Varie, 5 marzo 2002
MARTINI
MARTINI Alfredo Sesto Fiorentino 18 febbraio 1921- Sesto Fiorentino 25 agosto 2014. Ex ciclista, ex direttore tecnico della nazionale • «Il grande saggio del ciclismo italiano [...] E’ uno straordinario narratore e, nei 23 anni trascorsi al volante dell’ammiraglia della nazionale, ha colmato le lunghe serate dei ritiri azzurri con aneddoti e storielle, ma anche con inediti pezzi della storia del ciclismo che l’hanno avuto protagonista, lui fiorentino come Gino Bartali, grande amico di Fausto Coppi e delfino di Fiorenzo Magni. E’ stato il ”cittì per antonomasia” e sotto la sua guida l’Italia ha conquistato sei titoli mondiali con cinque corridiori (moser, Saronni, Argentin, Fondirest, Bugno), sette argenti e sette bronzi» (Gianfranco Josti, ”Corriere della Sera” 19/2/2001). «Non un campione (7 vittorie in tutto, concentrate fra 1946 e 1951) ma uno che andava su tutti i terreni, tranne che a cronometro. Un giorno in maglia rosa, da Brescia a Vicenza, nel 1950. Ma attenzione ai piazzamenti: in quella famosa Cuneo-Pinerolo del 1949, dopo Coppi e Bartali c’è lui. E terzo alla fine del Giro del 1950. Dopo Koblet e Bartali, c’è lui. E ancora secondo a una Parigi-Tours, terzo a una Bordeaux-Parigi, tra il 1946 e il 1950 regolarmente nei primi dieci del Giro. E tre volte azzurro, dal 1948 (riserva) al 1950, quando in nazionale andavano solo 6 corridori e tre posti erano prenotati da Coppi, Bartali e Magni. Era uno come Cassani, direi» (Gianni Mura). «’Tour 1952, prima settimana caldissima. Io soffro di stomaco, a fine carriera m’avrebbero operato d’ulcera. Ho paura a fermarmi per riempire le borracce, paura del fuori tempo massimo. Pedalo al fianco di Fausto e gli chiedo: vuoi acqua? Fa cenno di sì. Gli passo la mia, allora erano d’alluminio. Quasi vuota e calda. Ma è calda e sarà un cucchiaio, protesta lui. Hai ragione, dico io, ma è tutto quello che ho. Fa niente, dice lui. Pedalo in fondo al gruppo pensando che l’ho fatta grossa quando vedo arrivare Fausto che mi dà una borraccia piena e fresca. Tieni Alfredo, me la rendi quando stai meglio. Ecco, questo era Coppi”. E Bartali? ”Mai stato in una sua squadra [...] Con Gino mi allenavo spesso, stava qua vicino. Tutti e due sapevano comportarsi, anche se si parlavano il meno possibile. Dopo la cena Coppi andava subito a dormire, Bartali si fumava le sue sigarette, si beveva i suoi bicchieri di vino. Prima della guerra Gino era come un frate, dopo gli piaceva far tardi. Non l’ho mai sentito lamentarsi di nullla, del caldo, del freddo, del cibo. Mai visto uno così resistente. Da solo, Gino ha vissuto la vita di tre uomini forti”. ”A Colonnata di Sesto sorse il primo stabilimento della Richard Ginori. Il mio babbo ci lavorava come ceramista, addetto ai forni dove cuocevano la porcellana col carbon coke. Spesso tornava a casa coi capelli abbruciacchiati. Io risulto nato a Firenze, ma fu per via di un parto difficile. Mia mamma mi ebbe a 42 anni, che allora erano tanti, oggi no. Da bambino stavo a Calenzano, a sguazzare nel torrente Marina. Ho cominciato a pedalare, a sette anni, su una bici Francioni color argento. Costava 420 lire e fu un sacrificio per il babbo, che ne prendeva 220 a quindicina, allora si era pagati a quindicina. Dopo la quinta elementare lui avrebbe voluto mandarmi al collegio Cicognini di Prato, ma costava troppo. A 14 anni mi trovò un posto da apprendista meccanico alla Pignone di Firenze [...] Si fabbricavano lanciafiamme, anche. Io ero addetto ai detonatori. I turni di 8 ore divennero di 12. Prendevo 65 centesimi l’ora, mi allenavo nei ritagli di tempo. Mia mamma mi preparava una pentolina stagna con dentro burro, marmellata, una mela, un’arancia, tre fette di pane [...] Fortunato, il mio babbo, lo chiamavano tutti Pietro, come il suo babbo. Era operaio, ma ci teneva ad avere in casa il vino e l’olio buono. E ci teneva a farci leggere. A 13 anni ero abbonato alla biblioteca di Sesto, si prendeva un libro alla volta e si doveva restituire entro 15 giorni. Uno dei primi è stato L’ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo. E poi tanti, come veniva. I russi, Jack London, ma ho una passione per Steinbeck. Mia mamma non sapeva leggere né scrivere. L’avevano trovata le suore, alla ruota degli innocenti. Con le vestine di seta, mi disse un giorno mia sorella grande. Forse era di famiglia nobile, chissà. La chiamarono Regina. Crebbe in una famiglia di contadini. Un donnino alto così, una regina davvero. Sembrava avesse respirato libertà. Sempre allegra, fiera. Ricordo che andava dal Gote, lo chiamavano così per le guance belle rosse. Era il macellaio dell’unione cooperativa operaia di Colonnate, una delle ultime sotto il fascismo. Oh Gote, mi dai una braciola morbida morbida per l’Alfredo che poi ti si paga? E come fo, Regina, questa è una cooperativa mica sono il padrone. Suvvia, Gote, dopo la quindicina ti si è sempre pagato. E la braciolina non mancava mai» (’la Repubblica”, 10/2/2001).