Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

DORIS

DORIS Ennio Tombolo (Padova) 3 luglio 1940. Banchiere. Presidente e amministratore delegato di Banca Mediolanum, uno dei gruppi leader nel risparmio gestito. «Bella storia quella del ragionier Ennio Doris da Tombolo, 4 mila anime (6 mila con le frazioni) disperse nel Veneto profondo. Una storia cominciata, letteralmente, in una stalla fra mucche e vitelli e che ora sta per approdare su un satellite. Partita da un paese dove c’era ”fame, fame e ancora fame” e finita su una montagna di miliardi, miliardi e ancora miliardi. [...] ”Tombolo, non so bene per quale ragione, all’inizio del secolo era uno dei paesi più poveri del Veneto. Non c’era terra da coltivare. Insomma, si faceva la fame. Per sopravvivere, in paese si inventarono un mestiere: si misero a fare i mediatori di mucche. A Tombolo tutti facevano i mediatori. E chi non lo faceva aveva un’osteria. Ce n’era una ogni tre case [...] quando avevo sette od otto anni accompagnavo mio zio d’estate ai mercati. Il sogno di noi bambini era alzarci alle 2 del mattino, andare nelle stalle ad accudire le bestie. Ci faceva sentire grandi. Così il profumo, non l’odore, il profumo, delle stalle m’è rimasto dentro. come un sogno, che mi ha accompagnato tutta la vita. [...] Da bambino ho avuto una grande fortuna, per così dire. Mi sono ammalato ai reni: nefrite. Mi salvai solo perché nel dopoguerra era arrivata la penicillina. Ma non potevo fare lavori pesanti, dissero i medici. Così alla fine delle elementari, a differenza di quasi tutti i miei coetanei, continuai a studiare. Grazie a una borsa di studio, perché ero bravo. E poi feci ragioneria, grazie a un’altra borsa. A 18 anni ero in banca. Ci sono rimasto otto anni. [...] un giorno incontrai Gianfranco Cassol, un vecchio compagno di scuola. Lui si era laureato. Mi chiese: ”Ma sei sicuro che il tuo futuro sia in banca? Io in un anno ho cambiato otto lavori, per provare’. Mi dissi che aveva ragione e alla prima occasione mi licenziai [...] direttore di un’azienda meccanica. Il proprietario era Dino Marchiorello, che oggi è presidente della Banca Antonveneta, e allora aveva un gruppo di sette-otto società. Avevo 28 anni, uno stipendio di 250 mila lire e mi sentivo realizzato. Ma non durò. [...] Un anno dopo, era il 1969, Marchiorello mi disse di accompagnarlo a un’assemblea degli azionisti della banca. E mi diede appuntamento a Cittadella. Io arrivai con la mia Fiat 850 che aveva 120 mila chilometri e sbatteva da tutte le parti. Mi invitò a salire sulla sua auto, era una Citroën Ds Pallas. Affondai i piedi nella moquette e partì silenziosissima [...]proprio in quel momento pensai, nell’ordine: che bella macchina, la vorrei anch’io. Ma è lui che guida la mia macchina, e anche la mia vita. Mi sentii all’improvviso frustrato. Ma quando arrivammo a Cittadella avevo deciso due cose. Primo, mi sarei comprato la Citroën. Secondo, avrei preso in mano il volante della mia vita. Insomma, avrei fatto l’imprenditore [...] Tutto dipese, ancora una volta, da un incontro con Cassol. Lui nel frattempo aveva costruito una rete per la vendita di prodotti finanziari, di fondi d’investimento. Mi propose di lavorare con lui. Diedi le dimissioni dall’azienda in trenta secondi e cominciai [...] Il primo mese di attività, il novembre del 1969, guadagnai 1,3 milioni. In dicembre 2 milioni [...] La capacità di trattare affari, di intrattenere la gente, l’avevo respirata in famiglia e in paese. Il know-how finanziario me l’ero fatto in banca [...] avevo una determinazione totale. Per i primi quattro anni ho lavorato 363 giorni l’anno [...] Ero contento, addirittura felice. Facevo un’attività in proprio, guadagnavo bene. Avevo successo e avevo anche cominciato a formare una rete di miei collaboratori. Però, a un certo punto... [...] incontrai un falegname. [...] Ero andato a trovarlo per convincerlo ad affidarmi i suoi risparmi. Alla fine mi diede 10 milioni, che allora erano soldi. Stavo per andarmene quando mi fece: ”Doris, sa che cosa le ho dato?’. ”Sì, certo, 10 milioni’ risposi. E lui: ”No, si sbaglia’. Io presi in mano l’assegno e replicai: ”Ma guardi, sono proprio 10 milioni’. ”No ragioniere, lei non ha capito’ ribattè ”io le ho dato questi’. E mi mise davanti alla faccia la mano destra: c’erano dei calli mostruosi. ”Questi le ho dato’ disse il falegname ”e si ricordi che io sono una persona che non può permettersi il lusso d’ammalarsi, altrimenti la famiglia non campa. Io le darò 10 milioni l’anno, così se li gestisce bene fra 15 anni potrò ammalarmi anch’io [...] per risolvere il suo problema serviva una polizza infortuni e malattie. Che io non avevo in portafoglio. Fu allora che capii come fosse assurdo il sistema: la banca ti tira per la giacchetta per convincerti a lasciare i soldi in deposito. L’assicurazione per farti sottoscrivere una polizza. E io facevo lo stesso per fare acquistare fondi. Ma non c’era nessuno che fosse in grado di proporre tutti questi strumenti insieme. Nessuno che avesse come obiettivo risolvere tutti i problemi del cliente e della sua famiglia. Una società così semplicemente non c’era. Bisognava crearla. [...] Per chiedere fiducia alla gente serve una istituzione. Ma io ero capace di vendere, di condurre gli uomini, e nessuna esperienza gestionale. Mi dissi: bisogna proporre questa idea a qualcuno, ma sapevo che banche e assicurazioni non mi avrebbero preso in considerazione. Serviva un imprenditore di prima generazione, uno che si era già bagnato le scarpe”. E così si rivolse a Berlusconi. ”Non sapevo nemmeno che esistesse: io vendevo fondi in Veneto e lui allora costruiva immobili a Milano. La televisione era appena partita, era una cosa piccolissima. Però un giorno lessi una sua intervista su Capital e mi colpì una sua frase. Diceva più o meno: ”Se qualcuno ha un’idea e vuole diventare imprenditore, mi venga a trovare. Non vada da Agnelli o De Benedetti perché tanto non lo riceveranno. Io sì. E se l’idea è buona, la realizziamo insieme [...] Circa un mese dopo mi capitò d’andare a Genova per lavoro. Avevo un po’ di tempo libero e decisi d’andare a fare una passeggiata a Portofino con mia moglie, che mi aveva accompagnato. E nella piazzetta incrociai Berlusconi. Se non avessi visto la sua foto sul giornale non l’avrei nemmeno riconosciuto [...] appena lo riconobbi dissi ad alta voce: ”Ma quello è il signor Berlusconi!’. Lui si voltò e io allungai la mano: ”Io l’ammiro moltissimo. Mi chiamo Doris, lavoro per la Dival del gruppo Ras e raccolgo 10 miliardi al mese con la mia rete. Se avessi un imprenditore come lei che mettesse dei prodotti immobiliari accanto agli altri, potremmo fare molto di più’ [...] pensai: ”Magari a Berlusconi della consulenza globale non importa nulla. E invece un canale per la vendita degli immobili gli farebbe comodo, eccome’. Il mercato immobiliare allora si stava fermando e una bella rete di venditori... Due settimane dopo ero ad Arcore. [...] Gli dissi: io non voglio niente, anzi ci metto tutti i miei risparmi. E diventiamo soci al 50 per cento. Alla Dival guadagnavo 100 milioni al mese, accettai uno stipendio di 10. Ero deciso a rischiare tutto. andata bene e il resto è storia nota”» (Angelo Pergolini, ”Panorama” 2/3/2000). Vedi anche: Lina Sotis, ”Sette” n. 14/2000;