Varie, 22 febbraio 2002
DI CENTA Manuela
DI CENTA Manuela Paluzza (Udine) 31 gennaio 1963. Ex sciatrice di fondo. Medaglia d’oro nei 15 e 30 km, argento nei 5 km e nell’inseguimento, bronzo nella staffetta 4x5 km alle Olimpiadi di Lillehammer (1994), bronzo nella staffetta 4x5 km anche a Albertville (1992) e Nagano (1998). Carriera poi oscurata dall’accusa di aver fatto ricorso al doping (mai provata). Eletta alla Camera nel 2006 e 2008 (Forza Italia, Pdl). Sorella di Giorgio • «Ha sempre salutato vittorie e sconfitte con uno splendido sorriso. Ha conquistato sette medaglie alle Olimpiadi, sette ai mondiali e due Coppe del mondo con la grinta di una “regina di ferro” (questo era il suo soprannome) e la leggerezza di un elfo» (Valeria Gandus, “Panorama” 29/4/1999) • «[...] Il rigore, la tradizione a casa Di Centa li conoscono bene. Sono all’antica, papà Gaetano (il fornaio “Tane” per gli amici) e mamma Maria Luisa [...] le prime lezioni di sci date da “Tane” alla figlia [...] La passione per lo sci nordico è la stessa che fa dire a Manuela: “A me piace correre nella natura, cercare di migliorare, correre quando gli altri dicono: ‘oggi è brutto tempo’’. Sciare può diventare un momento dolcissimo. Il sacrificio è un’altra cosa”. [...] È un po’ tutta la Carnia [...] a stringersi attorno alla campionessa per cercare di capire come si può sfondare partendo da qui, da questi boschi di pini e abeti, da queste terre di forte disoccupazione. [...] “Ci sono due posizioni dentro di me c’è la Manuela tutta spontaneità e voglia di fare, e c’è la Manuela tutta pensiero e logica. Se fosse per me andrei avanti venti anni”. [...]» (Mattia Chiusano, “la Repubblica” 11/4/1994) • Ha scritto Gianni Mura: «Mi sono innamorato di Manuela Di Centa, che mi rifiuto di chiamare Manu. [...] Mi sono innamorato per un paio di frasi. “Mi sento giovane, dunque sono giovane” e “Ho dentro tutta la forza della mia terra”. La sua terra la conosco bene da [...] quando Luigi Veronelli mi disse che il suo sogno era quello di essere seppellito a Pradumbli, vicino Prato Carnico, paese d’anarchici. Il suo sogno valeva il mio viaggio. Veronelli [...] s’è innamorato pure lui di Manuela [...] La seconda volta che Manuela ha vinto ho pensato ai cjarsons. Sono dei grossi ravioli con un ripieno che può arrivare a 20 ingredienti, la ricetta varia da paese a paese, è forse l’unico piatto ricco di una cucina povera, e infatti nel Friuli benestante si parla di “cjargnel cence Diu”, senza Dio perché negli ultimi secoli la storia e il cielo sono stati avari. Ho pensato che Manuela aveva dentro un sacco di cose, era una gran donna-cjarson. E mi ha fatto male leggere sulla “Gazzetta” che nei ristoranti di Paluzza si servivano gli “spaghetti tricolori”, con pomodoro, spinaci e panna. Ma siete impazziti? [...]» (Gianni Mura, “la Repubblica” 27/2/1994).