varie, 22 febbraio 2002
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DE NIRO Robert New York (Stati Uniti) 17 agosto 1943. Attore • «Negli anni Settanta, con film come Taxi Driver e Toro scatenato si è affermato come il più grande attore della sua generazione
DE NIRO Robert New York (Stati Uniti) 17 agosto 1943. Attore • «Negli anni Settanta, con film come Taxi Driver e Toro scatenato si è affermato come il più grande attore della sua generazione. Dei ruoli che hanno finito per definire la sua persona, nel senso che se c’era lui doveva essere un film serio, un dramma che rappresentava qualche spostato o emarginato della società con classe e intensità. Poi, negli ultimi anni, ha sorpreso il suo pubblico con Wag the dog, Analyze this, e soprattutto il grande successo di Ti presento i miei. Tre commedie una in fila all’altra, in cui il celebre ”method actor” si è ritrovato a recitare a fiano di attori come Ben Stiller e Billy Crystal» (Lorenzo Soria, ”La Stampa” 25/3/2001). «L’abbiamo tanto amato. E continuiamo ad amarlo. Come si potrebbe altrimenti? Lui, Robert De Niro, Bob, con la sua faccia piena di rughe ridenti e di guizzi di luce dagli occhi, il sorriso che in un lampo sa trasformarsi in un ghigno ironico, l’espressione del gatto che ha mangiato il topo di chi ha capito tutto della vita, e se la mangia a grandi bocconi. Bob De Niro, da bambino detto Bobby Milk per il suo pallore, nato sotto il segno del Leone a Little Italy, figlio di un apprezzato pittore (Robert anche lui), di una mamma pittrice, Virginia Admiral, e della cultura del Village, amico d’infanzia di Martin Scorsese con cui percorreva da piccolo selvaggio le ”mean streets” di Manhattan [...] E noi continueremo ad amarlo, anche se recentemente ci ha dato qualche delusione. Il nostro eroe, colui che per lunghi anni, in tempi di attori interessanti piuttosto che belli, è stato il più desiderabile e il più desiderato tra le teste pensanti del mondo del cinema, colui che è stato Travis Bickle nel Taxi Driver del suo amico Scorsese (1976), l’aristocratico Alfredo Berlinghieri del bertolucciano Novecento (1976), il malinconico saxofonista Jimmy Doyle di New York New York(1977), il fitzgeraldiano Monroe Stahr di Gli ultimi fuochi (1978), il tenace Michael di Il cacciatore (1978), l’immenso Jack La Motta di Toro scatenato (1980), il Noodles di C’era una volta in America (1984), per non dire il ”padrino” giovane, da almeno due lustri ha perso il suo grande e smagliante profilo di attore. Certo c’è stato il suo Al Capone in Gli intoccabili di Brian De Palma, il satanico personaggio dagli occhi gialli di Angel Heart, il mercenario pentito di Mission, il toccante ”addormentato” di Risvegli, l’esagitato pazzo di Cape Fear. Ma il grande attore trasformista, istrionico, sopra le righe, sotto le righe, eccessivo, controllatissimo, grasso, magro, buffo, tragico, da qualche tempo ha perso la sua bussola personale, e il suo profilo. E, cosa di cui ci dispiace ancora di più, non se ne dispiace. Noi siamo spiacenti perché negli ultimi anni, fatta salva la prova in Casinò, che, come ai vecchi tempi, lo ha visto in un grande film del suo amico Scorsese, e salvo lo scontro tra titani di Heat - La sfida di Michael Mann, in cui si confrontava in un duello di bravura e di ombre con il suo dioscuro e rivale Al Pacino, Robert De Niro ci ha offerto solo piccoli personaggi, filmetti da poco, risate facili, grinte prevedibili. Noi non siamo contenti, ma lui, probabilmente, sì, e delle nostre delusioni se ne frega perché dalla vita ha avuto tutto, e può ignorarci. [...] Tanti bei film, tante belle donne, tanti amori, tanti soldi, conquistati con i guadagni dei film e moltiplicati, negli ultimi quindici anni, da un prodigioso talento di businessman. E, nelle pause di questa conquista del potere economico, anche la soddisfazione di aver fatto da regista un grazioso film, tenero e divertente, Bronx, presentato a suo tempo alla Mostra di Venezia e da tutti salutato come il debutto fortunato in una nuova carriera. Ora il genio delle interpretazioni naturalistiche, delle interpretazioni che gli costavano ore di palestre o chili e chili di torte (quando si trattava di mettere su peso), delle identificazioni totali con i personaggi, fa pigramente il verso a se stesso in piccoli film (divertenti, sì, divertenti, e fonte di tanti e tanti milioni di dollari) come Terapia e pallottole, o Ti presento i miei o i loro sequel, oppure con comparsate profumatamente pagate (vedi il caso Jackie Browndi Tarantino), oppure con thiller di poco peso. Il suo tempo e la sua energia, l’attore-simbolo della stagione della rinascita del cinema americano la dedica ora ad altro. A costruire un bellissimo gruppo di cinema a TriBeCa (la punta sud di Manhattan). A sponsorizzare il festival che da due anni vi si è installato e che, nelle intenzioni e nei risultati, dovrebbe rianimare una zona dopo la tragedia delle Twin Towers ha sofferto di una profonda depressione. A proporsi come portavoce di quella parte della città (ha dato la sua voce a un documentario tv, 9/11, sulla tragedia delle Torri). A curare i meravigliosi e costosissimi ristoranti di ispirazione fusion o giapponese che ha aperto in giro per il mondo, in testa a tutti Nobu, luogo inabbordabile dai comuni mortali, con lunghissime liste di attesa e un successo, gastronomico e finanziario, notevolissimo, oppure il più abbordabile ma sempre fortunatissimo Tribeca Grill, dove le folle arrivano sperando di sfiorare il dio. [...] Quando i grandi alla cui schiera è appartenuto - da Al Pacino a Warren Beatty, da Robert Redford a Clint Eastwood – continuano (o provano) a fare cose importanti e ambiziose, De Niro ha scelto di essere soprattutto un miliardario, un attore della nuova era che ha preso in mano il suo destino, che forse si è stufato di ingrassare e dimagrire, di trasformarsi e di travestirsi, ma vuole solo godersi la vita dell’imprenditore di successo. E se gli si chiede perché non ci vuole più dare il suo cinema, il grande cinema, dice che sono affari suoi, che i suoi filmetti gli piacciono. E sono affari suoi anche la sua vita privata, che De Niro ha difeso strenuamente, e (ancora una volta) con successo. I ”gossip columnist ” - i giornalisti specializzati in pettegolezzi - vanno a nozze con lui perché non si prende mai la briga di smentire. I gossip su figli, amori, matrimoni (il più recente quello con la bella Grace Hightower), scandali, call girls, i gossip sulle paternità vere o false che gli vengono attribuite non lo sfiorano» (Irene Bignardi, ”la Repubblica” 15/8/2003). «[...] la meticolosità con cui ha preparato personaggi grandiosi. Non si tratta soltanto di ingrassare trenta chili per impersonare il pugile Jake LaMotta in Toro scatenato, di dimagrire diciotto chili per interpretare Taxi Driver, di procurarsi muscoli da culturista per mettere paura in Cape Fear. Da parte d’uno degli uomini più popolari del cinema americano degli Anni Settanta e Ottanta, le mutazioni, la capacità di essere un prete cattolico corrotto (L’assoluzione) come la Creatura di Frankenstein, Lucifero (Angel Heart) come un sassofonista jazz (New York, New York), un poliziotto sordo come un cineasta di sinistra perseguitato, nasce da una straordinaria intelligenza artistica, dalla combinazione di anarchia e disciplina che è il suo metodo di lavoro, da un gran talento d’attore. Tutto è recitazione, in De Niro: oppure, posa. La bravura impiegata nel recitare il vecchio ex gangster sconfitto dall’amore impossibile e dell’amicizia tradita in C’era una volta in America di Sergio Leone, oppure nell’interpretare il vittorioso aspirante alla celebrità cafone, invadente e delinquente in Re per una notte di Martin Scorsese, è la stessa impiegata nell’esistenza quotidiana: i modi da semplice nascondono un intellettuale newyorkese, figlio di due pittori, frequentatore all’Actor’s Studio delle lezioni di Stella Adler, di Lee Strasberg; le spalle curve, dimesse, l’andatura sfuggente, nascondono un metro e ottanta di altezza. Un attore magnifico. Ultimamente, meno del solito: è come se, da quando ha iniziato l’attività produttiva e industriale con le sue società Tribeca, recitare gli interessasse relativamente. Interpreta commedie o film d’azione anche insulsi (Terapia e pallottole, Ti presento i miei, Showtime, Ronin, Flawless) che gli aggiungono nulla, che magari lo divertono per autoparodia: può essere divertente fare un personaggio di durissimo agente della Narcotici per lui di cui Bob Woodward scrive nella esemplare biografia Chi tocca muore: ”John Belushi lo adorava, lo chiamava Bobby D., avevano tirato coca insieme...” raccontando l’esplosione di pianto di De Niro di fronte a Belushi morto per overdose nel 1982, nel suo chalet numero tre allo Chateau Marmont di Los Angeles. Ma che attore grande. Da sempre, da uno dei primi personaggi in Ciao, America di Brian De Palma (1968), uno ossessionato dall’uccisione del presidente Kennedy, sino a uno degli ultimi personaggi in The Score di Frank Oz (2001) in dialogo memorabile con Marlon Brando sul bordo d’una piscina. Quando ha provato a dirigere film (Bronx, 1993) il risultato non è stato cattivo ma qualsiasi: in compenso ha scelto benissimo i suoi registi (De Palma, Corman, Coppola, Leone, Cimino, Alan Parker, Bernardo Bertolucci che l’ha diretto a perfezione in Novecento) ed ha avuto la fortuna di incontrare Martin Scorsese. Fu nel 1973, per Main Street ambientato a Little Italy. Sino al 1995 di Casinò, regista e protagonista hanno realizzato molti bellissimi film, raccontando un’America sentimentale e criminale. Indimenticabile, creando mondi paurosi e seducenti, interpretando meglio di chiunque lo spirito degli Anni Ottanta e la natura ambigua dell’uomo» (Lietta Tornabuoni, ”La Stampa” 15/8/2003). «Parlare non è il suo forte. Per colpa del ”metodo”, forse. Quello che ha appreso all’Actor’s Studio con Stella Adler e Lee Strasberg. Se non ha un ruolo in cui calarsi, sembra svuotato. Una bella maschera spietatamente inespressiva. Un italoamericano come tanti che mastica gomma americana e dietro il sorriso sardonico nasconde una proverbiale timidezza» (Giuseppe Videtti). Possiede la TriBeCa Productions e il Tribeca Grill, ristorante decorato con gli enormi dipinti di suo padre, non lontano da Bleeker Street, West Village di New York: «Il quartiere dove vivevo la mia vita da ragazzo di strada, tra Little Italy e Washington Square. Come spesso succede, non avevo la stessa vocazione per l’arte che avevano i miei (anche sua madre era una pittrice, ndr). Ma per fortuna non ho mai neanche provato attrazione per la violenza». Suoi attori preferiti: Marlon Brando, Edward Norton, James Dean, Montgomery Clift, Sean Penn, Geraldine Page. «Sono stato derubato una o due volte. L’ho presa benone. Non ho avuto neanche l’impulso di prenderli a calci nel culo» (’la Repubblica” 5/2/2001).