Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

DE NARDO Erika

DE NARDO Erika Novi Ligure (Alessandria) 28 aprile 1984. La sera del 21 febbraio 2001 insieme al fidanzatino Omar Favaro uccise a coltellate nella sua casa di Novi Ligure il fratello Gianluca di 12 anni e la madre Susy Cassini. In un primo momento si pensò all’opera di feroci banditi, ma il 24 febbraio gli investigatori, dopo aver intercettato alcune conversazioni, arrestarono i due assassini. In libertà dal 5 dicembre 2011 • «[...] «“Quella sera ho perso la testa [...] Non ricordo tutto quello che pensavo e facevo. Ma non sono un mostro”. Quella sera raccontò che erano stati “gli albanesi”, a massacrare (il termine è scientifico) la mamma e il fratello. I carabinieri si mobilitarono, le battute per cercare “gli albanesi” si spinsero fino alla Lombardia, e oltre. Qualcuno pensò bene di organizzare una fiaccolata di protesta contro gli extracomunitari delinquenti che minacciavano le villette d’Italia. Ma era tutto falso. Non c’erano albanesi assassini, a Novi Ligure. C’erano due ragazzi, Erika e Omar, che avevano pianificato di uccidere i genitori di lei, adottare il fratello, incassare l’eredità, prendere possesso della casa, ricostruire una famiglia nuova. Il piano andò a gambe all’aria quasi subito. Uccidere non era come nei film, un colpo di coltello e via. Susy De Nardo fece resistenza quanto potè, prima di morire nella bella cucina di casa sua. Il bambino Gianluca vide la scena e cercò di scappare al piano di sopra. Erika e Omar deciso di eliminarlo in quanto testimone. “Quella sera dovevo bere io il veleno nel succo di frutta che maledettamente avevo preparato per te”, scrisse poi Erika al fratello morto, “caro angioletto mio, caro Gianluca”. Il bambino non voleva bere il topicida versato nel bicchiere, e allora venne colpito a coltellate, finito faticosamente nella vasca da bagno da due adolescenti sempre più stanchi. La stanchezza - e solo quella - impedì loro di proseguire nel piano: aspettare il rientro del padre di lei, e ucciderlo. Il piano venne modificato, lui saltò sul motorino e se ne andò a casa, lei aspettò ancora un po’- da sola, nella casa imbrattata di sangue in cucina, nel salotto, sulle scale, nel bagno, nella cameretta di Gianluca), e poi scese in strada, a gridare nella notte “aiutatemi! hanno ucciso mia madre e mio fratello”. Una messinscena, miseramente caduta il giorno dopo, quando i carabinieri videoregistrarono i due che si raccontavano la verità. [...]» (Brunella Giovara, “La Stampa” 27/4/2005).