22 febbraio 2002
Tags : Luce D’Eramo
DEramo Luce
• . Nata a Reims (Francia) il 7 giugno 1925, morta a Roma il 6 marzo 2001. Scrittrice. «La sua vita assomiglia maledettamente a un romanzo. Tutte le volte che l’ha raccontata nei suoi libri, nelle infinite interviste, non riusciva a non meravigliare l’interlocutore che continuava a chiedergli e a richiedergli di ricominciare da capo: e lei lo faceva, ogni volta con nuovi particolari. [...] Nata a Reims nel 1925, vive un po’ anche a Parigi. Poi, nel ’39, il rimpatrio. Il padre, che è un architetto, diviene segretario del Fascio. In casa ferve una passione politica che infiamma anche lei, già portata di natura ad amare mitologie di trionfi e di glorie, la Grecia, Roma. Anzi, Luce, educata a senso unico, adolescente in cerca di identità forti e assolute, si spinge più in là, ama gli ideali eroici del nazionalsocialismo. Quando cade il Fascismo, nel ’43, non riesce a credere ”a tutta quella gioia che vedevo intorno a me”. Per sfida si mette la divisa fascista e va in treno a Roma: la gente non sa come guardarla. Lei è offesa, indignata di tanto tradimento. Se il padre diventa sottosegretario al ministero della stampa e propaganda di Salò, lei fa di più, scappa di casa: si mette una foto del Duce e una di Hitler nello zaino e si iscrive volontaria nella formazione ausiliaria dell’esercito tedesco per il reclutamento di manodopera. Finisce in una fabbrica di Francoforte, come operaia. ”Volevo capire” ha detto tante volte. Chissà se fu davvero così o se cercava anche lei ”la bella morte” o qualcosa del genere. Comunque dopo uno sciopero, finisce in galera. La tirano fuori perché cerca di salvare una che vuole impiccarsi: le compagne di baracca, le operaie, la considerano una traditrice finché lei non si avvelena. Allora la soccorrono. Gran confusione, supponiamo, sicuramente una infinita irruenza: la rimpatriano, ma lei, pazza, stregata o che altro, torna in Germania, finisce in un lager: tredici settimane a Dachau, dove scopre fame, sporcizia, morte, lo schifo di quello in cui aveva tanto baldanzosamente creduto. Evade in una Germania dove già regnano il disordine, la babele degli sbandati e le bombe degli Alleati fioccano giù. Peggio, a Magonza, dove fa la cameriera all’hotel Koenigs, dopo un bombardamento, un muro le crolla addosso e lei, a 19 anni, rimane paralizzata per sempre. Un romanzo, l’avevamo detto. Anzi, un vero romanzo, Deviazione, il primo, che fu pubblicato nel 1979, e poi tradotto in tutto il mondo, dalla Germania al Giappone. Con una forza rara, come forti erano la maggior parte delle sue affermazioni, la vita va avanti. Traduzioni, ripetizioni, un matrimonio difficile, un figlio, Marco. E’ strano rileggere quest’esordio alla vita di Luce D’Eramo, lei, una donna di sinistra, come tutti l’abbiamo sempre percepita. Con i suoi libri, sempre così attenti all’’altro”, alla necessità di mettercisi dentro, di rispettarlo: come in Nucleo Zero, del 1981, in cui racconta la storia di un gruppo terroristico e affronta il tema della lotta armata in Italia (’sentivo tattilmente, proprio col corpo, il loro freddo, il loro essersi messi contro tutti, la loro paura... Mi sentivo braccata, come loro, ma col cervello lucido”). Per scrivere un libro sugli anziani, Ultima luna (1993), si ricovera in un pensionato, peregrina per cinque anni da una clinica all’altra. E a Partiranno (1986), un romanzo di fantascienza sulla presenza segreta di extraterrestri (gli ”altri”, appunto) sulla terra, ci arriva perché i marziani in letteratura venivano sempre descritti come ”orridi mostri che gli umani dovevano annientare”. Anche Una strana fortuna del 1997, vuol avvicinarsi all’inavvicinabile, la follia. Vanno ricordati poi i suoi saggi, Raskolnikov e il marxismo e Cruciverba politico, dedicato alla morte di Feltrinelli, un altro libro su Ignazio Silone. E l’ultimo significativamente intitolato Io sono un’aliena. Era un’aliena? Certo era una donna speciale: quando raccontava della cerniera che divideva la sua vita prima e dopo la guerra, prima e dopo l’infermità, diceva con coraggio: ”per anni mi sono costruita un passato immaginario, volevo presentarmi come una vittima, una deportata, mi vedevo come una che ha superato tutto senza essere scalfita da niente... E omettevo, eludevo, accantonavo...”. ”Poi”, concludeva, ”scrissi Deviazione e mi liberai di un io che stava lì, ingombrante e macignoso”» (Susanna Nirenstein, ”la Repubblica” 7/3/2002).