Varie, 22 febbraio 2002
DRAGHI
DRAGHI Mario Roma 3 settembre 1947. Economista. Governatore della Banca d’Italia, nominato dopo che Antonio Fazio ha dato le dimissioni nel 2005 in seguito allo scandalo delle scalate bancarie. Laureato con 110 e lode in economia presso La Sapienza di Roma, ha poi insegnato nelle università di Trento, Padova, Venezia e Firenze. Dal 1984 al 1990 è stato direttore esecutivo della Banca Mondiale. Durante gli anni novanta ha ricoperto importanti incarichi per il ministero del Tesoro portando a termine alcune delle principali privatizzazioni (tra cui Telecom) delle aziende statali italiane fino a che, nel 1991, diventa Direttore generale del Tesoro. Dal 1993 al 2001, oltretutto, è presidente del comitato Privatizzazioni. Ha anche lavorato per la banca d’affari Goldman Sachs. autore nel 1998 della "legge Draghi", che regola le offerte pubbliche d’acquisto e le scalate nelle società quotate in Borsa. In quanto governatore di Bankitalia, è anche membro del consiglio direttivo e del consiglio generale della Banca Centrale Europea. anche presidente dell’organismo di coordinamento internazionale Financial Stability Board. (’IL Fatto” 17/10/2009) • « stato per dieci anni direttore generale del Tesoro che ha governato con temuta energia dal 1991 al 2001. Se ne andò qualche mese dopo l’arrivo di Giulio Tremonti a via XX Settembre, il quale lo sostituì con il suo vecchio amico Domenico Siniscalco. Dopo Giorgio Basevi (Ph.D. a Chicago nel 1965), Mario Draghi è stato il secondo italiano a prendere un Ph.D. in economia negli Stati Uniti: al Mit, nel 1976, dove fu allievo di Franco Modigliani. Ma la storia di Draghi è soprattutto quella di un determinato, abile policy maker. I dieci anni al Tesoro furono anni rivoluzionari. Draghi fu l’uomo delle privatizzazioni, l’uomo che contribuì a ridimensionare i poteri provinciali (a cominciare da Mediobanca) di un paese in crisi politica ed economica. Cercò di fare del Tesoro una struttura d’élite rispetto al resto della pubblica amministrazione, e ci riuscì, forte anche di un grande sistema di relazioni internazionali che andava dai premi Nobel americani, ai banchieri d’affari del mondo anglosassone, fino ai politici e ai tecnocrati europei con cui ebbe a che fare negli anni tormentati della nascita dell’euro. [...]» (’Il Foglio” 20/12/2005). «Anche sotto la neve, Mario Draghi non indossa mai il cappotto. Suo suocero, incontrandolo la prima volta, gli allungò dei soldi perché se lo comprasse, credendolo povero. In realtà, la sua è una caratteristica che in qualche modo rispecchia anche il carattere: sangue freddo e attitudine alla decisione. In cinque anni alla Banca mondiale spinge per aumentare il peso dell’Italia all’estero. In dieci anni al Tesoro cerca di smontare lo stato-padrone. E, soprattutto, tesse dietro le quinte e in silenzio la grande operazione-fiducia che consente al paese di agganciare l’Euro. ”Anni indimenticabili”, li definisce. Poi passa alla Goldman Sachs. [...] La discrezione è un´altra delle sue caratteristiche: poche apparizioni pubbliche, pochissime interviste, quasi un´ombra accanto al ministro di turno. L’ultimo, proprio Ciampi [...] lui che, all´inizio del 1998 lo manda in giro per l´Europa - L´Aja, Londra, Parigi, Lisbona, Bonn - con un progettino finanziario in tasca per dimostrare che l´Italia può farcela ad entrare nella moneta unica, nonostante il moloch del debito. Sempre lui che, un anno dopo, lo spedisce a rintuzzare le critiche della Ue e a controbattere capitolo per capitolo alle severe ”raccomandazioni” della commissione. Finché lo seleziona perché smussi le ultime, tenaci resistenze di Kohl e Tietmeyer contrari a ritrovarsi l´Italia nel ”club” monetario. ”Maurio”, lo chiamava il ministro tedesco. E dava l´idea di conoscerlo bene. Draghi gira il mondo e conosce mezzo mondo. Gli Usa, dove prende il ”Phd”, sono la sua seconda patria. A Londra [...] si sente come a casa sua. I suoi tanti agganci internazionali si riveleranno decisivi per quella che Ciampi chiamava la ”battaglia di Maastricht”. [...] Draghi è un mediatore, uno che conosce i segreti della diplomazia economica. Al dunque, diventa lo ”sherpa” di molti governi, quelli che preparano i dossier dei grandi vertici internazionali. Per avere un´idea: l´incarico al Tesoro glielo affida per primo Andreotti, ma lo confermano Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D´Alema, poi ancora Amato, poi di nuovo Berlusconi. All´epoca delle privatizzazioni, sale sul Britannia, l´ex yatch dei reali inglesi destinato a diventare simbolo dietrologico della ”svendita” delle partecipazioni statali italiane. Successivamente manda in porto: la liquidazione dell´Iri, l´affare Telecom Italia, quindi Eni, Enel, Comit, Credit... Operazioni di cui va fiero, perché hanno portato ”a una rivoluzione culturale nel rapporto tra società e mercato, tra società e risparmiatori”. I tasselli fondamentali di questa ”rivoluzione” risiedono nella legge che porta il suo nome - legge Draghi, appunto - che disciplina i meccanismi della finanza societaria. Sposato, due figli, una gran passione per il tennis, un´attenzione costante alla dieta, Draghi è economista e ha studiato dai gesuiti. Guido Carli lo considerava il suo pupillo. Modigliani e Caffè erano e sono i suoi maestri di riferimento. Ciampi, per un po´, lo vuole anche in Banca d´Italia come consulente. [...] In Goldman Sachs s´occupa del business e si dice che guadagni moltissimo. [...]» (Elena Polidori, ”la Repubblica” 23/12/2005). «Negli anni Settanta, nella veste di allievo prediletto di Federico Caffè, all’Università di Roma La Sapienza, è già esperto dell’arte di fare senza farsi notare. Borsista del Mediocredito, studia e insegna nei migliori campus Usa, dove si toglie la grisaglia una volta sola: per sferrare un attacco alla teoria delle ”aspettative razionali”, di moda, a quei tempi, pure in Italia. Da allora, le università lo vedono di rado, anche quella di Firenze dove è in cattedra. Di nuovo in grisaglia, approda, negli anni Ottanta, in grigi corridoi ministeriali nella veste di consigliere economico del ministro del Tesoro Giovanni Goria, il quale lo designa a rappresentare l’Italia negli organi di gestione della Banca mondiale. Da lì, negli anni Novanta, rientra nelle coulisses romane per assumere, dopo un anno di grigia attesa, i panni di direttore generale del Tesoro, incarico allora poco retribuito e non molto ambito. I bookmakers burocratici accettavano scommesse che lo avrebbe tenuto per un anno, o poco più, per assurgere ad altre vette della tecnostruttura romana. In grigio silenzio, invece, lo trasforma magicamente in una delle poltrone chiave per l’economia del paese; sempre cercando di farsi notare il meno possibile, assume il controllo dell’industria e della finanza a partecipazione pubblica (costantemente in via di privatizzazione) e le redini della preparazione dei documenti di politica economica. Passano i ministri, gli schieramenti pure e forse anche le Repubbliche, ma, da dieci anni, al centro dell’economia e della finanza pubblica c’è una grisaglia le cui realtà superano anche le aspettative più rosee, e meno razionali, di un quarto di secolo fa. Visto di profilo sembra disegnato da Leo Longanesi. Serigrafia di grisaglia» (’Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998).