Varie, 22 febbraio 2002
DIX Gioele
DIX Gioele (Davide Ottolenghi) Milano 3 gennaio 1956. Attore • «“La parola magica non era amore, non era dio, non era gloria. Era ‘vitella’. Pronunciata con la e larga, con le elle scattanti come due elastici e con sovrano disprezzo. Poi, dopo una pausa, ci aggiungeva ‘brodo’. Ma non era brodo, era ‘bredo’, anzi ‘breedo’: intanto faceva una smorfia con la bocca. E io, che ogni sera lo guardavo in quinta, a quel punto sapevo che cosa sarebbe successo: Franco Parenti si sarebbe mangiato la platea”. L’anno era il 1983, il teatro il Pier Lombardo di Milano, la commedia Il malato immaginario di Molière. In scena il capocomico carsimatico, e dietro, a spiarne la tecnica, un giovane attore della compagnia: che allora si chiamava Davide Ottolenghi e che adesso si chiama Gioele Dix. Insomma l’automobilista imbestialito di tanti monologhi, il difensore di bambini abbandonati in Uno di noi, soprattutto il Tomba e poi anche il Ravanelli di Mai dire gol: cioè quel bel signore alto, con gli occhi azzurri e la voce profonda che molti si ostinano a considerare soltanto un cabarettaro di talento. E che invece [...] ha fior di tradizione alle spalle: “I teatri più importanti d’Italia li ho fatti tutti: sì. proprio quelli con i palchi e gli abbonati [...] “[...] ho sempre avuto la tendenza, alla fin fine, a buttarla sul ridere. Anche se, dentro, ho i miei pessimismi, le mie ombrosità... [...] Milanese di Città Studi, nato nel 1956, ebreo: Ottolenghi, mi pare evidente [...] Più passano gli anni e più mi trovo d’accordo con l’Ecclesiaste: ‘Mangia nella gioia il tuo pane e bevi di buon animo il tuo vino, perché questo Dio ti è già stato benigno’ [...] per quanto mi sforzi, davvero non colgo un legame tra il mio lavoro d’attore e la tradizione yiddish. Certo nella mia famiglia vige un modo speciale di guardare la realtà: sempre un po’ spostato, un po’ di sbieco, un po’ fuori fuoco. [...] Studi? Di due tipi, ma senza laurea. Psicologia e poi legge, cioè due argomenti che mi hanno sempre affascinato. La psiche, perché se ti ammali soffri molto di più che se ti ammali nel corpo soltanto. La legge, perché all’inizio ti mette in soggezione, ma se poi la conosci ti appare come una meravigliosa elaborazione della civiltà, come la base stessa della convivenza [...] Poi? Servizio militare, un po’ d’indecisione sul futuro, qualche esame. Intanto mi chiama un vecchio amico che ha messo su una cooperativa di attori. Facciamo animazione melle scuole, mi dice: vuoi venire anche tu? Cosa che a ripensarci mi fa ridere, perché adesso gli animatori sono figure istituzionali, forse anche con un albo professionale, e noi eravamo quattro sciamannati allo sbaraglio. Capisco che mi piace. Gli altri poco a poco si staccano dal gruppo, è tutta gente con un altro lavoro. Ma io invece continuo: mi chiama Antonio Salines e parto per la prima tournée. Poi la grande occasione [...] con Parenti e la Shammah. All’audizione porto un monologodi Karl Valentin: un po’ rielaborato. Lui si diverte molto. Ma ci vuole un bel po’ prima che mi chiami”. Si arriva così alla famosa illuminazione della vitella e al duro tirocinio con il Maestro. “Un calvario. Mi diceva che non valevo niente. Che non recitavo: anzi, che facevo soltanto runore. Ma intanto mi stimava, e mi insegnava tutto. Si andava in scena alle nove e lui alle sei era con me, a provare, a sentirmi: Una bella rottura, sul momento, ma se ci pensa bene io faticavo tre ore in più ma quelle ore le perdeva pure lui. Parenti mi diceva che dovevo imparare a recitare il pensiero, e cioè le parole che non contano. Al limite dovresti arrivare a dir dei numeri, persino a respirare soltanto: devi far capire cosa c’è dietro al testo con la sola forza della tua recitazione. Da lui ho imparato che la poesia è tutta questione di fiati. Che i versi sono unità respiratorie, che devi sviluppare una tecnica interiorizzata, marcare gli a capo, trovare i tuoi rittmi [...] a un certo punto il mio ego strabordante non si accontenta più di finire tra i ‘bene gli altri’, e poi c’è quell’attitudine al comico [...] Mi tuffo nel cabaret, cambio pelle e mi par giusto cambiare anche nome. C’entra Otto Dix? Certamente: Ottolenghi, Otto Dix... però c’entra anche Tom Mix, c’entrano i suoni che stanno bene insieme. Gioele, per esempio, un nome simpatico, non le pare? Un profeta piccolo, piccolissimo: quattro pagine in tutto [...] Adoro le vecchie foto dei luoghi che conosco, scoprire com’erano prima che io venissi al mondo. E appena divento amico davvero di una persona, sa che cosa gli chiedo? Portami le tue foto, le tue foto da bambino”» (Egle Santolini, “Specchio” 27/6/1998) • «Se i gatti hanno sette vite, Gioele Dix ora è arrivato alla terza. [...] scoperto da Franco Parenti prima, diventato famoso come cabarettista televisivo poi, da qualche tempo ha virato verso la figura del moderno narratore di storie antiche. Il successo pieno lo ha avuto [...] con La Bibbia ha quasi sempre ragione [...] “Il problema è che la tv di oggi ormai è diventata rimbecillente. Io non ci vado più, perché mi chiedono solo di fare l’imitazione di Tomba. L’ultimo a chiedermelo è stato Bonolis, e alla fine avrei ceduto, per non perdere del tutto il contatto col grande pubblico. Per fortuna poi è saltato tutto. A me è il teatro che da grandi soddisfazioni [...] Il teatro mi permette di girare e di tastare il polso di questo Paese. Un Paese che vedo un po’ omologato e campanilista, ma con un gran desiderio di pensiero, riflessione, racconto. [...] Al pubblico questo genere piace molto perché le occasioni di racconto si sono perse, mancano ideali forti, viviamo in anni di idiozie e di parole vuote. Gli unici ri masti a ‘raccontare’ storie, idee e valori sono i preti e i professori, che lo fanno tra mille difficoltà, mentre il mondo della cultura e dello spettacolo è sempre più impoverito. Noi artisti abbiamo sì fiutato le nuove esigenze del pubblico, ma è stata innanzitutto una nostra necessità. Per me è stata quella, dopo anni passati a fare il comico, di elevare il livello della comunicazione [...] Io sono ebreo ed ho un legame viscerale la Bibbia. Volevo raccontare con amore, ed anche con un sorriso sempre però rispettoso, un libro che per me è sacro. [...] Io sono cresciuto a pane e Gaber [...] Devo dire diversi grazie: alla dura scuola di Franco Parenti, al cabaret di Zelig che mi ha salvato da una grande crisi professionale a metà anni ‘80, a un signore del teatro come Sergio Fantoni che mi ha rivalutato” [...]» (Angela Calvini, “Avvenire” 23/10/2004).