Varie, 22 febbraio 2002
DILIBERTO
DILIBERTO Oliviero Cagliari 13 ottobre 1956. Politico. Ex direttore di ”Liberazione”. stato ministro della Giustizia nei governi D’Alema I e II • «Delfino di Armando Cossutta. Professore di Diritto romano, già capogruppo di Rifondazione comunista. Bella presenza, affabile, spregiudicato. Appassionato cultore di libri d’epoca e di film western (meglio se B-movie). Grandissimo consumatore di sigari toscani. I frequentatori del Transatlantico lo stimano come uno dei massimi esperti mondiali di Sergio Leone. l’unico neocomunista che può rivaleggiare con Fausto Bertinotti per capacità mediatica e presenza video (Bertinotti gli ha posto un preciso veto sulle sue partecipazioni al ”Costanzo Show”). Era l’ultimo segretario che il serial-king-maker Cossutta aveva nel cilindro per Rifondazione. Il numero di alta prestidigitazione è per ora cancellato (o solo rimandato: altro cilindro altro partito, chissà)» (’Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998) • «[…] ”Io non sono mai stato un estremista. Negli Anni Settanta, quando era di moda Lotta continua, ero nella Fgci. Sono sempre stato un equilibrato di sinistra”. […] Nel Pci il suo modello non era Berlinguer, vicino per ragioni di sardità – ”ne ammiravo la sobrietà, la serietà, l’austerità” – , bensì Amendola. ”E sono rimasto amendoliano. Sono gli altri a essere cambiati. Badi che Amendola non era socialdemocratico, ma comunista. Non sarebbe vissuto tre minuti in Unione Sovietica, però si è sempre schierato con Mosca perché la considerava un contrappeso necessario a Washington. Ora si vede che aveva ragione”. Il riferimento ideale però resta Togliatti. ”Ho letto tutto di lui, come solo di Marx. I discorsi alla Costituente sono straordinari. I discorsi sulla politica delle alleanze rappresentano tuttora la mia bussola politica”. […] Anche il Togliatti del 1937, quello dell’eliminazione del vertice del partito polacco? ”Se non ci fosse stato il Togliatti del ”37 non ci sarebbe stata la svolta di Salerno. Cioè Togliatti non sarebbe sopravvissuto. Certo, la penserei diversamente se fossi un dirigente del partito polacco”. Nel libro in cui racconta il passaggio in via Arenula, intitolato ovviamente La scrivania di Togliatti, Diliberto ha parole di comprensione per la svolta di Occhetto. ”Dividersi era inevitabile. Come lo è stata la scissione del ”98 tra Cossutta e Bertinotti. Io, da equilibrato, non farei mai cadere un governo di centrosinistra. Cossutta, da cui ho imparato tutto, neppure. Ma con Fausto il rapporto personale ha resistito”. Per tre mesi non si sono salutati. Poi, dopo l’ennesima volta che si incrociavano facendo finta di nulla, Diliberto ha chiamato l’ex compagno, e si sono abbracciati. In comune hanno l’assidua frequentazione dei talk show (’ma io non li guardo mai, in tv mi piace solo Minoli”) e il ricco stipendio da parlamentare (”io per me tengo solo 5 milioni di vecchie lire, il resto va al partito”) […]» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 16/3/2005) • «Sono iscritto al Pci da quando avevo diciassette anni. Facevo la quarta ginnasio nel 1969, durante l’autunno caldo, e la prima cosa che ho trovato nel passaggio da un ciclo scolastico all’altro è stato un volantino che un ragazzo mi aveva messo in mano. La passione politica ha sempre attraversato la mia storia personale. Non sono un professore imprestato alla politica, sono un professore che ha sempre fatto politica […] Non potrei vivere se non in una città. una forma di stressa drenalinico […] Se fosse per me non mi muoverei mai da Roma» (Alain Elkann, ”La Stampa” 21/2/2000) • « arrivato alla poltrona di via Arenula con un colpo di scena, al termine di una grande sparatoria che ha lasciato sul campo la compagna Salvato, candidata originaria alla stella di sceriffo-guardasigilli uscita dal saloon neocomunista sbattendo la porta [...] Un nonno capostazione. L’altro disegnatore del catasto. La nonna copiatrice di carte giudiziarie. La madre insegnante. Il padre funzionario del consiglio regionale sardo, poi avvocato. [...] viene da una famiglia moderata, ma il suo esordio è da extraparlamentare: ”Nel ”69 entrai al Dettori di Cagliari, il liceo di Gramsci” [...] il ”74: entra nei giovani comunisti a 17 anni, 24 mesi dopo è segretario provinciale cagliaritano e inizia il cursus honorum da dirigente [...] ”Ero solo un dirigente di periferia. Il ”77 incalzava”. Finiti gli anni di piombo si arriva a un bivo: ”Francesco Sitzìa, il mio professore e maestro, mi chiese di scegliere fra politica e università”. Lui sceglie: ”Vado a specializzarmi a Roma prima, Germania poi. Dopo studio anche a Parigi” [...] diventa associato di Diritto romano. Ma la svolta della Bolognina lo riporta in campo [...] Contro la svolta di Occhetto, dunque, prima nella mozione Ingrao, poi al fianco di Cossutta [...] dopo la prima ”guerra punica” contro i garaviniani, va a dirigere ”Liberazione”, dove si guadagna subito un nome di battaglia, Dili-beria (in assonanza con Lavrentij Berija, capo della polizia sovietica). Imbarazzato? ”Macché, avevo scritto un corsivo pepato contro i trotskisti, e uno di loro, Grisolia, amichevolmente, mi affibbiò questo nomignolo”. A ”Liberazione” si diverte. Titola, corsiveggia, fa persino l’inviato in Corea del Nord [...] Torna e affronta una nuova guerra. Vanno via i comunisti unitari e lui diventa capogruppo [...]» (Luca Telese, ”Sette” n. 43/1998).