Varie, 22 febbraio 2002
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DI PIETRO Antonio Montenero di Bisaccia (Campobasso) 2 ottobre 1950. Politico. Emigrato in Germania nel 1971 ha lavorato come operaio e, dal 1973 al 1977, è stato impiegato tecnico al ministero della Difesa
DI PIETRO Antonio Montenero di Bisaccia (Campobasso) 2 ottobre 1950. Politico. Emigrato in Germania nel 1971 ha lavorato come operaio e, dal 1973 al 1977, è stato impiegato tecnico al ministero della Difesa. Nel 1978 si laurea in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano. Segretario comunale nel comasco e commissario di polizia, nel 1981 entra in magistratura. Dal 1985 al 1994 è sostituto procuratore della Repubblica di Milano e nel 1992 avvia l’inchiesta di Mani Pulite. Dal 1995 docente presso il Libero Istituto Universitario di Castellanza. Nel maggio 1996 è ministro dei Lavori pubblici, carica da cui si dimette nel novembre dello stesso anno. Dal 1997 senatore della Repubblica. Nel 1998 fonda il movimento l’Italia dei valori • «Ex contadino, ex emigrante, ex poliziotto, ex pubblico ministero, ex stella del pool Mani pulite ed ex ministro. [...] Per il resto si sa che cosa non è e che cosa non ha fatto: non ha mai fatto parte dei servizi segreti; non ha mai ottenuto lauree sottobanco; non ha mai voluto sfasciare Berlusconi; non ha mai approfittato del ruolo di magistrato per progettare la carriera politica; non ha mai salvato il Pci-Pds; non ha mai favorito Pacini Battaglia né altri indagati di Mani pulite; non ha mai barattato il proprio prestigio e il proprio potere per Mercedes, prestiti milionari, abitazioni, vestiti, telefonini, panini, aranciate né altro, bensì li ha scambiati con quadri all’uncinetto; non ha mai mentito, semmai si è confuso; non ha mai pensato di poter essere aiutato, nelle centinaia di querele avanzate, dagli ex colleghi giudici. Sicurissimamente non ha mai avuto conti all’estero e infatti mai nessuno ha scritto il contrario. Ex captivitate salus. Pare che certe volte si faccia scrivere i discorsi e gli articoli dall’ex retino onorevole Rino Piscitello, da qui gli attriti con Federico Orlando (a sua volta ex conservatore liberale)» (’Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998). «[...] Che tempi, quei tempi! Francesco Saverio Borrelli scriveva: ”Ha capacità di lavoro e produttività eccezionali grazie a vigore intellettuale, memoria e resistenza fuori dal comune”. La ”Voce” titolava: ”Così eroe, così normale”. Maurizio Gasparri tendeva entusiasta il saluto romano: ” un mito: mejo lui del Duce”. Silvio Berlusconi gli rendeva omaggio: ”Le mie televisioni sono al suo servizio”. Romano Prodi lo blandiva: ”Quello lì dove va si porta dietro i voti come la lumaca il guscio”. Perfino Cesare Previti giurava: ”Nel Polo l’accoglieremmo a braccia aperte”. Per non dire di Francesco Cossiga: ”Ha le qualità morali per andare al Quirinale”. Tale era l’entusiasmo, per quel pm dai modi spicci che sbagliava l’accento su ”inebètito” e sventagliava raffiche di ”embé” e intimava alla sinistra di ”non fare inguacchi”, che un sondaggio Cirm decretò che il 72% degli italiani lo avrebbe voluto accanto come compagno d’ombrellone e un altro sondaggio di ”Elle” lo immortalò come l’uomo più sexy del pianeta dopo Harrison Ford. E quei discolacci di ”Cuore” presero a incensarlo con una rubrica che imitava le copertine di Molino per la ”Domenica del Corriere” e ogni settimana lo salutava agghindato come Superman e impegnato in imprese pazzescamente impossibili. [...]» (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 23/3/2005). «Durante gli anni di Tangentopoli io non capivo niente. Stavo dentro al tribunale venti ore al giorno, non leggevo i giornali, non guardavo la tv. Sapevo solo che dovevo correre, incastrarne quanti più possibile prima che gli altri mi fermassero [...] Da piccolo sognavo di scrivere un rigo nella storia del mio paese [...] Volevo contribuire a sfasciare un sistema vergognoso, immorale [...] Raul Gardini, lì forse ho sbagliato [...] Sapevo che Gardini mi avrebbe portato al Pci e alla catena dei giornalisti corrotti [...] Gardini sa che è venuta la sua ora, i suoi avvocati mi chiamano e concordiamo la presentazione spontanea in Procura. C’è un mandato di cattura sul suo capo e dunque i miei uomini iniziano a cercarlo. Mi avvertono che è giunto a Milano e chiedono: lo arrestiamo? Dico di no, l’accordo con i legali fissava all’indomani mattina, ore 8,30, l’incontro con me. Se lo avessi fatto arrestare non si sarebbe ucciso. Lì ho sbagliato [...] Mi sono dimesso dalla magistratura per difendere il mio onore. Lei ricordi che sono stato accusato di tutto: dall’attentato agli organi costituzionali fino alle molestie sessuali. Uscito pulito da tutto, e soltanto grazie alle mie forze [...] Stavo a Roma per fatti miei, squilla il cellulare: sono Silvio Berlusconi e la chiamo dall’ufficio del presidente della Repubblica. Vorrei avere il piacere di incontrarla per proporle un incarico di governo. La proposta ha il pieno consenso del presidente, che è qui vicino a me. L’aspetto in via Cicerone, 40... Restai a bocca aperta, il capo dello Stato che ti chiede... Presi tempo, telefonai a Davigo che mi disse: da me è venuto La Russa ad offrirmi da parte di Fini l’incarico di ministro della Giustizia. Faccio chiamare Scalfaro da Borrelli. Dopo cinque minuti Davigo mi richiama e mi dice che Scalfaro non ha chiesto niente né patrocinato niente. Io ci metto due minuti per rifiutare l’incarico di ministro dell’Interno. Col senno del poi forse avremmo fatto meglio ad accettare. Io all’Interno, Davigo alla Giustizia: pam, pam, pam [...] Io ho detto no, e guardi che non è facile rifiutare un incarico così [...] Ero forte, fortissimo e potevo invocare l’immunità, chiamarmi sempre fuori. Invece dodici minuti dopo che giunge l’avviso di garanzia, la famosa questione Pacini Battaglia, io mi dimetto anche da ministro dei Lavori pubblici. Dodici minuti, capito? [...] Certo, ho sbagliato quando ho fondato i democratici senza Prodi. Hanno succhiato il mio sangue e poi mi hanno lasciato alla porta [...] Ho sbagliato a non dimettermi dal Parlamento quando mi dissociai dalla maggioranza e votai contro il governo Amato perché sapevo di che pasta è fatto quell’uomo. Nel mio intervento c’era scritto: esco dalla maggioranza di centrosinistra ed esco da questo Parlamento. L’ultima frase non l’ho letta, che fesso sono stato! [...] Dovevo essere più duttile nelle trattative con l’Ulivo. Dovevo arrivare a negoziare il mio ingresso, non l’ho saputo fare [...] Un milione emezzo di voti ho tolto. Avrei dovuto ragionarci meglio. Rutelli voleva farmi cuocere nel brodo, a fuoco lento, e io non ci ho visto più [...] Hanno capito che senza di me sono guai. Ma per farlo capire meglio devo notificare all’Ulivo quanto peso nel paese. Perciò giro come un matto, voglio che alle europee l’Italia dei valori abbia successo. Senza di me non ce la faranno, ma se mi vogliono devono mandar via i delinquenti dalle loro liste [...] Sono solo e giro come un pazzo. Ma se voglio completare l’opera di Mani pulite devo fare solo così» (Antonello Caporale, ”la Repubblica” 8/9/2002). «Il nostro Ralph Nader è molisano e pensa persino più in grande del Ralph Nader che pure è nato nel più vasto Connecticut. Mica gli basta diventare paladino dei consumatori. ”Punterei a qualcosa che sia meno di nicchia” ammette infatti Antonio Di Pietro. Per carità, le associazioni dei consumatori sono importanti, ma lui per la sua ”Lista degli Esclusi” punta a più ampie rappresentanze: girotondini e sindacalisti, carabinieri in pensione e consumatori. Insieme, tutti. quello che Giovanna Melandri definisce ”il partito di chi non vuole tessere”, ”la vasta area grigia di chi sta a sinistra senza appartenere nè al partito riformista nè a Rifondazione” incalza Achille Occhetto. Quei voti e quelle simpatie Di Pietro pensa di riuscire a mobilitarle. Lo vogliono nell’Ulivo? Le porterà là. Non lo vogliono? E lui prepara, sta già preparando ”la Lista degli Esclusi”.[..]» (Maria Latella, ”Corriere della Sera” 6/12/2003).