Varie, 22 febbraio 2002
DONAGGIO Pino
DONAGGIO Pino Burano (Venezia) 24 novembre 1941 (per molte fonti ottobre). Musicista • «Settanta milioni di dischi per un paio di centinaia di diverse versioni (“venti o trenta solo in Giappone”). Centoventi-centrotrenta milioni all’anno di diritti d’autore (“ma il grosso se lo becca l’editore: almeno un mezzo miliardo a semestre”). Colonna sonora ricorrente di spot vari sparsi per tutte le tv del mondo. Batte tutti i record Io che non vivo, musica ed esecuzione di Pino Donaggio al Festival di Sanremo del 1965, tuttora una delle canzoni più eseguite al mondo. Dusty Springfield ne ha fatto un must in inglese, Elvis Presley l’aveva inserita in 18 dei suoi lp, Cher l’ha ripresa pochi anni or sono, ultimamente l’ha incisa anche l’immarcescibile Tom Jones. E lui, l’autore di tanta meraviglia, che fine ha fatto? “Continuo a scrivere musica, ma non la canto più”. Appoggiato al pianoforte nel suo studio che s’affaccia su Rio di Noale, a Venezia, racconta volentieri la sua storia di musicista dalle molte facce. “Che sono sostanzialmente tre: quello che dovevo fare, quello che ho fatto per caso e infine quello per cui, forse, ero destinato. Con al centro, ovviamente, sempre la musica, visto che vengo da una famiglia di musicisti, ho fatto il conservatorio e a undici anni mi avevano già messo in mano il primo violino”. Carriera precoce e breve, quella di concertista, ma ugualmente ricca di soddisfazioni: a 17 anni, non ancora diplomato, già in scena con Abbado e prima ancora con i Solisti Veneti di Scimone. Ma le lusinghe di canzonette e successo sono dietro la porta. “Ho incominciato a cantare a qualche festa, come tanti. I miei pezzi forti erano Diana di Paul Anka e Bernardine di Pat Boone. Le ragazze insistevano e cantando... si aveva più successo che suonando il violino. Mio padre era arrabbiatissimo”. Battaglia perduta in partenza (quella di papà). Qualche porta ostinatamente chiusa, qualche altra che si apre, fino al fortunato incontro con Bruno Pallesi (cantante di buon nome negli anni 50-60) che lo presenta a Danzi. “Canti come un selvaggio”, sentenzia l’autore di Mia bela Madunina, ma intanto spunta un contratto. Due anni di nulla e il bum: Come sinfonia, mattonella e “pelle d’oca”, come la ricordano i contemporanei. Se ne innamora anche Mina. Sanremo è la destinazione prescelta, ma La Tigre è già impegnata con un’altra canzone e convince Radaelli a farla cantare all’autore. Il giorno dopo la canta tutta Italia. Ha sfondato. Come autore, ma anche come cantante. Siamo nel ‘61. Anche papà s´è felicemente rassegnato. Altre canzoni, altri successi (come dimenticare Motivo d’amore o Il cane di stoffa?), Sanremi, Canzonissime, trionfi spagnoli, fino al mitico Io che non vivo. Poi? “Sono tornato a fare quello per cui ero destinato: il musicista. A Sanremo c’ero finito per caso”. E per caso intraprende la sua nuova carriera. Un produttore gli chiede la musica per A Venezia... un dicembre rosso shocking. Non si ferma più. Conservatorio e talento non sono acqua fresca: quasi 150 le colonne sonore scritte finora dal M.° Donaggio. Senza contare la tv: Don Matteo, Lo zio d’America, Commesse, Il maresciallo Rocca sono le cose più fresche. “Dovevo scegliere. Nell’81, poi, ho avuto un esaurimento nervoso che m’è durato un anno. Ho scontato le tensioni dei 15 anni di carriera da cantante. Quello non era il mio mestiere. Così ho scelto di scriverla e basta, la musica”. Decisione evidentemente esatta. Non fa più innamorare fidanzatini sulla mattonella, ma è uno dei più quotati autori di colonne sonore al mondo. Il preferito di Brian De Palma, tanto per citare a caso […] La musica italiana continua a seguirla e gli piace: “A parte i cantautori tipo Dalla, Venditti, Vecchioni, che seguo anche perchè sono miei amici, ci sono giovani bravi: Giorgia mi piace moltissimo. Anche Elisa. E Tiziano Ferro, i Tiro Mancino”» (Giorgio Destefanis, “La Stampa” 3/1/2003).