Varie, 22 febbraio 2002
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DE RITA Giuseppe Roma 27 luglio 1932. Presidente del Censis • «Nel dicembre 1955 ”un ragazzetto di 23 anni”, Giuseppe De Rita - padre del Censis e di otto figli, nessuno dei quali fa il suo mestiere -, entrava alla Svimez per fondarne la sezione sociologica
DE RITA Giuseppe Roma 27 luglio 1932. Presidente del Censis • «Nel dicembre 1955 ”un ragazzetto di 23 anni”, Giuseppe De Rita - padre del Censis e di otto figli, nessuno dei quali fa il suo mestiere -, entrava alla Svimez per fondarne la sezione sociologica. Cominciava così il suo viaggio di mezzo secolo attraverso l’Italia. Tra le molte parole da lui inventate e imposte al lessico pubblico - sommerso, localismo, macchie di leopardo - ce ne sono due che lo riguardano e in cui si è riconosciuto: ”Nel ’76 a un convegno ecclesiale fui chiamato ’il monaco delle cose’. [...] il Riformista mi ha definito ’arcitaliano’. Mi sta bene. Amo leggere l’Italia dal di dentro. E non sono mai stato così lontano dalla politica. Senza interlocutori”. Per misurare le cose della politica [...] inventò un’altra parola: intenzionalità. [...] ”Moro, che è considerato il politico culturalmente più disposto a lasciar andare le cose, era in realtà il più intenzionale. De Gasperi era più propenso ad affidarsi alle energie sociali: se lo Stato non ce la fa, che si appoggi ai cittadini. La Svimez era nell’orbita di tre grandi poco degasperiani e molto intenzionali: Vanoni, Saraceno, Morandi [...] Fino all’avvento di Ruffolo al ministero del Bilancio, la programmazione eravamo noi e l’ufficio studi dell’Iri. Dossettismo e cassa del Mezzogiorno. Con la Svimez lavorava un gruppo di cattolici comunisti: Balbo, Scassellati, Napoleoni, Paci, guidati da Sebregondi. Cattocomunista oggi è considerato un insulto; non da me, che un poco lo sono ancora [...] Sono stato amico di tutti: De Mita e Craxi, Misasi e Acquaviva; ieri Chiaromonte, ora Fassino. Ma con la politica ho sempre avuto un rapporto di alterità. Per tre volte la Dc mi chiese di fare il sindaco di Roma. Nel 1975 Evangelisti preparò una testa di lista con Andreotti, Bachelet - destinato al Csm - e me. Con Bachelet spieghiamo al cardinale Poletti che la politica non è il nostro mestiere. Allora il cardinale si alza in piedi e dice: ’Ve lo devo chiedere per obbedienza’. Bachelet accetta. Io rispondo in romanesco: ’Cardina’, manco pe’ obbedienza’ [...] Ruini. Nel 1993, dopo che già De Mita aveva provato invano a convincermi, Martinazzoli portò me e Casavola (che doveva candidarsi a Napoli) a cena con il cardinale vicario. Raccontai il precedente di Poletti. Martinazzoli riportandomi a casa mi disse: se lo sapevo, non ti invitavo neppure [...] Goria mi offrì il Mezzogiorno. Poi nel ’92 Amato mi propose di guidare un ministero che accorpasse Bilancio, Mezzogiorno e Partecipazioni Statali. Non me la sentii di lasciare il Cnel, di cui allora ero presidente; e poi sarei stato un pessimo ministro... Giuliano mi chiese solo di tacere fino al giorno dopo, per non indebolirlo. [...]”. Nella sua storia c’è anche una cacciata, proprio dalla Svimez. Nel 1963 Saraceno firma lo storico rapporto. E lo licenzia. ”Il Censis nacque allora. A incoraggiarmi fu Tommaso Morlino, l’intellettuale di Moro: ’Lascia perdere la programmazione, fai fenomenologia’. Dalle idee alle cose. Quando, quattro anni dopo, il ministero del Bilancio pagò i debiti arretrati con il Censis e andammo a festeggiare al ristorante, da George’s, volle venire anche Saraceno: avendoci licenziato, si sentiva un po’ fondatore anche lui. La freddezza però rimase. Al suo funerale mi dissi che non avrei potuto comunicarmi se non l’avessi perdonato. Perdonai. Subito dopo sua moglie Giuseppina, che era la sorella di Vanoni, mi disse che suo marito apprezzava i giovani ma sapeva anche essere cattivo con loro. ’Specialmente con lei’, aggiunse facendomi una carezza”. [...] il suo rapporto con Prodi [...] ”Antichissimo e difficile. Siamo molto simili; forse troppo. Per vent’anni abbiamo fatto vite parallele: eravamo tra i pochi a girare per i distretti, talora a incrociarci; magari lui era dagli artigiani di Treviso, io dagli industriali di Padova... il giorno in cui annunciò l’ingresso in politica mi diede appuntamento in piazza di Spagna. Arrivò circondato da giornalisti. Mi chiese: vieni con me. Rifiutai, ci restò male, e da quel momento ci fu freddezza. Molto tempo dopo ricevetti un biglietto di Parisi: perché fate così? Sono andato a trovare Romano a casa sua a Bologna, siamo rimasti mezza giornata insieme. Poi però mi ha chiesto di sottoscrivere il suo appello per le primarie. Io avevo appena scritto sul Corriere un articolo contro le primarie. Ho dovuto ripetere il no”. Ha detto no anche a Berlusconi [...] ”Nel ’94, quando mi propose di entrare nel suo primo governo. Ma lo fece in modo vago, come suo costume. Nel centrodestra sono amico da sempre di Gianni Letta e stimo Sandro Bondi. Un uomo molto intelligente, anche se troppo dipendente dal capo [...]”» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 9/12/2005) • «Sono un ricercatore sociale, cioè ricerco quello che sta nella società. Odio l’uso del sondaggio indiscriminato, bisogna entrare nella società e cercare di capire, annusare…Nel ’68 scoprii l’economia sommersa a Prato, Valenza, Biella, Fermo, Arzignano… Negli anni Settanta mi sono accorto che questi localismi tenevano in piedi l’economia italiana […] Ho sei maschi e due femmine. Il punto più delicato è stato quando i figli crescevano e io non potevo guadagnare di più. Furono duri gli anni tra il Sessanta e l’Ottanta. Però mia moglie e io abbiamo fatto funzionare la famiglia grazie a una casa che avevo comperato dopo la lunga missione internazionale in Persia. Così non c’era il problema dell’affitto. Mia moglie poi scriveva copioni per la tv dei ragazzi […] Quando eravamo dieci c’erano vincoli di orario mattutino, prima che li accompagnassi a scuola con il pulmino. Ci si dividevano i compiti. Un gruppo faceva i letti, i grandi badavano ai piccoli, i medi comperavano la pizza e il latte per la colazione. Le vacanze le abbiamo fatte tutti insieme nello stesso posto, a Courmayer» (Alain Elkann, ”La Stampa” 4/10/1998).