Varie, 22 febbraio 2002
DE SETA Vittorio
DE SETA Vittorio Palermo 15 ottobre 1923, Catanzaro 28 novembre 2011. Regista • «[...] il maestro, l’autore di Banditi a Orgosolo , Un uomo a metà e del televisivo Diario di un maestro (“Lo portò in tv Raffaele La Capria, nessuno ne ha fatto un dvd, non c’è stata diffusione”) [...] quei piccoli-grandi capolavori degli anni ’50; dieci, intensi minuti di storie di mare e di terra, da Lu tempu di li pisci spata a Isole di fuoco, da Pasqua in Sicilia a Contadini del mare a Pescherecci: “E pensare che all’epoca i miei documentari - sorride - erano destinati a venire proiettati prima del film, come un antipasto. E la maggior parte delle volte l’esercente li cassava, passava subito al pezzo grosso. Un giorno, qualche proiezionista si dev’essere distratto e la gente ha iniziato a conoscermi [...] Ho raccontato il lavoro manuale, quello accompagnato dal canto, ritmato dalle danze, mi sono appassionato alla cultura contadina che racchiude tutte le espressioni dell’uomo. I motori, il progesso, hanno spazzato via tutto questo. Quel progesso che spesso può trasformarsi in flagello: l’arte, che dovrebbe interpretare il presente, oggi è impazzita, si è fatta astratta. Ora abbiamo bisogno di penicillina più che di termometri: il cinema globalmente è malato e non assolve più il suo compito”. [...]» (Leonardo Jattarelli, “Il Messaggero” 14/4/2006) • «In occasione del suo sessantesimo compleanno, Martin Scorsese ricevette in dono dai produttori del Mio viaggio nel cinema italiano sette documentari di Vittorio De Seta. Il regista americano rimase assolutamente folgorato dalla purezza registica del collega italiano, e mentre ammirava le immagini della terra che avevano abbandonato i propri nonni, si commosse a scoprire lo straordinario lavoro misconosciuto di un “antropologo che parlava il linguaggio di un poeta”. Quando ricevette in dono pochi mesi dopo il documentario Detour realizzato da Salvo Cuccia su De Seta, si entusiasmò al lavoro del giovane cineasta siciliano al punto di definirlo “eccitante e meraviglioso”, e decise di celebrare l´anziano maestro italiano nell’ambito del Tribeca Film Festival, dove Scorsese in persona ha voluto presentare i documentari di De Seta su una Sicilia nella quale “la luce del giorno è così preziosa e le notti sono totalmente buie e misteriose” [...] Scorsese definisce Banditi a Orgosolo un capolavoro assoluto, mentre Jack Nicholson ha raccontato di averlo studiato [...] “[...] Sia nei documentari che in un film come Banditi a Orgosolo il pubblico si trova a confronto con un tipo di vita che in occidente oggi è scomparso. Per due milioni di anni la vita dell’uomo ha mantenuto gli stessi ritmi e le stesse tradizioni, ma negli ultimi cento anni c’è stata un’accelerazione frenetica e impensabile. I pastori ed i pescatori che ho raccontato appartengono a quella dimensione”. La società esterna è percepita spesso come estranea se non addirittura ostile. “È così che normalmente la percepiscono questi personaggi. Ma è anche una costante drammaturgica del mio lavoro: nel documentario In Calabria, realizzato nel 1993 ho cercato di raccontare la polemica nei confronti della società industriale”. Banditi a Orgosolo ha uno stile estremamente documentaristico. “Ritengo che il confine tra i due linguaggi sia molto labile. Grazie ad operazioni lontanissime dalle mie come quelle di Michael Moore viviamo oggi una rinascita che fa riflettere sul lavoro di rappresentazione e manipolazione della realtà. E su come ogni autore risponda alla domanda di necessità che sente quando sceglie di dedicarsi al cinema. Ma per molti anni i documentaristi hanno vissuto in una situazione di semi-clandestinità come i terroristi” [...] ha realizzato pochi lungometraggi e si è dedicato molto al documentario e alla televisione. “Ritengo che non ci siano linguaggi inferiori, e sono orgoglioso ad esempio del risultato di Diario di un maestro. Tuttavia le mie scelte sono state quasi sempre obbligate. La televisione è stato un approdo successivo al responso critico di Un uomo a metà: con l’eccezione di Moravia e Pasolini la critica parlò di ‘calligrafismo’ e ‘psicoanalisi da quattro soldi’. Compresi in quella occasione che un film intimista può essere attaccato più facilmente di uno politico”» (Antonio Monda, “la Repubblica” 27/4/2005) • «[...] Il cinema è soprattutto un processo creativo. Qualcuno si sarebbe mai sognato di chiedere a Van Gogh un preventivo dei colori che avrebbe impiegato per un quadro? [...] D’origine vengo da una famiglia aristocratica palermitana ma fino ai vent’anni non capivo niente della vita. Poi sono stato due anni prigioniero in Germania, da ufficiale, e lì ho conosciuto nelle circostanze più dure il popolo, come si diceva allora. Quando ho cominciato a fare il regista ho sentito di dover saldare un debito e per questo ho raccontato la vita dei pescatori, dei contadini, dei minatori, di chi non aveva voce. Da lì al marxismo il passo è stato breve. Col tempo come tanti sono passato per la psicanalisi, Jung, e per un riavvicinamento alla religione. Quella di don Milani e di Madre Teresa. Sa chi è stato la mia guida spirituale? Tolstoj [...] quelli della mia classe mi vedevano come un comunista, e i comunisti come un aristocratico di cui non fidarsi. Non sono mai riuscito ad “appartenere”. Del resto penso che un artista debba essere indipendente. Lo dico con modestia istintiva, che non sembri presuntuoso [...] L’arte, se c’è e quando c’è, è un po’ inconsapevole. Quando ho fatto i primi documentari non sapevo che stavo documentando un mondo che stava scomparendo. Adesso ci si accorge che con incredibile leggerezza abbiamo buttato un patrimonio che si era accumulato nella storia dell’uomo, i dialetti per esempio. C´è stata un’infatuazione per il progresso credendo che quello tecnologico fosse automaticamente anche morale, civile e spirituale. Tutto ciò che ha avuto il coraggio di denunciare Pasolini, il maggiore intellettuale del secolo [...] Dopo Diario di un maestro mi proposero un film con Burt Lancaster, avrei guadagnato un sacco di soldi ma non ci ho pensato neanche un momento. Non sarei stato capace di adattarmi a un sistema industriale che mi è del tutto estraneo. Mi avrebbero cacciato dopo una settimana» (Paolo D’Agostini, “la Repubblica” 14/6/2006).