22 febbraio 2002
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Dornbusch Rudiger
• . Nato a Krefeld (Germania) l’8 giugno 1942, morto a Washington (Stati Uniti) il 25 luglio 2002. Economista. «Americano di origine tedesca, uno dei più grandi esperti internazionali di economia monetaria, autore insieme a Stanley Fisher del libro di testo di Macroeconomia più venduto nel mondo. [...] Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, di intervistarlo, lo ricorda come un uomo intelligente e colto, dalle intuizioni fulminanti, dal linguaggio chiaro, diretto. Gli piaceva essere controcorrente e provocatorio. Non aveva paura di correggersi. Così, per esempio, dopo aver criticato tante volte l’euro, la moneta unica europea, una volta diventata realtà se ne uscì dicendo che, con il suo avvento, la politica era stata piallata, diventando ”noiosa, inutile, marginale”. In quei giorni - siamo nel dicembre del 1999 - il governo D’Alema aveva i suoi problemi, ma lui dichiarò che una crisi, in quel momento, avrebbe interessato ”solo la madre del premier” avendo l’euro interrotto ”il legame tra politica ed economia”. E ancora: mentre tutti si interrogavano sui rischi della globalizzazione e su come dargli un volto umano, lui dichiarava che il mondo globalizzato andava benone, serviva ai poveri delle periferie perché consentiva loro di ”avvicinarsi al centro”, era ”ottimo” per i consumatori dei paesi ricchi e portava pure ”la pace sulla terra”. Spesso, nel dire la sua in modo tanto diretto, rischiava di essere frainteso, se non addirittura politically uncorrect, come quando teorizzò che per curare la disoccupazione bisognava eliminare ogni sussidio, in modo da ”pungolare la gente” e far sì che l’essere a spasso, senza lavoro, smettesse di essere ”uno dei mestieri migliori”. Ex consigliere di Clinton, odiava i grandi appuntamenti internazionali. Nel 2001, alla vigilia del G8 di Genova, disse che ormai quest’appuntamento era diventato solo ”una cerimonia”: «Le delegazioni scriveranno il comunicato stampa prima ancora di arrivare in Liguria. I giornalisti si dovranno occupare delle proteste nella strada, o di com’era l’espressione di Bush quando lo hanno guardato oppure del fatto che nessuno se lo aspettava così basso di statura. Tutto qui”. Nato nel ’42 in Germania, studi a Ginevra, Rochester, Chicago, gli piaceva essere sferzante. E ridacchiava se la battuta gli riusciva particolarmente succosa. La Bce? ”Un club di conferenzieri”. La Bundesbank? ”Signori che con l’euro non sanno più neppure con chi prendere il caffè’. La Banca d’Italia? ”Per avere un pizzico di potere può al massimo regolamentare le fusioni”. Una volta, nel 1992, predisse con precisione e con un anno d’anticipo la svalutazione della lira. Più di una volta ha consigliato rigore ai ministri italiani. Conosceva bene l’Italia e parlava anche un pizzico d’italiano, imparato sui testi classici: diceva che della lingua gli piaceva soprattutto il ”sound”, il suono. Per anni ha seguito l’evolversi della situazione economica e politica del paese. Tra i suoi tanti consigli figurano anche le privatizzazioni su larga scala e l’equilibrio di bilancio. Era anche convinto che l’Italia non sarebbe mai riuscita a centrare l’obiettivo dell’euro ma poi ebbe la franchezza di riconoscere l’errore: ”Ho sbagliato”, disse semplicemente. Uno studioso senza peli sulla lingua, così lo hanno definito in tante occasioni. In realtà, cercava soprattutto di essere sincero, schietto. In uno dei suoi ultimi libri, Le chiavi della prosperità, si sforza di dimostrare che i mercati liberi produrranno sempre i risultati migliori. Gli Usa, per lui, erano un esempio. Sosteneva senza tentennamenti il liberismo americano dentro Eurolandia: ”Lavorare poco, lavorare bene, ecco il segreto dell’Europa”» (Elena Polidori, ”la Repubblica” 27/7/2002).