Francese, 22 febbraio 2002
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Deneuve Catherine
• (Catherine Dorleac) Parigi (Francia) 22 ottobre 1943. Attrice. «Figlia d’arte (il padre è l’attore Maurice Dorleac, la madre l’attrice Renee Deneuve) comincia a recitare a 13 anni usando il cognome della madre e distinguendosi così dalla sorella (che morirà in un incidente stradale nel 1967 dopo aver recitato con Catherine in Josephine, un musical di Jacques Demy del 1967) che aveva mantenuto il cognome paterno. A lanciarla nel grande cinema è Roger Vadim nel 1962 con Il vizio e la virtù, tratto da Sade. L’anno seguente, con il musical Le parapluies de Cherbourg di Jacques Demy il suo volto diventa popolare ma il film che la lancia a livello internazionale è Bella di giorno di Luis Bunuel del 1967. Il film, rifiutato a Cannes, viene premiato a Venezia con il Leone d’oro: la parte di Seraphine le regala un successo clamoroso» (’La Stampa” 20/10/2003). «L’attrice simbolo della Francia. [...] La prediletta di Vadim, che fu suo compagno, di Polanski, Truffaut e Ferreri, ha avuto spesso fortunate esperienze in Italia, oltre alla love story con Mastroianni, da cui è nata Chiara. Ha lavorato con Bolognini e con Festa Campanile, sperimentando poi l’arte della commedia all’italiana con due maestri come Dino Risi, che nel ”76 la diresse in Anima persa con Gassman, e Mario Monicelli, che dieci anni dopo la mise nel cast di Speriamo che sia femmina. Dai ricordi, oggi, dei due registi, escono però due Deneuve diverse. ”La mia - dice Monicelli - è una donna civile, brillante, grande professionista che si offrì personalmente di partecipare al film soprattutto, credo, per misurarsi con la Ullmann, perché amava il progetto della commedia al femminile”. Diva e divina? ”Macché, niente capricci. Fuori dal set Catherine è una donna che parla di tutto e non solo di cinema e pettegolezzi. E poi in un film pieno di star, ciascuna giocava abilmente a fingere di non esserlo: per cui tra lei, Liv, la De Sio, la Sandrelli, la Cenci, la Della Rovere, tutte sceglievano la roulotte più povera, l’orario mattutino più punitivo, il trucco più difficile, la prova più lunga, per dimostrare soprattutto alle colleghe il proprio spirito di abnegazione”. In quel momento l’attrice era legata a Mastroianni: ne parlava? ”Con gran tenerezza. Come tutte le donne di quel bambinone di Marcello, anche lei faceva tre parti, l’amante, l’amica e la mamma”. Donna fredda? ”Certo, lo era caratterialmente, non aveva grandi slanci e neppure grandi esigenze, perché tra le due anime francesi, quella nordica della Manica e quella mediterranea, in lei era la prima a vincere”. ”Per me la Deneuve è una grande attrice e una bella donna con cui però ho avuto un rapporto tempestoso”, racconta invece Dino Risi. ”Quando girammo Anima persa faceva vita ritirata, per suo conto, nessuno di noi due ha davvero tentato la via dell’amicizia: e quando finimmo, mi arrivò poi una sua lettera di insulti perché affermava di non essere stata abbastanza coccolata e che io non mi ero occupato di lei. Mi scusai, anche se non ne vedevo la ragione; ci incontrammo anni dopo a Miss Italia, concludendo con un abbraccio”. Cos’era, gelosia? ”Era gelosa di Gassman, come accadeva ai colleghi nei miei film, dato il rapporto speciale con Vittorio: gli attori, si sa, sono tutti bambini, soffrono di gelosie. Specie con gli attori francesi, Trintignant a parte, mi accadde spesso di trovarmi in difficoltà. Aveva ragione Cocteau quando diceva che il francese è un italiano di cattivo umore. Vale anche per madame Deneuve”» (Maurizio Porro, ”Corriere della Sera” 21/10/2003). «Quindici anni fa sono stata definita la prima donna di Francia, simbolo della Repubblica. Non nego che la cosa mi abbia abbia fatto molto piacere. Sono stata pure inserita da una rivista importante nella lista delle cento donne più belle del mondo. Ma tutto questo è finito. Ora cerco di vivere senza il peso della bellezza» (s.a.n, ”La Stampa” 28/8/2002). «Con due registi la Deneuve ha avuto rapporti ben poco idilliaci. Il primo è stato Buñuel. Con Tristana e Bella di giorno ha contribuito in maniera decisiva a creare il mito Deneuve, ma lei resta fredda: ”Ha una visione degli attori abbastanza riduttrice. Penso si sia detto che, se ero il personaggio, dovevo avere il ruolo. Punto e basta. Credo pensasse che gli attori sono importanti, ma che non sono l´essenziale. Del resto, parlava poco agli attori”. Ancora peggiore il ricordo di Marco Ferreri. In questo caso non si tratta tanto dei rapporti fra regista e attori, ma del suo ”rapporto con la vita. Mi metteva a disagio. Lo trovavo ambiguo, forse perché soffriva del fatto che i suoi film di successo non erano i più grandi [...] Non era nemmeno gentile. I nostri ultimi incontri sono stati ruvidi, è stato molto aggressivo con me, quasi violento”. All´estremo opposto c´è André Téchiné: ”E´ molto riservato, ci siamo intesi bene subito, ma il rapporto d´amicizia nasce sulla durata [...] E´ gente che sa veramente quel che vuole. Truffaut e Téchiné si davano tempo per lavorare, per provare, mentre oggi bisogna soprattutto girare alla svelta”. Truffaut era l´anti-mondano per eccellenza: ”La sua relazione era a quattr´occhi, epistolare, ma poteva essere a suo agio sulla scena e anche scherzare per presentare un film”. Anche von Trier sa quel che vuole e la Deneuve apprezza gli uomini determinati, anche non facili: ”E´ difficile prepararsi con Lars, bisogna essere sempre in guardia, ma pronti a scattare all´istante, non preparare niente ed essere in osmosi con lui, bisogna seguirlo. Interattivo”» (Giampiero Martinotti, ”la Repubblica” 22/4/2004).