Varie, 22 febbraio 2002
DI CANIO Paolo
DI CANIO Paolo Roma 9 luglio 1968. Allenatore di calcio. Dal 2011/2012 sulla panchina dello Swindon Town (quarta serie inglese). Ex calciatore. Lanciato dalla Lazio, vi è tornato dopo un lungo girovagare nel 2004/2005. In Italia ha giocato anche con Juventus (con la quale ha vinto la coppa Uefa 1992/93), Milan (scudetto 1995/96), Napoli, poi si è trasferito in Scozia al Celtic e infine in Inghilterra, prima allo Sheffield Wednesday, poi al West Ham, infine al Charlton. Ha vinto il premio Fair Play, assegnato dalla Fifa per il 2001: contro l’Everton rinunciò ad un gol per far soccorrere il portiere avversario. Ai tempi dello Sheffield fu squalificato undici giornate per uno spintone all’arbitro Alcock che lo aveva espulso contro l’Arsenal (26 settembre 1998). «Esploso a Roma, discontinuo a Torino, rinato a Napoli, incompreso a Milano, maturato a Glasgow, cacciato a Sheffield, idolatrato a Londra. La parabola sportiva di Paolo Di Canio, potrebbe sintetizzarsi in queste poche battute. Ma niente come le sue stesse frasi possono dipingere i tratti fondamentali di questo ragazzo [...] passato dalle maxisqualifiche al premio Fair Play della Fifa”. È cresciuto nelle giovanili della Lazio e in questa squadra esordì, segnando un gol decisivo in un derby capitolino, il primo che si giocava dopo molti anni. Giocatore di talento, ma anche tifoso della squadra in cui militava, fu presto suo malgrado ceduto alla Juventus. Un beniamino del pubblico laziale, dunque, un calciatore-tifoso in un’epoca che sembra non prevedere questa parte in commedia. Ma sono solo questi i motivi che fanno oggi di Di Canio un ‘mito’? [...] Paolo Di Canio nasce nel 1968 in un ‘lotto’ (agglomerato di case popolari) del Quarticciolo, quartiere proletario romano, periferia in cui la vita è dura, i sacrifici tanti, ma in cui non mancavano quelle tipiche forme di solidarietà e vita comunitaria che oggi sembrano scomparse. Paolo è figlio di un operaio edile, un muratore, come dice con un orgoglio che gli fa onore, rivendicando al mestiere del padre uno status spesso misconosciuto: [...] La vita di Paolo è come tante altre, al Quarticciolo come a Pietralata come a San Basilio: sei persone in due stanzette; i soldi che non bastano mai; i ragazzi che trasformano gli spazi di cemento per stendere il bucato in campi da calcio dove occorre dribblare anche i pali di ferro che tengono su le corde; il furto di una sgangherata bicicletta del fratello maggiore per sentirsi re per un giorno (il “re del Quarticciolo”), dividendo con gli amici pagnottelle e gettoni di sala-giochi ricavati dalle diecimila lire avute in cambio della “refurtiva”; il sogno di una promozione sociale che sembra per un momento trovare la strada del cinema, come in Bellissima! di Visconti, con madri ingenue e “cinematografari” con poco cuore e tanta fame di soldi. Poi venne il calcio. Là dove migliaia di ragazzini vedono naufragare sogni e speranze coltivate in anni di allenamenti e sacrifici, i pochi che riescono diventano “re” davvero, e non per un solo giorno. Gli inizi sono difficili: il carattere di Di Canio è scontroso, quasi rissoso, impulsivo. La voglia di ribellarsi all’ingiustizia, vera o presunta che sia, l’incapacità di tacere con un pizzico di opportunismo, gli creano sempre qualche problema: sarà una costante della sua carriera. [...] Un infortunio leggero, curato male mentre è in prestito alla Ternana, porta quasi all’amputazione di una gamba (sembra una storia alla Caro diario). Poi la carriera prende il volo: Lazio, Juventus (con Maifredi e Trapattoni, con cui litiga furiosamente), Napoli (con Lippi, che Di Canio rifiuta di seguire di nuovo alla Juve), Milan (con Capello: “Da quel momento, più sto lontano da Capello, meglio è”). Infine, la scelta del calcio anglosassone, prima al Celtic (la formazione della pugnace minoranza cattolica di Glasgow), poi allo Sheffield Wednesday, infine al West Ham di Londra, dove resta molti anni. Cresce in bravura, ma soprattutto è sempre un idolo per i tifosi. Una carriera importante, con il limite di doversi sentire sempre protagonista e l’incapacità di convivere con quelle società nelle quali, appunto, essere protagonista è tutt’altro che facile (ma ora all’orizzonte sembra profilarsi il Manchester Utd).[...] L’episodio più curioso è quello vissuto con due amici del Quarticciolo... romanisti. Riconosciuto come giocatore della Lazio e al centro di una rissa con alcuni tifosi giallorossi, i due ragazzi che sono con lui non solo si battono al suo fianco, e lo aiutano a eclissarsi prima dell’arrivo della polizia, ma in carcere “convincono” gli assalitori a non fare il nome del calciatore, per non stroncarne la carriera: l’amicizia come valore al di là del tifo. Per un calciatore così, che si definisce innanzitutto “uno che lotta”, che non si tira indietro, nella strada, nella vita e sul campo, l’incontro con il calcio inglese è quasi un destino. E qui un mondo da scoprire, per il lettore italiano, sia pure con qualche apprezzamento esageratamente generoso verso i sudditi di Sua Maestà (in tutto il libro, scritto per il mercato inglese, un occhio al marketing è fin troppo presente). Infine, l’inferno e il paradiso. Prima, con lo Sheffield Wednesday, una lunga squalifica per aver spintonato un arbitro. Quindi, con la maglia del West Ham, la fama internazionale, e il premio della Uefa per il fair-play, per aver rinunciato a segnare un gol quasi certo per dar modo di soccorrere immediatamente il portiere avversario infortunato. Un episodio che ha fatto meritatamente il giro del mondo, un gesto istintivo che ha riportato positivamente in primo piano il personaggio. Infine, la politica. Si sa che Di Canio è di destra, e anche di recente alcuni suoi apprezzamenti su Mussolini hanno fatto clamore. Nella sottolineatura di questo aspetto c’è molto della “maledizione Lazio” - la società forse più maltrattata dai media: tutto ciò che di negativo può riguardarla viene cucinato in ogni salsa. Per capire: il fatto che Totti abbia partecipato a un banchetto elettorale di un candidato di Alleanza Nazionale non ha provocato clamore, la notizia è apparsa senza molta evidenza su “Repubblica”, poi su di essa è calata una spessa e sapiente coltre di silenzio. Tornando a Di Canio [...] Afferma di essere “un nazionalista e un patriota”, di essere schierato a destra, pur affrettandosi a specificare che “questo non significa essere un nazi o un razzista... triste che questa parola, nazionalismo, sia diventato sinonimo di razzismo e xenofobia... il nostro governo fa poco per gli immigrati, così loro fanno semplicemente le cose a modo loro... mi piacerebbe se un immigrato potesse venire in Italia e, dopo pochi anni, dire: ‘Questo è il mio paese. Sono italiano’”. A condizione - aggiunge però il calciatore - che non voglia trasformare il “nostro” in un paese... musulmano! Dichiarazioni da simpatizzante di destra, spesso ingenue e confuse, anche per questo significative [...] Nonostante i suoi giudizi storico-politici, la “veracità” di Paolo Di Canio suggerisce rispetto e simpatia. [...] Il suo “mito” presso tanti ragazzi di curva, se appare perfettamente comprensibile, è qualcosa che non ci lascia soddisfatti e tranquilli» (Guido Liguori, Antonio Smargiasse, “il manifesto” 30/1/2002).