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 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

DE ZAN Adriano. Nato a Roma il 20 maggio 1932, morto il 24 agosto 2001. Telecronista Rai, voce del ciclismo in Italia

DE ZAN Adriano. Nato a Roma il 20 maggio 1932, morto il 24 agosto 2001. Telecronista Rai, voce del ciclismo in Italia. «Entrato in Rai nel 1952, aveva fatto la sua prima telecronaca per un Italia-Svezia di tennis, incontro di Coppa Davis. Successivamente si occupò di nuoto, atletica leggera e pugilato, ma sempre come secondo telecronista, e fu designato a commentare i Mondiali di ping pong del ’52. Il passaggio al ciclismo avvenne nell’estate del ’53, quando fu affiancato come telecronista a Fausto Rosati. Quest’ultimo l’anno successivo lasciò il mondo del pedale e De Zan cominciò così la sua lunga avventura nello sport della bicicletta, arrivando a commentare quasi cinquanta Giri d’Italia e una trentina di Tour de France. Seguì inoltre tutte le Olimpiadi e i Mondiali di ciclismo a partire dal 1954. Per la Rai fu anche il conduttore della Domenica Sportiva tra il 1976 e il 1983 e del Processo del Lunedì nell’edizione ’92-’93. [...] Resteranno per sempre nella storia della tivù e dello sport i suoi suggestivi commenti e la caratteristica cadenza della sua voce che spesso lo portava a pigiare sulle consonanti e sulle doppie – ”Cessscutti, Sgarrrrbossa, Passssuello” - che davano ancora più verve e pathos alla sue telecronache nelle quali sapeva riconoscere a prima vista anche i corridori più anonimi e oscuri [...] Il padre veneziano era un importante tenore di operette, nonché bravo attore, ballerino, regista, e al figlio aveva insegnato il parlare cantato [...] Ha cantato telecronache, soprattuttissimo di ciclismo, con il crescendo sapiente e la pausa giusta, per quasi mezzo secolo: e spesso ha ancorato - fuori trasmissione si capisce, parlando con noi amici - il suo lavoro a quello di protagonista di un’operetta, tutto teso al lieto fine, comunque. Le sue apparizioni in video sono state quasi quindicimila, nonostante la rarefazione degli ultimi quattro anni, da quando cioè la pensione lo ha costretto a fare un po’ di surplace: c’è stato tempo per mandare in scena un colossale repertorio, e anche per inventare tanta commedia dell’arte. Il suo primo ciclismo era feudo di Mario Ferretti, il genio dell’uomo solo al comando, travolto dalla sua voglia di vita, cioè debiti, donne, champagne, nel modo più canonico e tutto sommato più divertente, con fuga non ciclistica a Santo Domingo. Adriano, praticissimo milanese nato per caso a Roma, subito significò la realtelecronaca, la serietà massima, l’amore per il ciclismo messo in prosa, senza lirica perigliosa. Imparò a riconoscere i corridori anche da loro apparizioni subliminali. De Zan ai raduni di partenza, nel grande cazzeggio pre-gara al quale spesso prendevamo parte con lui, scrutava i corridori per studiarli, incasellava gesti minimi ma tipicizzanti, neanche l’ultimo fiammingo, un Van Kualkecosen, gli sfuggiva. Imparava la buona pronuncia francese e nederlandese dei cognomi più ostrogoti, e la ammollava bene. Possessore di un bell’umorismo, ogni tantissimo si lasciava andare un po’ in trasmissione, con un gioco di parole, un ricordo scherzoso, ma si bacchettava in diretta, richiamandosi all’ordine (quando disse che i corridori erano di conserva, ”intendo uno di fianco all’altro, non intendo di marmellata”). Usava Bartali commentatore con affetto, cautela, perizia. Evocava Coppi, il suo grande amore, con pochi ”io c’ero” e tanta statistica. Al Giro d’Italia dava il massimo in telecronaca, il meglio la sera, a cena, quando si faceva tardi in tornei di barzellette, guai a chi perdeva il turno senza raccontare la sua, o in grandi campionati di rievocazioni: sua (o di Zavoli?) quella memorabile del radiocronista Adone Carapezzi che a un Tour finse di leggere un titolo di giornale sulla Nazionale calcistica brasiliana abituata, in quella sua tournée, a sempre stravincere su squadre francesi, e recitò ”a Lourdes, Lourdes-Brasile 3 a 0”. Per ricordare insomma come si viveva diversamente da adesso il ciclismo, lo sport, il giornalismo, la serata. Il pissi-pissi bao-bao era casomai Coppi che dopo l’arrivo si metteva due dita in gola, chissà mai perché: ma soprattutto chissà se era poi vero. Altro che l’ematocrito con cui oggi si pasteggia nel dopocorsa. Non ci sarà più un altro come lui, e infatti Davide, suo figlio, è telecronista diverso, nel pieno degli splendidi (dicono) tempi moderni, non ci sarà perché c’è un altro ciclismo, c’è un’altra televisione (Adriano mica amava la tecnologia spinta, le riprese tecnicamente avanzatissime ma secondo lui senza anima). E sono diversi anche quelli che si pongono davanti al video, benché ne rimangano molti dei ”vecchi tempi” di quando Adriano cominciò. Forse è rimasto abbastanza eguale il pubblico di strada, con quei ciclisti amatori che lasciano la bici sul prato, come un tempo si lasciava il cavallo, e che sembrano tanti De Zan dei giorni in cui Adriano si metteva in braghette e maglietta e andava a pedalare, per fare il ciclismo ma anche per fare meglio il giornalista» (Giampaolo Ormezzano, ”La Stampa” 25/8/2001).