ha voluto. Due mariti e un figlio maschio [...] ”Ho divorziato due volte, ed è normale quando la donna, madre e moglie, rientra ogni sera dopo il marito” [...] si sa che ama il golf. Solo un passatempo, possibile? ”Gioco durante il fine settimana o la sera, visto che qui al nord d’estate c’è luce fino a tardi. Ho ripreso per puro caso. stato quando ero procuratore anche del Tribunale per i crimini del Rwanda (fino al dicembre 2003). Andavo in Africa, in Tanzania, per due-tre settimane ogni due mesi e il sabato e la domenica non c’era nulla da fare. Di fronte al mio albergo c’era un bel campo da golf e fu la presidente del tribunale a invitarmi. Il golf è relax totale; ti concentri solo su quella maledetta pallina e non pensi più a niente altro”. Una così, tutta sfide e tenacia, apprezza il relax? Lei corregge il tiro: ”Giocare bene a golf è una questione di cervello all’ottanta per cento. E, se perdi, te la devi prendere solo con te stessa”. Per il resto, quando se lo può permettere, sceglie la solitudine. ”E leggo, soprattutto carte di lavoro, fascicoli”. E ogni tanto, prima di dormire, qualche libro ”ma d’evasione, leggero. Posso leggere in quattro lingue, ma preferisco l´italiano. Mi piace Andrea Camilleri [...]”. Quanto a uscire la sera, non se ne parla quasi mai: ”Spostare la scorta per questioni private non mi sembra etico. Preferisco stare in casa, magari invito qualcuno a cena. più semplice [...] la mia vita mi piace. questa, la accetto. Le mie giornate sono pienissime e ogni tanto la tranquillità mi fa bene” [...]. Conferma di essere testarda e ”molto determinata”. Ricorda quando nel ”94, chiamata dal ministro della Giustizia svizzero, arrivò a Berna da procuratore generale. Chiosa con orgoglio: ”Le mie funzioni erano molto limitate, almeno per i reati di tipo federale. Ma io ho lottato per cinque anni e ho convinto il governo e il parlamento finché ho ottenuto una competenza federale più estesa per il riciclaggio e il crimine organizzato”. Sorride con una punta di malizia: ”Pensare che le banche svizzere erano state così contente di avermi fatto mettere da parte. E invece…”. Ancora una sfida vinta, ma non l’ultima. ”Nel giugno del ”99 il governo del mio paese mi comunicò che mi avrebbero proposta come procuratore al Tribunale internazionale dell’Aia. Venni avvertita che non avevo alcuna possibilità. La Svizzera, che all’epoca non era ancora nell’Onu, doveva comunque presentare un nome. Convinta di non rischiare, risposi con un ”va bene’. Un mese dopo, in luglio, mentre ero in vacanza in Italia, in Toscana, leggo su un giornale che Kofi Annan mi ha proposto come candidata. Quasi subito mi chiamano da Berna per dirmi che Annan mi vuole vedere. Volo a New York decisa a rifiutare: avevo appena ottenuto dal Parlamento svizzero le agognate competenze federali per la lotta al riciclaggio e avevo ancora molte partite aperte. Non volevo certo mollare tutto a metà. Incontro Annan e gli chiedo tempo per riflettere. Lui me lo concede, ma solo una settimana. Dice: ”Vengo a Ginevra e mi dai una risposta’. Alla fine ho detto sì”. Obbedienza istituzionale o sedotta dall’ennesima sfida? ”Tutte e due le cose. Fatto sta che sono venuta qui per incontrarmi con il procuratore uscente, Louise Arbour. Il giorno dopo sono rientrata a Berna e ho lavorato fino al 14 settembre. Il 15, mi sono chiusa la porta di casa alle spalle e mi sono trasferita. Qualcun altro ha organizzato il mio trasloco. All’Aia ho trovato casa soltanto dopo sei mesi”. Non facili i primi tempi in Olanda. ”In principio ho molto rimpianto di aver accettato. L’impatto con la struttura, tutte quelle persone da organizzare, seicento nell’ufficio dell’Aia e quattrocento in quello del Rwanda; passavo le giornate in riunione. E a studiare, sapevo così poco dei reati contro l’umanità. E poi doversi incontrare con magistrati di tanti paesi e usare l’inglese, sempre. Fra gente di tutti gli stati, che parla almeno una decina di tipi d’inglese. Affrontare problemi di ogni genere. Andavo in Tanzania ogni due mesi. E anche lì una montagna di difficoltà. Ero disperata, anzi no, mi sentivo impantanata, bloccata. All’epoca Milosevic era ancora il presidente della ex Jugoslavia e io mi dicevo continuamente: come faccio a portarlo in giudizio?”. Nel 2000 il disappunto è già un ricordo e Del Ponte timona le inchieste con sicurezza. Milosevic viene consegnato un giovedì del luglio 2001 e nel febbraio successivo compare alla sbarra in Tribunale. Il confronto con la grande accusatrice riempie i giornali del mondo. ”La più grande soddisfazione però me la sono presa nell’unico faccia a faccia privato che ho avuto con lui”, racconta. ”Un giorno lo incontro in carcere dopo l’udienza. Milosevic si sentiva ancora un capo di Stato, mentre io volevo fargli capire che, sebbene fosse un presidente, era accusato di crimini gravissimi. Gli ho detto: ”Secondo le regole di procedura io posso interrogarla. E se lei si vuole difendere, sono pronta’. andato su tutte le furie; si è messo a urlare che le regole le conosceva tanto bene da sapere che non solo poteva rifiutare di rispondermi, ma perfino di ricevermi. Aveva cominciato in inglese, poi nella rabbia era passato al serbo. Allora l’ho interrotto. E che soddisfazione... ho chiesto forte: ”Portatemelo via’. L’ho rivisto soltanto in aula” [...]» (Silvana Mazzocchi, ”la Repubblica” 19/6/2005). «Basta guardarne il volto per capire che non scherza e che probabilmente non ha mai scherzato in vita sua. Faccia mascolina e abbronzata da montanara, criniera bianca accortamente arruffata, occhialini tondi con dentro due grandi occhi scuri e implacabili, bocca larga e cocciuta, polsi grossi da rocciatrice, gioielli insieme sobri e solidi che ne rivelano il buon rango sociale, la ”tigre del Ticino”, svizzera italiana di nome, di lingua e di cultura, è fin dall’aspetto una di quelle persone che assolutamente non si vorrebbero scorgere su una barricata a noi ostile e contraria […] La sua fama di crociata e di combattente per il trionfo della giustizia nel mondo ha superato da tempo le acque di Lugano e i confini della Svizzera italiana. diventata ormai, in meno di un anno, una figura mitica nell’ambito delle Nazioni Unite, che nel settembre 1999 hanno affidato al suo pugno muscoloso lo scettro del massimo potere giudiziario internazionale nominandola procuratore capo del Tribunale dell’Aia per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia e nel Ruanda: i due grandi buchi neri del pianeta sulla svolta del secolo. Per la più influente stampa anglosassone di sfondo puritano, soprattutto americana, è oggi una monaca guerriera di primissima trincea: in un crescendo di appellativi forti la definiscono ”crusader”, ”combative”, ”determined”, ”stubborn” […] Pur svizzera, o forse proprio perché svizzera calvinizzata, nella sua caccia ai depositi blindati nei labirinti degli istituti di credito ticinesi e ginevrini non s’è fermata neppure davanti al più sacrosanto dei ”noli me tangere” confederali, il segreto bancario da oltre un secolo inviolabile e inviolato. Al tempo in cui era soltanto procuratore del Ticino, molti imprenditori e banchieri di Lugano lamentavano: ”Quella fanatica sta rovinando la svizzera e facendo un favore alle banche austriache, dove il segreto bancario è assai più segreto del nostro che lei e il suo amico Di Pietro stanno distruggendo”.Ma prima della strettissima collaborazione con Di Pietro ai tempi ruggenti di Tangentopoli, la ”combattiva fanatica” era scesa in Sicilia, chiamatavi da Giovanni Falcone che di lei già allora diceva le stesse cose che più tardi avrebbero scritto il ”Washington Post” e il ”Christian Science Monitor”: ”La tenacia è la sua prima qualità. caparbia, capace e determinata. E una donna decisa ad andare fino in fondo. E non guarda in faccia nessuno”» (’La Stampa” 18/2/2001).