Varie, 22 febbraio 2002
DIBIASI
DIBIASI Klaus Solbad Hall (Austria) 6 ottobre 1947. Ex tuffatore. Tre vittorie olimpiche consecutive (dal 1968 al 1976) • «A 17 anni, dalla piattaforma dei 10 metri delle Olimpiadi di Tokyo, Klaus Dibiasi rivelò all´Italia che era anche un paese di tuffatori. "Dopo sette tuffi ero primo, però gli ultimi tre li ho fatti bene, non benissimo. Sarebbe bastato per vincere perché l´americano Webster, che aveva vinto quattro anni prima a Roma, sbagliò il tuffo entrando in acqua a gambe piegate. I giudici lo punirono, ma non come meritava. E io fui secondo. Che bella quell´Olimpiade: si entrava nel villaggio olimpico in bicicletta e di notte si sentiva qualche piccolo terremoto". Iniziava così l´epopea di un atleta inatteso per una nazione che non aveva mai vinto nulla in piscina, e che spesso avrebbe salvato la patria nei Giochi seguenti, in uno dei periodi più aridi per l´olimpismo nazionale. Era vissuto sin da bambino nella piscina gestita dal padre, ex ginnasta e tuffatore: a 10 anni poi aveva cominciato a salire anche lui a fare sul serio. "E mio padre si metteva le mani nei capelli. ’Ecco un altro tuffatore fallito´, mi diceva, perché cominciare a 10 anni è tardi". Il talento fu chiaro subito già da allievo e cominciò la sua inarrestabile progressione. A Roma, come tecnico federale, c´era Goerlitz Horst, tedesco detto romanamente Oreste, che aveva perso una gamba in guerra per una scheggia. "Dovevamo molto a lui. Lavorava nell´aeronautica e applicava ai tuffi le leggi meccaniche ed aerodinamiche che conosceva". La prima vittoria fu a Città del Messico, quattro anni dopo. "C´era attesa su di me, dovevo vincere. L´avversario più pericoloso fu il messicano Gaixiola, temevamo che il tifo del pubblico potesse influenzare i giudici". Ma Dibiasi vinse con grande distacco. "Sbagliando anche un tuffo, il doppio e mezzo rovesciato. In ogni mia finale ho sbagliato un tuffo, ma avevo sempre un tale margine di sicurezza da potermelo permettere. Solo con Louganis, molti anni dopo, non me lo sarei potuto permettere: e infatti non sbagliai". A sorpresa era venuto anche l´argento dal trampolino dei 3 metri. "Quella era la gara di Cagnotto ma sbagliò un tuffo. Io gareggiai tranquillo, alla fine mi dissero: sei secondo" L´oro dai 10 metri gli portò un premio di un milione e una 500 regalata dalla Fiat. Ma quali erano le virtù di Dibiasi? "La freddezza in gara, per esempio, saper fare il tuffo giusto al momento giusto. Cagnotto si arrabbiava con me e mi diceva: sbagli in allenamento e fai bene in gara. E poi dal punto di vista tecnico l´entrata in acqua". Da fare con le palme delle mani in avanti (e non con le mani a preghiera "come ancora raccomandava un manuale federale del ’32"): lo scopo era di evitare la sollevazione degli spruzzi, indicatore chiave sulla qualità del tuffo. "Entrando in acqua, si formava una depressione all´altezza del polso, con un effetto risucchio, che faceva sparire gli spruzzi". La seconda vittoria dalla piattaforma arrivò a Monaco ´72, mentre Dibiasi era ormai il dominatore della specialità. "Mi davano favorito, e io sentivo la responsabilità. Ma non era così semplice, eppure vinsi, e sempre con un tuffo sbagliato. Fu il podio più bello, con Cagnotto terzo, che perse una grande occasione per battermi sbagliando un tuffo rovesciato. Mi ricordo che c´erano pochi controlli, mettevamo addosso agli amici la tuta della nazionale italiana e così li facevamo entrare nel villaggio olimpico. Il che spiega molto anche di quello che successe dopo, con l´assalto palestinese". L´Italia era fiera di questo biondino bolzanino nato in Austria, quasi una replica di Gustav Thoeni, e che nelle riprese in bianco e nero sembrava quasi un atleta longilineo. "Ma non era così. Eravamo atleti con una grande preparazione fisica. Io saltavo a piedi uniti una cancellata di un 1 metro 40. Per riscaldarci facevamo dei salti oltre un tavolo di un metro di altezza per un metro di profondità. I tedeschi, molti anni dopo, ci rivelarono che avevano filmato i nostri tuffi e che noi italiani eravamo i più potenti". Quattro anni dopo lo sport italiano si affidò a lui per vincere qualcosa a Montreal e gli affidò la bandiera all´inaugurazione. Alla fine ci furono solo due ori per gli azzurri: il suo e quello di Dal Zotto nel fioretto. E poi, soprattutto, incontrò il tuffatore del futuro, Gregory Louganis. "E poi io avevo 29 anni e dolori al gomito e al tendine d´Achille. Louganis era giovane, esplosivo, elegante. Ero primo nelle eliminatorie, poi nella finale marciavamo fianco a fianco. Ero concentrato, cosciente delle cose da fare, dal primo all´ultimo tuffo. Tuffo dopo tuffo mi dicevo che era una gara guidata da qualcuno, non ero io che saltavo, tutto andava come doveva. Poi Louganis è entrato abbondante in acqua e lì c´è stata la svolta. L´ultimo tuffo mio è venuto come l´avevo immaginato, con le scelte che avevo preparato". Gli occhi profani vedono poco dal momento del salto all´entrata in acqua e non immaginano che lì dentro ci siano alcune decisioni prese attimo per attimo. "Il tuffo dura un secondo e mezzo ma per il tuffatore non è così rapido. Ci sono tanti momenti e tante sensazioni, così che diventa lungo come un tema scritto. A seconda come parti, come sei in aria, scattano delle reazioni. Il campione è capace di questo: a seconda delle situazioni fa scattare dei modelli di comportamento automatici". Montreal fu la fine del regno di Dibiasi, stava per cominciare quello di Louganis. "Cominciava una nuova era e io avevo capito che per continuare avrei dovuto fare molto di più. La mia soddisfazione era quella di essere andato in progressione per 19 anni, aggiungendo sempre qualcosa, e poi di lasciare prima della svolta". E Louganis, costretto al boicottaggio di Mosca ´80, non potè eguagliare le tre vittorie olimpiche consecutive di Dibiasi» (Corrado Sannucci, "la Repubblica" 21/7/2004).