22 febbraio 2002
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Duhalde Eduardo
• . Nato a Lomas de Zamora (Argentina) il 5 ottobre 1941. Politico. Ex presidente dell’Argentina. «Avvocato [...] è stato quasi tutto: sindaco, deputato e vicepresidente della Camera dei deputati; vicepresidente (con l’amico-nemico Carlos Menem) del Paese dal 1989 al 1991, e in quanto tale, presidente del Senato. E, soprattutto, potentissimo governatore della città di Buenos Aires, dove vive un terzo della popolazione argentina, dal 1991 al 1999, essendo stato rieletto nel 1995 con più del 50% dei voti. Figlio di socialisti, cominciò la sua militanza nel movimento peronista fin da giovane. Eletto sindaco del municipio di Lomas de Zamora nel 1973, fu cacciato dai militari nel 1976. Venne rieletto nel 1983 e divenne deputato nel 1987. Ma il grande balzo lo fece nel 1989 quando si presentò, e vinse, come vicepresidente con Carlos Menem. Come vicepresidente fece della lotta alla droga e al narcotraffico il suo cavallo di battaglia (che gli valse la laurea ”Honoris causa” a Genova, su proposta di Giovanni Falcone). Nel 1991, però, preferì, alla vicepresidenza, la carica di governatore della grande Buenos Aires. Negli otto anni di governo della capitale si impegnò in un vasto programma di opere pubbliche, con investimenti record di quasi ventimila miliardi di lire. Continuò a occuparsi del flagello della droga, che, insieme all’Educazione, costituì uno degli impegni maggiori della sua amministrazione. Da peronista doc, che crede nel ruolo sociale dello Stato, Duhalde cominciò a criticare la politica del governo di Menem e il suo modello economico neoliberale. Queste critiche e l’isolamento successivo saranno fatali, insieme al discredito apportato dallo stesso Menem sul partito giustizialista, per le elezioni presidenziali del 1999, vinte dall’opposizione. Tornò da sua moglie e dai suoi cinque figli (una delle figlie si chiama Maria Eva, in omaggio a Maria Eva Duarte, Evita Peron) a Lomas de Zamora. [...]» (’Il Messaggero”, 2/1/2002). «La carriera prende forma nel 1975: quando Isabelita Peron (presidente al posto del marito morto di vecchiaia) è ai ferri corti coi militari. Duhalde ascolta per caso la confidenza di una spia. Annuncia che l’Erp sta per assaltare il quartier generale del battaglione 601. Informa il governatore e pretende che nel trasmettere la notizia ai servizi segreti il suo gesto patriottico venga indicato con nome e cognome. La dittatura sta per arrivare e si copre le spalle. La svolta nella vita del giovane avvocato Duhalde è l’incontro con Menem, in casa di un amico. Entra l’ospite di Santa Fé: ”Piccolo, sempre eccitato. Dopo poche parole mi dice: ’Non dimenticarmi. Un giorno diventerò presidente’. Resto con l’impressione di aver incontrato l’uomo più petulante del mondo”. Lo racconta quando ha già lasciato la vicepresidenza di Menem ed è già stato governatore di Buenos Aires: vuole essere rieletto e i notabili del partito, Menem dietro le quinte, cominciano a non sopportare il suo potere. 1995. A Duhalde servono cinque voti al Congresso per raggiungere lo scopo. Improvvisi tradimenti gli permettono di trionfare mentre Menem non manda nemmeno un telegramma per congratularsi e la polizia scopre versamenti milionari nei conti di chi ha voltato gabbana. Ma al momento del voto Menem deve inchinarsi: senza Duhalde a Buenos Aires non si passa. E Duhalde gli allunga una mano velenosa: ordina alle truppe fedeli di appoggiare il partito giustizialista, ma fa in modo di garantirsi il primo posto nella più grande provincia del Paese, staccando di sette punti Menem, candidato presidente. Ormai è guerra aperta. Duhalde sussurra rivelazioni sull’uccisione di un fotografo che aveva messo il naso negli affari degli amici del presidente. E rovescia il tentativo di Menem di cambiare la costituzione per restare altri quattro anni alla Casa Rosada. 1999: ”Basta, adesso tocca a me”. De la Rua rimanda questo sogno di appena due anni. [...]» (Maurizio Chierici, ”Corriere della Sera” 2/1/2002).«[...] Come sindaco ha avuto il coraggio di decidere una cosa impopolare: la chiusura delle discoteche alle 3 di notte, quando a quell’ora di fatto si aprono. [...]» (’La Stampa” 2/1/2002).